“Una mattinata d’inferno Professore, non ne potevo più!
Al bancone del Bar Babietole oggi sembrava di essere all’esterno di un tempio tibetano: tutti a ruotare quelle cavolo di tazzine di caffè come fossero dei rotoli di preghiera!
Come se il gusto ne guadagnasse poi, ruotando la tazzina prima di finire di scolare il caffè: sono arcisicuro che non è così, al massimo gli dai il capogiro.
Ero li, livido ed esasperato, ma pensando a lei Professore, cercavo di trattenermi dal fare gesti estremi.
Oltretutto avevo pure i miei bravi pensieri, stavo già nervoso di mio. Problemi familiari, Professore.
Mio nipote Lisippo: quello scriteriato si è iscritto ad un corso per tassidermista, imbalsamatore insomma, ma quale accidenti di futuro può avere un imbalsamatore?
Mah, lasciamo perdere dai, e torniamo a noi, a me in quel bar, accerchiato da ruotatori di tazzine, dai dannati dell’ultimo sorso.
Comunque, potevo ancora farcela.
Sarebbe alla fin fine filato tutto liscio, ma ad un certo punto, aggiungendosi alla funesta compagnia, è entrato nel bar un tizio da incubo.
Proprio quello che mi ci voleva!
Pensi che, alla faccia di questa stagione, (troppo moderata del resto, lo dico sempre io!), questo tale portava provocatoriamente una di quelle felpacce orrende, quelle con colori da evidenziatore e grosse e volgari scritte stampate sopra.
Mi pare che fosse dei Boston Stranglers, e, stia a sentire, nonostante sia febbraio aveva ai piedi i famosi sandalacci tedeschi, peggiorati, se fosse possibile, da spessi calzettoni rossi a strisce viola!
Criminale, stupratore dell’estetica!
Tutto il sangue disponibile in me, pure quello che, da perdigiorno, staziona ai mignoli dei piedi, mi è affiorato tumultuosamente in faccia: ero in fiamme!
Non è ancora tutto: indovini cosa ha chiesto al barista?
No, anzi, ci rinunci Cervellenstein, tanto non ci arriverebbe mai: ha ordinato un caffè corretto al pompelmo!!!
Per un minuto o due ho fatto sforzi inimmaginabili per non ingrassare la mia fedina penale, poi, lei mi deve pur capire Professore, la mia rabbia si è tramutata in santa missione a favore dell’umanità: mi sono buttato a terra ringhiando e gli ho addentato deciso le caviglie!
Quel cretino, incredibilmente, era convinto di non si essersi macchiato di alcuna colpa e di essere quindi innocente come il commercialista di Bambi.
Non si aspettava dunque il mio slancio generoso, l’imbecille, e per un morsetto da nulla qual era il mio, giusto un incisivo intervento critico, ha innestato con la bocca un urlo che non aveva nulla di umano, una specie di sirena acutissima e lamentosa, una roba tale da piegare le cime degli alberi e convincere la gente dell’arrivo di un bombardamento.
C’è stata della confusione in seguito al mio intervento, lo ammetto Professore, ma si è anche persa senza motivo un po’ di lucidità collettiva, si è esagerato: quelli che erano all’interno del bar, hanno mollato cappuccini e cornetti dandosi alla fuga, strillando, e hanno così trasferito in strada quell’allarme ingiustificato.
Mentre quel figuro indecente continuava ad azionare, altissima, la sua sirena vocale, in fretta e furia sono stati riaperti di forza due rifugi antiaerei, in disuso dal 1945 e frotte di cittadini spaventati hanno assaltato un supermercato vicino, esaurendone le scorte di anacardi.
Io non capisco nemmeno che bisogno ci fosse di chiamare la forza pubblica solo per il lamento di quell’abominia sandaluta, eppure qualcuno l’ha fatto.
Sono riuscito a sgattaiolare fuori dal bar appena in tempo, proprio mentre vi faceva plateale irruzione una pattuglia di carabinieri a cavallo”….
Samuele Cervellenstein, psicologo e cattedratico di chiara fama, ne aveva già passate di brutte col suo paziente più impegnativo, Omar Tressette, l’uomo più intollerante ed idiosincratico del mondo.
Curarlo, oltre che una faticaccia, aveva rappresentato e rappresentava ancora un continuo stimolo professionale, un lavoro durissimo che aveva comunque dato dei frutti.
Il Professore, universalmente stimato, si era fatto un nome anche grazie alla sua invenzione ed elaborazione di tecniche psicanalitiche di avanguardia, alcune delle quali gli erano state ispirate dal suo paziente a maggior tasso di difficoltà.
Negli ambienti accademici il più citato frutto delle sue ricerche era, ad esempio, l’ipnosi selettiva, grazie alla quale lo psicanalista poteva ridurre ad uno stato ipnotico non solo la mente del malato, ma anche singole parti del suo corpo, ciascuna indipendentemente dalle altre.
Ipnotizzando progressivamente prima la psiche, poi gli arti inferiori ed infine quelli superiori, di Omar Tressette, Cervellenstein era più volte riuscito a frenarne gli impulsi, anche per rilevanti periodi di tempo.
