La squadra AcchiappaProto si accampa

Poco era cambiato nei corridoi della Pensione La Rossa, male illuminati e notoriamente percorsi spesso da gemiti di piaceri d’ogni tipo.
I membri della tribù Tarallo, appena sbarcati dalla loro crociera, attesero la Passalà per un bel pezzo nella sala comune dell’improbabile alberghetto, funestata da quadri dipinti da efferati criminali del pennello.
Poi videro un tale, rosso in faccia e coi vestiti in disordine, venir giù come un folle dalle scale, con un’aria esaltata a distorcergli i lineamenti.
Sorrideva spiritato e, di furia com’era, un po’ parlava e un po’ emetteva brevi espressioni di dolore:

“Ohi, ohio, ohi! Shhtasera m’ha furminado proprio, la vecchia – l’inflessione dello strano tizio pareva marchigiana – ma poi che razza de temberamendo: an gerdo pundo m’ha detto “Te pijo a schiaffi due a due fino a quanno nn dienta dispari!”.
Che tipo interessante – commentò ad alta voce Mata, con aria pensosa, non appena il tale si fu dileguato – chissà cosa ha visto o provato per fuggire così, dolente e felice: mi interesserebbe davvero saperlo.
Sì, perché sapete, io sono curiosissima di natura”, concluse, sorridendo ai suoi nuovi amici.
La risposta, o almeno un’ipotesi plausibile di risposta al suo quesito, si incarnò subito dopo, con la clamorosa apparizione di Berenice Passalà, “la Rossa”, proprietaria della pensione ed escort ancora in servizio nonostante l’età, specialista in trattamenti riservati a sadomasochisti e frustatrice di primo livello.

Mata

L’anziana signora indossava un vestito troppo succinto per grazie in buona parte appassite; la sua mano grinzosa reggeva ancora un corto scudiscio, che, per incredibile che possa sembrare, aveva un’aria sudata e stanca.
La Rossa raggiunse a testa bassa la scrivania malandata che fungeva da reception, seguendo il filo di certi suoi pensieri e borbottandoli fuori in un curioso dialogo con se stessa:

“Mai troppo teneri con questi ingegneri ferroviari di Strangolotto al Fiume! Le mollezze del bastone non fanno per loro, li annoiano. Oggi il marchigiano l’ho fatto a pezzi ed era al settimo cielo: devo ricordarmelo la prossima volta: ad Artemio Micciché solo frustate alla scintilla, di quelle buone che…”.

Si interruppe perché, tirando su la testa, di botto, aveva incocciato con lo sguardo la nutrita comitiva taralliana, i cui membri, che aveva già conosciuto in precedenza, riconobbe subito:

Oddio!! Amici miei! Cleofe, ragazzaccia mia, Professore! Ma che sorpresa! Non ditemi che soggiornerete ancora qui da noi a Strappoli!
Che sarà mai successo per vedervi piombare nuovamente in paese? San Crisostomo ha forse cercato di sposare una parrucchiera? Oppure quell’altro Pietro, quello con la scure piantata in testa, ha presentato la domanda di invalidità civile? Ditemi tutto caariissiimii!”.

Berenice Passalà detta La Rossa

Il Professor Cervellenstein ragguagliò l’albergatrice sui motivi della loro presenza a Strappoli senza entrare troppo nel dettaglio e Lallo pregò comunque la vecchia di mantenere una rigorosa discrezione in merito.
La Rossa a quel punto, pur di trovar posto a tutti i tarallisti, cacciò letteralmente fuori tre clienti da altrettante camere.
Erano, in ordine di cacciata:

a) Aurelio Saletabacchi, un camionista di Tralicciosbieco: nulla di particolare in lui, se non che era un infaticabile puttaniere;

Il camionista Aurelio Saletabacchi

b) Eva Settedelizie, al secolo Orso Maria Irsuti, ex domatore di tigri che aveva cambiato sesso, ma che era ancora in attesa dei nuovi documenti di identità, quelli aggiornati.
L’aspetto era appunto quello di un ex domatore di tigri ben rasato e truccato pesantemente: al momento di lasciare la camera indossava un minivestito verde bottiglia con merletti sparsi, inadeguato a ricoprire le masse muscolari possenti che sbucavano da ogni spazio tra i bottoni.
Si trovava a Strappoli perché impegnato/a in una complessa relazione con Baldo Ria, un farmacista purtroppo già fidanzato con Giuseppina Zuppafredda, tiratrice scelta della polizia di stato.
La natura vigliacca dell’uomo e la rinomata bravura professionale della sua fidanzata ufficiale, significativamente soprannominata dai colleghi delle forze speciali “Peppa sempre ce colgo”, per la sua mira micidiale, lo avevano fino a quel momento trattenuto dal confessarle lo stato reale delle cose.

