di Anna Claudia Petrillo
Come i più attenti sapranno, ogni volta che sono intervenuta nel dibattito pubblico, l’ho sempre fatto esprimendo un solo concetto: parliamo di temi, costruiamo – in modo collettivo – una visione del futuro, un progetto per la nostra città in vista del 2032.
E siccome credo sia giusto essere leali, mentirei se non vi dicessi che il sentimento che più di tutti mi abita è che il futuro è quanto di più incerto ci sia all’orizzonte. In questo ultimo periodo, il covid è nuovamente ingombrante nel suo essere invisibile. Ma non è marzo. Sono passati otto mesi. In provincia di Latina i casi hanno cifre preoccupanti e il buon vecchio “andrà tutto bene” inizia a risultarci retorico, piuttosto che un proposito di speranza. Il covid ci ha tolto ciò che di più indispensabile avevamo per costruire dei percorsi collettivi: gli assembramenti. È chiara ormai a tutti l’importanza di un nuovo punto di vista collettivo. Allora ci affanniamo a fare mille “call”, perché il bisogno di stare insieme non può togliercelo davvero nessuno. Se tutto questo è vero, è anche vero che questa pandemia ci consegna una responsabilità, e questa è la necessità di mettersi in discussione.
Perché se c’è qualcosa di buono, è che questo è un tempo molto politico
Questo è il tempo del coraggio, quello ad esempio di definirsi. Poi quello di riconoscersi. Ma come si fa a riconoscersi in una città? Una città più giusta, più equa, è una città iperconnessa. Non possiamo non farci carico di un sentire collettivo: quello che questa città vorrà essere “da grande” lo decidano tutti. Allora, c’è bisogno di creare connessioni: tra la periferia e il centro; tra le persone e le istituzioni; tra la politica e le persone; tra le persone e le persone. E per fare questo abbiamo bisogno di “pensieri lunghi”, di organizzare lo spazio in cui viviamo avendo chiare a mente tre parole chiave: ambiente, dignità e cultura. Oggi, non abbiamo bisogno di vincere una “piccola elezione”, ma occorre rimettere una bandiera nel cuore delle persone. Ricreare, cioè, un sentire condiviso. E come possiamo farlo se non creando connessioni? Ci sono molti modi tangibili per farlo. Ad esempio, le connessioni si possono creare attraverso spazi polifunzionali, che favoriscano l’aggregazione e contribuiscano all’espressione delle potenzialità di ogni cittadina e cittadino (valorizzando certamente quelli già esistenti).
Le connessioni si rendono possibili, poi, predisponendo un sistema di servizi dislocato su tutto il territorio e supportato da una rete di infrastrutture adeguata, nonché integrata, che sfrutti una mobilità etica – ovvero leggera e dolce- e grandi sistemi di connessioni ecologiche. Per esempio, creando in modo capillare il collegamento ciclopedonale e servizi dedicati.
Ma la possibilità di potersi mettere in connessione si misura anche sulle possibilità di poter usufruire dei servizi. Quindi, conseguentemente, prevedere delle soluzioni per cui tutti possano avere la stessa possibilità di andare in bicicletta, non solo da un punto di vista della barriera urbana, ma anche di quella sociale: bonus per l’acquisto di biciclette o per usufruire di servizi della città come bici a noleggio, affiancandolo con un meticoloso lavoro di profonda sensibilizzazione ed educazione alla bellezza. Per rendere meno periferiche le periferie, va ripensata la città secondo uno dei valori fondamentali del nostro tempo, ossia quello del minimo consumo di suolo possibile. Pensare quindi alla trasformazione del territorio non urbanizzato con soluzioni sostenibili e usare le connessioni ecologiche come strumenti di ricucitura: anche i vuoti possono essere pieni, quindi le discontinuità potranno essere colmate con la conversione in parchi tematici, agricoli o paesaggistici. Espandendo, allo stesso tempo, il tessuto insediativo, favorendo la collaborazione tra pubblico e privato in modo da realizzare grandi progetti di edilizia convenzionata. Si garantirà così la creazione di abitazioni e opere, insomma un piano urbanistico che guardi al futuro e che abbia uno sguardo su un altro dei grandi temi contemporanei: la mixitè sociale e funzionale.
Dobbiamo dunque lavorare per la bellezza, partendo dalla necessità di migliorare i luoghi in cui viviamo, senza lasciarci sopraffare dalla paura di perdere. Come cittadine e cittadini dell’oggi ci troviamo ad affrontare la sfida più ardua di sempre, ma anche la più importante: la costruzione delle fondamenta sulle quali potrà ergersi una comunità proiettata verso il futuro. Ed è paradossalmente grazie a questa pandemia che riscopriamo l’importanza della radicalità del nostro agire, del nostro pensare e del nostro progettare. Ripartire dalla radicalità, smettendo di giocare a nostro piacimento con il suo significato e richiamare invece alla mente l’essenza etimologica della parola. Radicale: relativo alla radice, cioè all’intima essenza di qualcosa.
Dobbiamo ripartire dalla radice delle cose, a noi spetta la costruzione, la ricerca di quelle idee, di quelle relazioni che costituiranno l’inevitabile nutrimento del futuro della nostra comunità.
Se c’è un ruolo che deve giocare oggi la politica non può che essere la capacità di creare speranza: mettere i sostantivi e gli aggettivi.
E saperne riconoscere la differenza.
Anna Claudia Petrillo attivista lgbt+ e 6000 Sardine.
Vivo per la politica, mi piace stare tra le persone, preferibilmente in piazza (sì, è un periodaccio). Ho avuto la fortuna di prendere parte all’organizzazione dei primi pride di provincia nel Lazio, Latina e Frosinone. Il 7 Dicembre scorso con Andrea, Fabio e Pier Luca abbiamo organizzato la piazza delle 6000 Sardine a Latina. Oltre 3000 persone di cui sono orgogliosa.
Pensieri per la Città – Un’Agorà per Latina è la nuova rubrica-contenitore della nostra rivista blog, LatinaCittà Aperta.
Abbiamo, infatti, voluto affiancare al nostro settimanale, che come sapete tratta di argomenti che potremmo un po’ pomposamente definire di “cultura generale”, uno spazio, un’agorà di riflessione e di approfondimento intergenerazionale su temi della città che ci ospita, Latina, non limitandoci ad essa.
Ci si propone di istituire qualcosa di vivo, un luogo di confronto e di approfondimento, gestito da giovani, donne e uomini, forze fresche e consolidate intelligenze, persuase che la partecipazione e il confronto siano i cardini della buona politica.