Tutto vero, certamente, ma iniziare la mattinata così, ascoltando il suo irritatissimo paziente prodursi in una confessione di quel calibro, per qualche istante procurò al valente psicologo un lieve capogiro, un diffuso malessere spirituale ed una certa voglia di essere altrove.
Intanto però, Tressette imperversava.
“Consideri Professore che quando ho incrociato la pattuglia dei carabinieri, sono riuscito a farla franca solo perché conoscevo Pavarotti, uno dei loro cavalli, perché è nato in una delle mie tenute, figlio di un campione purosangue che avevo acquistato per corrispondenza senza neanche accorgermene.
‘Sto cavallino, che era piccolo e secco come un’acciuga, nitriva così forte che gli mettemmo quel nome da tenore.
Insomma, mentre cercavo di filarmela, Pavarotti, che nel frattempo è diventato grande e grosso, mi ha riconosciuto: mi ha strizzato l’occhio e ha sparato un nitrito dei suoi, una specie di fischione tremendo, che ha distratto sia il suo cavaliere, sia gli altri carabinieri a cavallo.
Tutti si sono tappati le orecchie, strabuzzando gli occhi.
Così, mischiandomi a quelli che correvano senza sapere perché, ho fatto perdere le mie tracce.
Ma mi dica lei Professore, se un pover’uomo può campare in questo modo, pagando le conseguenze di spettacoli miserandi come quelli che ti si presentano andando in giro.
Mi dica se è una cosa giusta e legale sentir chiedere del caffè al pompelmo senza rodersi dentro, come una melodia stuprata da Jovanotti, senza farsi frullare il fegato come un frappè, senza reagire come si deve, senza tirar cal…”
La voce stizzita di Tressette, affievolendosi nella percezione di Cervellenstein, si perse, relegata in secondo piano dalla mente dello psicologo, che si era intanto sistemata all’interno di una fantasia estrema.
Si vedeva percorrere il filo, a volte di roccia, a volte di legno mezzo marcio, dello Hua Shan, il sentiero più pericoloso del mondo, addirittura pedalandoci su in tandem, insieme con Donna Romualda, più elegante e raffinata che mai.
Scacciando con un gesto disinvolto della mano uno sciame di aquile che gli volteggiava fastidiosamente intorno, la sua seducente amante gli diceva: “Hai visto Samuele? Quei tali davanti a noi, sì, quelli che si reggono alla parete con delle corde, stanno gettando del sudore giù nell’abissale dirupo. D’accordo che la giornata è un po’ calda e che il sentiero è impegnativo, ma, lasciamelo dire: che azione inelegante! Che carenza di stile!
Oltretutto credo che questa brutta cosa non abbia un bell’impatto su una natura così splendida ed incontaminata.”.
Cervellenstein, perso nella sua immaginazione, stava pensando, ammirato, a quale tempra di donna fosse la sua amata, quando il suono sgarbato del telefono interno dello studio, azionato da Cleofe, la sua segretaria ottantenne, lo fece sussultare, riportandolo alla realtà ed alla faccia perplessa di Omar Tressette che lo stava osservando preoccupato.
“E’ da molto che soffre di questi momenti di smarrimento, Professore? – gli chiese il suo paziente più impaziente- anche se li definirei piuttosto istanti di straniamento, di distacco dal mondo conscio.
Se posso permettermi, lei dovrebbe far qualcosa per questi disturbi…”, proseguì Tressette comprensivo, prima che Cervellenstein, interrompendolo, sbottasse in un secco “Sto benissimo Omar, grazie! Ne riparleremo giovedì prossimo.”
Il grande intollerante prese così congedo.
Cleofe, chiamandolo, aveva ricordato al Professore che, dopo Tressette, lo aspettava la seduta con Ernani De Ormonis.
“Di bene in meglio!”, si sorprese a pensare lo psicologo.
Quella di Ernani era infatti un’altra situazione stravagante: lui veniva in sostituzione di sua moglie, troppo timida per parlare direttamente con lo psicologo del suo disturbo, una frigidità così esasperata da permetterle di lavorare a tombolo durante i rapporti intimi.
De Ormonis, disperato, non faceva che portare a Cervellenstein degli splendidi centrini ricamati dalla poveretta, frutto e prova tangibile di come qualsiasi ora di sesso trascorsa col marito non avesse mai raggiunto davvero la sua sfera erogena.
Cleofe, che spesso lasciava a metà la lettura dei suoi adorati rotocalchi di pettegolezzi per origliare discretamente ciò che veniva detto nello studio, ridacchiò pensando alle sue più recenti avventure amorose.
Divertitissima dalle disgrazie del sostituto-paziente, gettò fuori dalla bocca una densa nuvola di fumo pestilenziale e si disse: “Certo di tutti i disturbi soffro io, tranne che quello della moglie di questo povero scemo: l’ultimo tipo su cui ho messo le mani, quel tizio dell’altroieri, l’ho distrutto.
E’ andato via gattonando”…
Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.
Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti