La città nella quale si svolgevano e si svolgono tuttora le imprese dei nostri personaggi, un luogo per molti versi afflitto da una quasi antropologica indolenza civile, in seguito agli eventi fin qui raccontati, venne d’un sol botto scossa e sferzata dalla vistosa svolta giornalistica del Fogliaccio.
Fu investita da una specie di tornado, un vento impetuoso che sballottò rudemente tantissime vecchie ed incallite pigrizie mentali.
Troppa, tra la sua cittadinanza, era stata la gente abituata ad informarsi male, magari solo sbirciando nei bar i titoli fuorvianti e maligni del Fogliaccio di Frangiflutti, maniacalmente rivolti contro l’amministrazione dei dannatissimi usurpatori civici che avevano scalzato le conservatrici truppe.
Troppe truppe trippe, e culi, che si erano avvinghiati per decenni alle risorse cittadine come le patelle s’appiccicano ai loro scogli, imperterrite come Dracula nelle sue attività estrattive a danno dei lunghi, algidi e aristocratici colli di fanciulle in fiore.
Furono davvero un bel po’ i cappelli che saltarono su, bene in alto, oltre le teste dure dei loro proprietari, allorché questi ultimi, intenti a scroccare come sempre il loro giornale nel loro bar prediletto, incapparono nella sensazionale inchiesta di Tarallo sul business dei rifiuti.
Al netto di tanti arresti e di tante incriminazioni già avvenute in passato, adesso tanti figuri di scarse virtù morali e carente alfabetizzazione, quei politici dinanzi ai quali, in ragione dei posti di potere da essi ghermiti per trent’anni, quei cappelli se l’erano levati in tanti per mille volte, ebbene ora quegli stessi potenti venivano di botto descritti ai cittadini più imbolsiti e inerti, come membri di una vasta associazione criminale che aveva collaborato senza alcun problema con le mafie nel cavare oro dall’immondizia.
“Cosa si aspetta ad incarcerarli?”,
tuonava Tarallo stillando inchiostro e sdegno.
A parecchi di questi frequentatori di bar, folgorati dallo stupore, rimase in gola l’ultimo corno della brioche che stavano addentando: da tempo venivano intossicati, senza che reagissero, dal tono sulfureo, obliquo e velenoso, di quello che, poveretti, sentivano come il loro quotidiano.
Quel Fogliaccio era in realtà un pastone cartaceo che si contraddistingueva per una falsa apparenza di moderazione e di equilibrio, puntualmente smentita, infatti, da una linea editoriale faziosa, dai contenuti tossici.
Quelle incredibili, dirette, spicce bombe, che ora venivano disseminate nelle prime pagine e nell’inchiesta del giornale postrivoluzionario, così dirette e dure, provocarono un’epidemia di strabuzzamenti tale da procurare per almeno una settimana, dei pingui profitti agli oculisti, stampandogli nelle facce il sorriso abbagliante e inebetente di un Carlo Conti, l’uomo senza qualità, a parte quella.
Il Fogliaccio, in tutta evidenza, era andato a prelevare, chissà da quale soffitta, i cimeli di nonni sovversivi ed incazzosi, un inedito completo da combattente, un abito fatto di ferraglia, elmo e lancia in resta.
Quel quotidiano dalla tradizionale natura palustre, pareva ora più che deciso a prendere la rincorsa per andare a cozzare, con la zucca ad ariete, contro poteri innominabili e verosimilmente pericolosi.
La Direzione da sempre impressa da Ognissanti Frangiflutti al suo lavoro era stata sempre, infatti, del tutto opposta: si dovevano annegare i fatti in uno stagno miasmatico, lasciandoli sguazzare tra acri umori fino a renderli mansueti, e se proprio se ne doveva estrarre qualcuno vero, lo si modellava ed utilizzava ad arte a pro dei politici che in quel momento erano più in auge nello schieramento conservatore, mai privo di voraci e bellicosi commensali che si contendevano la stessa, preziosa stozza.
Quei fatti, trattati con la consueta mellifluità, venivano poi usati contro i nemici dei soggetti in questione, operanti di solito nelle loro stesse fila, fratelli coltelli di altrettanto buon appetito.
Frangiflutti insomma, ispirato dall’eredità morale del suo mentore, il bancarottiere nero Cicciafico, navigava abilmente nel mare dell’eterna guerra per bande tra gli esponenti della stessa area conservatrice, che da sempre aveva detenuto il potere cittadino, sponsorizzando, secondo i vantaggi che gliene derivavano, ora l’uno ora l’altro dei contendenti, e ammiccando, qualora servisse, anche a cose che, taciute, avrebbero prodotto più effetti di quelle dette: tutti erano così avvertiti.
Quel gioco politico-editoriale pro domo sua, andava avanti ormai da decenni, permettendo al Direttorissimo di straprosperarci su e di rifornirsi di una boria da podio olimpico e di centinaia di camicie e cravattelle di qualità certificata.
