Il Presidente Mattarella ha richiamato la necessità di unità fra le istituzioni. Richiamo inusuale ma necessario, perché in zona Covid sono emerse troppe voci fra loro dissonanti.
Tanti tribuni autoproclamatisi tutori del territorio.
Un fenomeno interpretabile solo con l’ansia di rassicurare i cittadini?
O, nella versione più maligna, da attribuire alla voglia di visibilità?
Forse entrambe le cose.
Detto questo, è possibile individuare ragioni più profonde che aiutino a comprendere fatti singolari. Come, ad esempio, la minaccia di Presidenti di Regioni di chiudere la (propria!!) Regione, di Sindaci che ricorrono allo strumento straordinario dell’ordinanza per indurre comportamenti personali.
Se a questo si aggiungono alcune richieste esclusivamente corporative di associazioni sindacali e professionali, si ha idea di come il quadro delle rappresentanze istituzionali e d’interessi sia stato letteralmente “triturato”.
Premesso che una volta tali mediazioni erano terreno esclusivo dei partiti, c’è da chiedersi:
Quando è cominciata questa frantumazione che preoccupa il Presidente?
Volendo rimanere alle vicende nostrane più recenti, si può datare l’inizio del processo alla stagione referendaria, cioè ai primi anni novanta.
Si introdusse dapprima l’elezione diretta dei Sindaci; poi ci fu quella dei Presidenti delle Regioni nel 2000; intanto nel 1993 fu introdotto il sistema maggioritario per il Parlamento con la riforma Mattarella.
Molti gli obiettivi che ci si poneva allora di centrare.
Fra di essi anche quello di diminuire il potere dei partiti trasferendolo agli eletti, secondo il modello politico anglo-sassone.
Intenzione ben manifesta in un referendum come quello sulla preferenza unica.
Un referendum certo di minor peso, ma che sottraeva ai partiti la ‘tecnica’ con la quale selezionava i candidati, attraverso lo strumento della preferenza multipla, che permetteva, combinando le preferenze, di eleggere i prescelti.
La selezione dei candidati consentiva una scelta non casuale.
Candidati che in genere erano onesti e competenti, perché la ‘potenza’ elettorale personale era solo uno dei requisiti richiesti e neppure il più importante. Contava il giudizio della sezione o della corrente. Consenso che si guadagnava con un faticoso lavoro quotidiano.
Tutto ciò, tra l’altro, dava agli iscritti dei partiti un potere che alimentava la partecipazione. I candidati si adeguavano e guai a sgarrare: il cambio di partito era un’eccezione e l’espulsione una lettera scarlatta.
Questa è l’origine delle difficoltà dei partiti usciti dalla seconda guerra mondiale. Che ebbe un’accelerazione con l’avvento di un modello alternativo, quello del partito personale di Berlusconi, risultato vincente nel 1994.
Un modello che considerava l’offerta politica come una merce da offrire al consumatore-elettore.
Il sondaggio al posto dell’ascolto dell’assemblea degli iscritti e la comunicazione unidirezionale invece che il confronto bi-direzionale con gli iscritti e gli elettori.
Tutto ciò ha portato alla riduzione del programma politico al “corpo” del candidato che ‘scende in campo’, che ‘ci mette la faccia’, che ‘deve rispondere ai suoi elettori’.
Un candidato il cui obiettivo principale è il ‘primum vivere’, non certo il bene comune.
Sono questi nuovi partiti ‘personali’, dove un leader è detentore del simbolo del partito e ha come attività principale il controllo del tesseramento e qualche comunicato sui social media, che riescono a mettere in soffitta il modello anglosassone, appropriandosi del potere di nominare direttamente i candidati.
Il risultato di una simile mutazione genetica è che al Parlamento si arriva per fedeltà, negli Enti Locali perchè possessori di un proprio pacchetto di preferenze.
È questa frantumazione che ha creato a livello territoriale tanti piccoli e grandi sovrani che, nell’era del Covid, hanno assunto le sembianze dei buoni papà che si sono assunti la responsabilità di rassicurare i figli spaventati dalla notte che incombe.
Può questo quadro istituzionale coordinare un piano per il dopo Covid?
Ho qualche dubbio anche perché vedo che nella maggioranza e nell’opposizione si ritiene giusto cavalcare qualsiasi richiesta, anche la più corporativa.
Tanto ci saranno i soldi europei.
Quasi non si rendessero conto che così non è.
Per ottenerli, infatti, sarà necessaria una sintesi virtuosa nei solchi delle indicazioni delle politiche europee.
E chi la compie?
Marcello Ciccarelli, in pensione, attivo solo cerebralmente. Una volta docente e amministratore. Ancora appassionato di matematica e politica.