Quale futuro per i giovani? -seconda parte-

Sul rilancio economico dell’Italia si sono ormai espressi tutti i soggetti chiamati in causa, dalle associazioni datoriali e sindacali alle rappresentanze politiche.
Possiamo dunque oggi dire, con ragionevole cognizione di causa, che l’istruzione e il problema giovanile, non essendo stati indicati da nessuno come una questione urgente, sembrano non essere fra le priorità del nostro paese.   
E se si stesse compiendo un grave errore che può incidere sulla stessa tenuta del nostro assetto democratico?

Ricordiamo che i giovani sono le maggiori vittime delle disuguaglianze prodotte dal capitalismo finanziario e possono divenire la base sociale per avventure politiche autoritarie.
Il capitalismo fino agli anni ottanta era un modello condiviso, perché in grado di assicurare il benessere ai 2\3 della popolazione ed un welfare di sopravvivenza per il restante.
L’attuale capitalismo finanziario ha invece prodotto disuguaglianze così profonde da mettere in discussione l’idea stessa di capitalismo e l’assetto democratico che garantisce alla comunità.
Questo perchè sono disuguaglianze che creano domande di sicurezza, che, se catturate da partiti antisistema, possono portare a derive autoritarie, alla Orban.  

Viktor Orbán

Il tutto sta avvenendo in assenza di un’idea alternativa da parte del pensiero liberale e socialdemocratico, il più colpito nelle sue basi sociali.
I partiti che si riconoscevano in esso hanno compiuto un grave errore quando hanno deciso di abbandonare il loro ricco bagaglio di valori e visioni.
Lo si è fatto ritenendo che non ci fossero alternative ai meccanismi di formazione della ricchezza.
Così, l’unico obiettivo della propria attività politica è diventato quello di andare al governo, finendo per identificarsi come i difensori di un capitalismo che pur all’inizio suscitava ostilità.   

L’esame di nuove idee che cominciano a maturare non è compito di questo articolo. Molto meglio documentarsi a partire dall’articolo di Fabrizio Barca che pone la riduzione delle disuguaglianze sociali quale fine del rilancio dell’economia e condizione per la sopravvivenza del modello economico creato in occidente.

Qui proviamo a circoscrivere le connessioni fra l’istruzione e la disoccupazione e il precariato giovanile.

C’è da dire che anche l’istruzione, come la politica e la cultura, si è sciolta nell’economico e le sue azioni sono misurate solo in termini di redditività economica immediata.
E’ il tema centrale della proposta del piano Colao, che ha ricevuto ampi sostegni trasversali. In esso si propone quale fine dell’istruzione l’allineamento delle competenze all’esigenze dell’impresa.

Altre azioni del piano sono invece condivisibili, come quelle, rivolte al sud, che migliorano l’inclusione e la necessità di servizi educativi nella fascia 0-6 anni.
Lasciano invece perplessi le indicazioni per un programma didattico imperniato sulle competenze, in particolare le digitali.

Immagine da Giunti Scuola (giuntiscuola.it)

Forse sarebbe stato opportuno riflettere meglio sui risultati prodotti da un’impostazione analoga praticata negli ultimi vent’anni.
In particolare negli ultimi dieci anni, da quando i governi in carica hanno seguito il piano educativo “strategia Europa 2020” promosso dalla UE.

Il piano invitava i paesi dell’Unione a ridurre entro il 2020 l’abbandono scolastico e ad aumentare la percentuale di laureati.

Il piano era soprattutto indirizzato a quei paesi, come l’Italia, che occupava gli ultimi posti.

I governi italiani per conseguire l’obiettivo si sono affidati al modello della scuola-azienda, al punto da identificare il linguaggio pedagogico con quello dell’impresa.
D’allora si parla di crediti e debiti, pur se formativi, di aumento del capitale umano, di best practices, di certificazioni di qualità, di offerta formativa come merce da pubblicizzare con manifesti 6×3.
E i docenti da impegnare solo nella comunicazione digitale diminuendo il tempo-scuola dedicato alle discipline.

Quali risultati?

Gli obiettivi non sono stati centrati e non si è diminuito il nostro gap europeo.
Per la dispersione scolastica abbiamo ancora la peggiore percentuale di abbandoni scolastici; per la percentuale di laureati siamo invece penultimi dopo la Romania.

Senza contare che l’indebolimento delle ore dedicate alle discipline ha realizzato un’istruzione che non aiuta i giovani a decifrare la complessità della realtà.
I maggiori limiti di tutto questo si sono visti al sud, la cui economia ha bisogno soprattutto di capacità progettuali per dare valore aggiunto alle sue materie prime: turismo e agricoltura. In alternativa rimane solo la compressione del costo del lavoro quale arma per competere.

E il degrado culturale e economico ha causato ulteriore disoccupazione e precariato giovanile e conseguente rabbia sociale: proprio quello che alimenta una domanda di sicurezza.

Domanda che può innescare, si è già detto, una spirale di meno libertà, meno crescita e più disuguaglianza.

Marcello Ciccarelli, in pensione, attivo solo cerebralmente. Una volta docente e amministratore. Ancora appassionato di matematica e politica.

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