Sailing: una Love Boat per la banda Tarallo

Solo al terzo giorno di navigazione sul “Complesso di Edipo”, nelle conversazioni occasionali con la splendente Trudy Taruffi, Abdhulafiah riuscì a spingersi vocalmente oltre l’emissione di un fonema.
Proprio non ce la faceva: alla vista di lei gli si marmorizzavano pensieri e parole.
Il sangue gli tornò di botto in circolo quando, un bel mattino, nel corso di un chiacchiericcio generale sul ponte della grande barca, la sorella dell’odoroso giornalista, chiese al Prof. Cervellenstein come investisse, al di là dell’acquisto compulsivo di panfili, gli altri guadagni che i picchiatelli versavano senza sosta sui suoi conti personali.
Timidamente aggiunse di avere quattro soldi da parte, una cifra modestissima, che di tanto in tanto pensava di investire in qualcosa, qualcosa di cui, però, non aveva la minima idea.

Trudy Taruffi

Abdhulafiah, da sgonfio ammiratore estatico che era, parve gonfiarsi al volo, come un gommone sotto le attenzioni di una pompa.
Si sentì pervaso da un grammo di coraggio, appena sufficiente per intervenire, autorevole, o quasi:

“Signorina..”, esordì.

“Trudy per gli amici..”.


E qui il nostro Abdhul, al suono argentino e fresco della sua voce, sembrò nuovamente sgonfiarsi: annaspò, ma, fattosi forza, paonazzo in volto, senza guardare mai la ragazza negli occhi, proseguì:

“Ehm… sì dunque… ehm.. signorina Trudy… forse potrei esserle d’aiuto, quello degli investimenti è il mio campo e quindi …”
“Meraviglioso! Che razza di fortuna incontrarti!”

trillò felice Trudy, e gli alitò addosso un respiro leggerissimo e profumato, così che Abdhulafiah, per la prima volta in vita sua, si rese conto davvero di cosa fosse la menta piperita.
Il consulente, avvolto da quel vento di grazia, barcollò, ma solo Lallo e Consuelo, che lo conoscevano bene, si accorsero del suo turbamento; anche Cervellenstein, impegnato nell’analisi manuale del bel fianco morbido di Pandora, attribuì il pencolare di Abdhulafiah al rollio dello yatch.

“Diamoci del tu, no? Mi pare che siamo tra amici”

proseguì radiosa Trudy –

Cosa mi consiglieresti di fare, tenendo presente che ho risparmiato qualche migliaio di euro, non certo un tesoro”.

Abdhulafiah raccolse forze e idee prima di risponderle.

“Tempo fa ho suggerito ad un amico di speculare sui Buoni Pasto della Teutonische Bank, – provò a dire il consulente, col fiato corto per l’emozione – quei tagliandi da qualche mese sono oggetto di un collezionismo diffuso, ma ora non te li consiglierei più, perchè davvero li hanno scoperti in troppi.
In particolare ne ha fatto razzia Geraldus Cotechinembroek, il celebre “Re degli insaccati dei Paesi Bassi”, un uomo senza scrupoli, dalla pessima fama e dalle ottime relazioni.
Sua madre, da lui diseredata con un’operazione capace di sovvertire perfino la biologia del diritto, ebbe una volta a dire che, forse perché l’aveva partorito con più dolore del dovuto, e per vie inconsuete, gli era passato di mente di dotarlo di una fottuta coscienza.
In tal modo aveva purtroppo regalato al mondo solo un “grumo di ciccia perniciosa”.

Geraldus Cotechinembroek, il Re degli insaccati dei Paesi Bassi

Cotechinembroek, di quei buoni della Teutonische, ne ha acquistati un mucchio immenso, e lo ha fatto prelevandoli direttamente dalla fonte, cioè dal Ragionier Lasagnenburg, un tipo corrottissimo che ne regola l’emissione, e che ne ha ceduti così tanti che i bancari, senza i loro buoni pasto, sono stati tenuti di fatto a dieta totale per oltre una settimana.
Alla fine, lavorando tanto e non mangiando, non si reggevano più in piedi.
Allora hanno organizzato una manifestazione di protesta dinanzi alla sede centrale della Teutonische Bank: l’avrete vista tutti, è quel grande palazzo verdastro di Berlino a forma di enorme assegno protestato, opera di una delle star dell’architettura contemporanea, il giapponese Fukusaburu Tirabashi.
Erano stati parecchi i bancari che avevano partecipato all’agitazione, più di un centinaio, ma ormai erano talmente privi di forze che, invece di strillare forte i loro slogan, riuscivano a malapena a bisbigliare, producendo al massimo una specie di ronzio collettivo.
Quel suono, oltretutto, è stato equivocato da molti come indizio dell’arrivo di uno sciame di zanzarone, così i poveretti si sono pure beccati addosso un bel po’ di litri di insetticida spray…”