Eva Settedelizie, al secolo Orso Maria Irsuti

Avrebbe dovuto dirle la verità sulle sue frequentissime “consegne a domicilio” di scatole e scatole di Stronchenol, un anestetico per elefanti irrequieti che secondo i suoi menzogneri rapporti alla poliziotta, era l’unico farmaco in grado di calmare una pensionata affetta da turboschizofrenia isterica.
Da tempo Eva cercava di mettere pressione al farmacista perché regolarizzasse la loro posizione sentimentale, tanto che, per stimolarlo ulteriormente a fare chiarezza, gli mostrava ogni tanto alcune istantanee esplicite, che lo riprendevano mentre, vivace come raramente lo si poteva vedere, spiegava praticamente alla sua amante ex domatore, la posizione del “Salice piangente”, tratta dal Kama Sutra, una figura con un coefficiente 3 di difficoltà.
L’ex Orso Maria e attuale Eva, confortato/a dalla bella riuscita artistica di quelle foto, non disperava di indurre finalmente Baldo a vuotare il sacco con “Peppa sempre ce colgo”;

Giuseppina Zuppafredda detta “Peppa sempre ce colgo”

c) l’ultimo occupante ad essere scacciato da una delle camere della pensione per favorire Tarallo e soci, fu Gigio Grigio, un maniaco sessuale specializzato, uno che ai suoi tempi si eccitava solo se aveva a che fare con bibliotecarie o impiegate del catasto.
Folgorato da una micidiale conversione spirituale e del tutto pentito, aveva preso i voti minori, indossando il saio dei “Commercialisti di Dio”, un ordine che cercava di aiutare le autorità religiose nel gestire la contabilità del patrimonio ecclesiastico.
Ora Gigio era una persona serena, lontana dalle seduttive bibliotecarie di un tempo e semmai si era trovato vicino, con qualche tentazione repressa, alle Divine Catalogatrici, le religiose che si occupavano degli archivi della Sede Vescovile.

Gigio Grigio in mezzo alle “Divine Catalogatrici”

Quando la Passalà, andati via quei tre, ebbe finalmente fatto riordinare e ripulire, più o meno, le stanze, tutti si accomodarono e si diedero a disfare i loro bagagli, generalmente poco voluminosi.
Lallo si era appena sistemato nella stanza che naturalmente divideva con Consuelo.

Il televisore della stanza della Pensione “La Rossa”

Il vecchio televisore, che di norma funzionava ancora infilando due euro nella apposita fessura, appena la ragazza meraviglia fu entrata, si accese autonomamente e sullo schermo, sintonizzato su un canale mai visto prima, apparve una vecchia trasmissione in bianco e nero: una prosperosa Carla Boni e il suo compagno d’arte e di vita, Gino Latilla, cantavano insieme “Giuvanne cu’ a chitarra”.

Fu a quel punto che il cellulare di Tarallo, un modello antiquatissimo di telefonino dei primordi, sparse per l’ambiente le note romantiche di “Yesterday”, la sua suoneria.
“Ti disturbo Tarallallà?”
La voce di Lello Rapallo appariva su di giri e pronta allo scherzo per via di un percettibilissimo buonumore.
“N O V I T A’ F A V O R E V O L I S S I M E!!! – strillò l’ex condirettore del Fogliaccio – l’imbrattatore ha colpito ieri, clamorosamente.
Saranno state le 22,00: sulla spiaggia dello stabilimento “Que viva el Covid!” l’intrattenitore, Geppo Zombi, uno con precedenti penali per reati contro i padiglioni auricolari, intratteneva con un karaoke da incubo una folla di pitechi urlante e danzante.

