La serie A, che fino a qualche decennio fa era la meta sognata dei giovani talenti del calcio mondiale, da qualche anno è diventata di fatto per molti calciatori una sorta di casa di riposo nella quale trascorrere gli anni della senescenza calcistica.
Molti assi la preferiscono ai più lontani USA e Cina perchè, a fronte di un minor guadagno, consente però di non modificare radicalmente le proprie abitudini. Senza contare gli agi che oggettivamente offre l’Italia.
Importiamo calciatori che hanno speso il meglio delle loro prodezze altrove: Ronaldo (34 anni), Ibrahimovic (38 anni), Ribery (37), Gervinho (33), Alves (38), Young (35), Pedro (33). David Silva (34) ci è sfuggito per un pelo. Allo stesso tempo formiamo e poi esportiamo giovani campioni come Marquinos, Veratti, Tiago Silva, Icardi, Cavani, Salah, Alisson.
Coronavirus, l’appello di Ronaldo:
“Proteggere le vite è più importante di qualsiasi cosa”
| The Globalist
Bene, questo calcio è metafora dell’Italia tutta.
Anche l’Italia è stata un tempo una potenza industriale di serie A.
Priva di materie prime, ha però saputo trasformarle, creando valore aggiunto in virtù di una buona scuola e di un’industria di stato che supportava la ricerca di lunga durata.
Una combinazione che ci ha regalato il miracolo italiano, l’invenzione ad Ivrea del primo personal computer ed una “collezione” di premi Nobel nel settore delle scienze: nel 1963 Giulio Natta per l’invenzione della plastica; nel 1976 Roberto Dulbecco per le sue ricerche sui tumori animali; nel 1984 Carlo Rubbia per la scoperta delle particelle responsabili dell’interazione debole e infine, nel 1986, Rita Levi-Montalcini divenne un Premio Nobel per aver identificato il fattore di accrescimento della fibra nervosa.
Si tratta di eccellenze che hanno avuto la possibilità di emergere perché alcuni settori strategici della produzione erano in mano ad aziende dello Stato che sostenevano una ricerca di lunga durata, oltre a fornire alle aziende private prodotti di base e semilavorati a basso costo: acciaio, energia, materie plastiche e Impianti Demont per lo smantellamento della centrale nucleare di Latina.
E poi cos’è successo?
Lo stato ha cominciato una ‘cura dimagrante’, trasferendo i settori di punta alle aziende private per farle competere con quelle americane e inglesi.
Senonchè, i nostri capitani d’industria, anziché impegnare il loro capitale nell’innovazione tecnologica, hanno preferito spacchettare le industrie vendendole a pezzi, con grande gioia degli azionisti e dei CEO, i quali videro salire alle stelle i loro stipendi.
Tutto questo ha fatto sì che da gigante industriale, che competeva sullo scenario mondiale, siamo diventati oggi sempre più il paese del bel clima e del buon cibo, delle città d’arte e dello shopping di alto livello.
Insomma, il perfetto posto per le vacanze, dove i dehors di bar e ristoranti invadono le piazze medievali ed i quartieri una volta popolari, vengono invasi dalla movida notturna.
Un’involuzione che ha aumentato il gap sociale tra chi ha la possibilità e la capacità di accedere ad una buona formazione e chi no.
Grazie (è proprio il caso di dirlo) al Covid, si presenta però ora la possibilità d’invertire questa deriva utilizzando i 209 miliardi del Recovery fund.
La condizione è che la progettazione abbia come linea guida la ricomposizione della frattura economica e sociale del nostro paese, che l’indebolimento dei servizi formativi, sanitari e sociali non riesce più a ricucire.
*l’idea della metafora mi è stata suggerita da un articolo del quale non ricordo la fonte. Nell’improbabile caso che dovesse trovarsi a leggere questo mio contributo, me ne scuso con l’autore.
Marcello Ciccarelli, in pensione, attivo solo cerebralmente. Una volta docente e amministratore. Ancora appassionato di matematica e politica.