Un dipendente della Teutonische Bank di ritorno dalla manifestazione

“Che cosa orribile e affascinante! Non immaginavo che le faccende economiche nascondessero delle storie, magari anche stravaganti o terribili, ma appassionanti.
Continua, ti prego, non mi hai ancora detto come impiegare i miei quattro soldi.”

Così tubò Trudy sorridente, soffiando una lieve brezza piperita sulle nari sconvolte di Abdhulafiah.
Lallo intanto stava abbracciato alla sua abbacinante Consuelo su uno dei dondoli presenti sul ponte.
I due, muovendosi leggermente, all’unisono, si sorridevano complici, partecipi degli sforzi eroici dell’amico per non perdere i sensi davanti al meraviglioso volto trudiano.
Ovviamente speravano che Abdhulafiah trovasse in quei pochi giorni la chiave dell’intraprendenza, quella capace di portarlo in un mondo migliore, nel quale si fossero completamente perse le tracce della pratica del balbettìo.
In quel felice contesto marinaro, il bravo consulente avrebbe forse trovato una via per giungere a comunicare meglio con la splendida Trudy, e, chissà, magari anche a conquistarla.
Il fratello di cotanta bellezza, il rusticissimo Marzio Taruffi, del quale da ore non si avevano notizie, nel frattempo riemerse clamorosamente sul ponte.
Al solito, la sua, fu un’apparizione che captò l’attenzione generale, interrompendo tutti i discorsi in atto.
Anche quasi del tutto spogliato riusciva ad essere disordinato.
Più strapazzato e lurido che mai nell’aspetto, indossava un datato e vistosissimo costumone da bagno azzurro elettrico, lo stesso che nel 1972 era stato il frutto di un suo affarone ai saldi del “Tristi Tropici”, il più importante negozio di abbigliamento di Pescoscrocchiano.

Marzio Taruffi sul ponte del “Complesso di Edipo”

Quello era il buffo nome di un paese di poco più di mille abitanti, arrampicato su uno sperone di roccia, ed era il comune di origine di tutti i Taruffi.
Il nero brunito del poderoso torso nudo del cronista, colore certo non dovuto all’opera abbronzante del sole, presentava su spalle e braccia ampie pezzature di grasso scuro, macchie cangianti che fornirono una probabile risposta all’interrogativo sulle sua prolungata scomparsa.
Fu Marzio stesso a confermare l’ipotesi sulla sua assenza, ipotesi mai espressa, ma formulata in cuor loro da tutti i presenti: spinto da un istinto primordiale ed incoercibile, lui aveva naturalmente cercato e trovato nella grande barca, il posto che gli avrebbe garantito le maggiori possibilità di sporcarsi.

“Sono stato a fare una capatina in sala macchine – disse infatti Taruffi – mi interessava dare un’occhiata alle apparecchiature e capire che mestiere è quello di chi se ne occupa. Così ho conosciuto…”.

“Ci lavora Mastro Pippa

intervenne, interrompendolo, il Professor Cervellenstein in tono affettuoso, e cessando per un istante di palpeggiare con eleganza Pandora –

Mastro Pippa

Mastro Pippa è stato uno dei miei primi clienti, pensate quant’è che lo conosco! Abbiamo più o meno la stessa età.
Quando venne nel mio studio aveva già subìto più di un arresto per oltraggio al pudore, ed era ridotto male: emaciatissimo fisicamente, e quasi alla disperazione psicologicamente.
In realtà lui si chiama Gaetano Merendero, ma già a quei tempi, a causa del suo problema, gli avevano affibbiato il soprannome di Mastro Pippa.
Gaetano, poveretto, non si sapeva ancora bene per quali cause, era vittima di sfrenate pulsioni autoerotiche, continuamente in preda ad un onanismo da record mondiale.
Dai dodici anni in poi si era stentato a vedergli fare qualcosa di diverso dal masturbarsi forsennatamente, incurante di tutto e di tutti, in ogni luogo e momento possibili.
Mi disse poi che riusciva a farlo indirizzando le sue fantasie in ogni direzione, anche verso modelli dell’immaginario femminile che non avevano certo la pretesa o la capacità di essere considerati oggetti di desiderio.
Mastro Pippa ancora oggi è presente nel Guinness dei Primati come unico maschio al mondo in grado di fantasticare eroticamente sulla grande Tina Pica, poveretta, che, tra le altre cose, quando lui era un adolescente seminato a brufolacci, era peraltro scomparsa da tempo.
“L’ho vista in un film”, mi spiegò, come se quel fatto giustificasse l’atto.