In quel carnaio di deficienti, quelli che le avevano appresso, portavano le mascherine come polsiere, altri come bandane, qualcuno addirittura come sospensori, ma tutti, dico tutti Tarà, anche mature signore, erano infilati in canottiere da circo, coprichiappe cortissimi e ciabatte o sandalacci di stretto rito italico estivo.
Ad un certo punto, mentre la plebaglia, tra stecche da gran premio e ululati da lupo in tagliola, stava straziando “Piccolo grande amore” e l’eccitazione era al culmine, la luce è andata via di botto, tra gli alti Ohhh delusi dei numerosi cerebrolesi presenti.
C’è voluto del tempo per ripristinare la corrente in quella confusione, ma quando finalmente tutto è tornato visibile, decine dei karaokisti, perfino Geppo Zombi,
erano stati nel frattempio verniciati, senza accorgersene, con la solita sigla LT sulle canottiere o sui calzoncini, e qualcuno si è accorto addirittura di avere i sandali completamente tinti di rosso.

Movida sulla spiaggia dello stabilimento “Que viva el Covid!”

E senti questa, Lallo: la questura ha organizzato stamattina, a velocità insolita, una conferenza stampa durante la quale il criminologo e profiler Lester Pappatacio ha sostenuto di aver previsto l’attacco.
Secondo lui infatti, all’S.I. le rinuce alimentari alle quali una dieta da tredici calorie giornaliere lo costringono, pesano di più nel fine settimana, si sentono più angosciosamente nella carne e nello spirito.
Lui, Pappatacio intendo, ha detto di aver dato, prima dei fatti, un’occhiata al menù del locale che sarebbe stato poi colpito: accanto alle fritturone e ai primi di pasta con balena e orca, Arturone, lo chef da 130 chili del “ ‘O totano scostumato”, il ristorante annesso allo stabilimento, aveva piazzato nientemeno che una lasagna imperatrice, con salsicce, carciofi e laterizi, e una zuppona di fagioli con le cotiche.

La provocazione, secondo Pappatacio, sarebbe stata insostenibile per il verniciatore misterioso, che avrebbe senz’altro reagito. Bisognava avvertire lo chef del pericolo.

Arturone, lo chef del ‘O totano scostumato

Quel deficiente di criminologo sostiene anche, e, credi, la cosa pare più che surreale, di aver cercato di chiamare Arturone al telefono per metterlo al corrente del rischio e per indurlo ad eliminare dal menù almeno la pasta alle frattaglie di capodoglio, ma che al numero di telefono del cuoco aveva risposto invece una sensualissima voce femminile preregistrata, che reclamizzava mirabolanti prestazioni erotiche coreane.
Tieniti forte Tarà: Levalorto, spedito da Frangiflutti alla conferenza stampa, si è bevuto, o si è dovuto bere tutto, e sai che titolo hanno congegnato quei due vermi per il numero di domani?
“L’IMBRATTATORE COLPISCE ANCORA NEL MUCCHIO! LA CHIAMATA SALVACANOTTE IMPEDITA DA UN DISSERVIZIO DEL GESTORE TELEFONICO”
Non bastando questa scempiaggine, nel fondo quotidiano che sta per pubblicare, Frangiflutti, poi, accogliendo in pieno le tesi di Pappatacio, invita la cittadinanza a comportamenti alimentari più sobri ed accorti, per non eccitare lo squilibrato.
Come sempre, già che c’è, dà la colpa di tutto al sindaco, nemico dei rifiuti privati, accusandolo di non controllare personalmente i menù di tutti i locali cittadini, per poi concludere così, tragicamente, l’editoriale:
“Se è ancora dubbio che l’uso della mascherina ci salvi dal covid 19, appare invece certo che rinunciare per qualche tempo alle tagliatelle al ragù di cinghiale o alla polenta con gli osei, può preservarci dalle vernici rosse del digiunatore pazzo”.
Hai capito che ibrido di lazzarone e coglione che è Tarà?
Ancora un po’ di questa corda e Frangiflutti ci si impicca!

Ognissanti Frangiflutti, il Direttore del Fogliaccio Quotidiano

Stai contento Lalluccio!
A proposito di brutte cose, come stà il tuo martire?
Ancora in giro? Non può fargli che bene, poveraccio: d’altronde che ha visto finora? Solo torture, no?
E allora, buona fuga a San Proto. Ci si sente Tarà”.

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

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