Tina Pica

Sta di fatto che la sua insolita attività gli impediva anche di trovarsi un buon lavoro o di mantenerselo quando ciò, miracolosamente, accadeva.
Si faceva sempre sorprendere mentre lavorava di gomito ed era riuscito perfino a farsi licenziare da un posto di guardiano notturno in un canile, perché nel cuore della notte i suoi sospiri guastavano il sonno ai cani, che prendevano a guaire insieme con lui: un inferno per chi abitava nei dintorni.
Quando venne a studio, era ormai come prosciugato, il sicario di sé stesso.
Io, facendolo parlare, sospettai subito che l’intera faccenda si ricollegasse al forte etilismo di sua madre, Gaspara Menabò: non sarebbe stato certo il primo caso di ingombro eccessivo di una delle figure genitoriali, soprattutto considerando chi era quella donna.
Bighellona, fannullona e frequentatrice di bar e taverne, non di rado tornava a casa ubriaca e picchiava senza motivo il marito Gelsomino, un uomo passivo, un collezionista di tibie umane che esercitava il mestiere di sarto presso il suo domicilio.
Non poteva essere un serio punto di riferimento maschile, quell’uomo vigliacco, e Mastro Pippa che lo ha sempre disprezzato, non è nemmeno sicuro di essere stato davvero suo figlio:
ancora oggi lo definisce un “padre sputativo”
Il piccolo Gaetano assisteva a quelle brutte scene di violenza, e quando anche lui iniziò a prendere qualche scapaccione, cominciò a sentire pressante la voglia di evadere da quel mondo.

Gaspara Menabò, la madre di Mastro Pippa

Era sempre da solo, senza un amico, e si rifugiava in un mondo parallelo.
Fantasticava spesso di viaggi avventurosi sul mare, ma pensava anche a come fossero fatte le bambine sotto le gonne.
Fu così la natura, appena potè, a dargli un mezzo per combattere i pensieri con altri e più piacevoli pensieri, ma fu proprio da quella che pareva una salvezza, ma che si trasformò in vizio, che iniziò il suo calvario.
Io, che da qualcuna delle nostre conversazioni avevo capito che amava un po’ la meccanica, fui sicuro che dargli un’occupazione in quel settore potesse operare un tranfert dalle donne alla meravigliosa complessità dei macchinari.

Studiare e capire come si tenesse in efficienza un motore, lo presentivo, avrebbe potuto distoglierlo dalla sua ossessiva mania masturbatoria.
In quei giorni avevo comprato il mio primo natante, il “Subconscio”, un piccolo motoscafo con cui uscivo a cac… in esplorazione, la domenica, ma col quale non avevo tentato tragitti più lunghi.
Pensai di permettergli di prendere confidenza col mezzo e con la sua parte meccanica, e di portarmelo appresso, con mansioni ufficiali di motorista, in uscite di più giorni.
Così fu: i fatti confermarono la mia ipotesi e quell’esperimento riequilibrò in men che non si dica la sua condizione psicofisica.

Dopo l’ultimo, pirotecnico, botto autoerotico, che gli venne provocato da una famosa pubblicità di calze femminili, Mastro Pippa, da allora non ebbe altro pensiero che tener pronti e scattanti i motori dei natanti che nel tempo andavo acquistando.
Tanti natanti.
E’ diventato saggio e ora, quando mi vede al fianco di una donna, sorride perplesso, scuote la testa sconcertato e ironico, mentre accarezza con voluttà il trim del motore.

Il transfert, alla fin fine, c’è stato, eccome…”.

Taruffi salutò con un grugnito quella storia; Consuelo e Tarallo divennero immediatamente membri del Mastro Pippa Fan’s Club, e Trudy, spingendo un etereo soffio di piperita sul viso alterato di Abdhulafiah, gli sussurrò:

“Il nostro discorso è solo rimandato, aspetto ancora il tuo consiglio Abdhul!”.

Il consulente, turbatissimo, fu grato al tramonto, che col suo splendente rossore giustificava e nascondeva il suo, e rispose:

“C..Certo”.

Abdhulafiah

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

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