Qualche anno prima, però, sorprendendo il mondo intero, era accaduto un fatto che agli occhi di un Frangiflutti devastato dal dolore, era parso cataclismatico, disintegrante e feralissimo: l’elettorato locale, noto per la sua inerzia ultradecennale, e per l’impermeabilità a qualsiasi malefatta del potere, recatosi a votare, evidentemente alticcio, nel giorno delle elezioni si era affidato in blocco ad un sindaco civico, un tipo fuggito da qualche manicomio residuo, un mistico prestato alla politica, un soggetto pazzo al punto di mettersi a fare per davvero gli interessi della città.
Da quel momento in poi, venne accantonata ogni bega, pendenza o faida tra le bande conservatrici costantemente in lotta: dal secondo successivo all’istante della sua proclamazione, e da allora per l’eternità, quel sindaco sovversivo e la sua giunta, sarebbero stati ritenuti il nemico pubblico numero uno, sia dal Direttore Frangiflutti che dal suo universo di riferimento, il fronte conservatore cittadino, cioè, ritrovatosi improvvisamente unito, a galleggiare sulla stessa barca.
Il grande banchetto si era interrotto, ma si erano immediatamente aperte le prenotazioni per un nuovo e ancor più agognato baccanale a danno della città: il Fogliaccio sarebbe stato lo strumento principe per i vecchi e nuovi barracuda per poter tornare ad impugnare al più presto le loro armi predilette, le posate.
Ma ora c’era stato il golpe pandemico-rivoluzionario, e tutto pareva sottosopra.
Se quei lettori di zucca pigra, da sempre tenuti distanti dai loro reali nemici dalle miserie giornalistiche di Frangiflutti e dirottati piuttosto ad azzannare chi stava faticosamente tentando di tirarli fuori dai miasmi della brutta politica, avessero potuto sbirciare ora all’interno della redazione del Fogliaccio, non avrebbero potuto fare a meno di cacciare un nitrito di sorpresa.
Avrebbero sentitò l’impulso ad andare ad abbeverarsi a qualcosa di forte, magari ricorrendo, al celeberrimo, estremo e semiletale amaro “ Millerbe Taurodonte”: 150% di benzene, 30% di estratto di licheni delle Isole Lofoten e 20% di succo di carote vergini dell’Idaho.
In sede. infatti, tutto era cambiato.
L’ N.D.P.T.I.A.D.E.N.F., ovvero il Nuovo Direttore Pro Tempore In Attesa Di Eventuale Negatività Frangifluttiana, in altre parole “El Conducator” Rapallo, aveva collocato la sua postazione fuori dell’ufficio della Direzione, piazzando l’elefantiaca scrivania di Frangiflutti proprio al centro della sala della redazione, per avere sott’occhio tutti gli schermi coi cronisti impegnati nello smart working, per essere uno di loro.
Si era messo in plancia, insomma, come il rotondetto Capitano Kirk di Star Trek.
Aveva ovviamente tolto da quel maestoso arredo la foto di Peppe Cicciafico a braccio teso, riponendola temporaneamente nel lussureggiante bagno direzionale, e precisamente sulla mensola di un mobiletto di servizio, proprio accanto alle riserve della rotolosa carta igienica “Soffio d’oro”, famosa per la sua morbidezza lieve, da piumino da spolvero.
Da quella stessa scrivania, dalla quale Lello Rapallo, oltre a svolgere il proprio, coordinava il lavoro dei redattori, al posto di quello torvo di Cicciafico, sorridevano ora ben altri volti.
C’era Papa Francesco con la maglia della squadra argentina del San Lorenzo, poi Camilo Cienfuegos, zio rivoluzionario del prete alleato nella temporanea liberazione del giornale, poi ancora si potevano notare la barba disordinata e gli occhialetti vispi di Pierre-Joseph Proudhon, ed infine, last but not least, il volto corrucciato di Greta, lo sbilenco amore rapalliano.
Poco distante, visto il persistere della positività in Totonno Levalorto, caporedattore e principale vellicatore delle terga frangifluttiane, Lallo Tarallo ne aveva assunto le funzioni pro tempore, unendole a quelle sue proprie, di belva da inchiesta.
Levatosi finalmente dalla prossimità coi biechi e mefitici servizi igienici dei cronisti e da quella con la scrivania al gorgonzola avariato dell’aromatico Taruffi, Lallo aveva occupato la bella postazione di Levalorto, dalla quale aveva subito espulso la foto in cornice di Bruno Vespa, ripulendo la zona sottostante dall’olio ch’essa aveva versato, e piazzando al suo posto altre due fotografie: un’abbacinante immagine di Consuelo, che solo a guardarla faceva ricrescere i capelli ai calvi, ed una foto di gruppo con tutta la banda degli amici, scattata sul ponte del panfilo di Cervellenstein durante una loro crociera.
Dalle varie sedi di lavoro smart, non tardarono ad affacciarsi i visi assortiti dei cronisti, alcuni dei quali ancora non riuscivano ad adeguarsi alle novità da capogiro che avevano dovuto assorbire.
Trasformare in agguerriti servitori della verità dei passacarte avvezzi al vassallaggio estremo, era qualcosa di mostruosamente audace, un po’ come tentare di tramutare Renzi da Bruto in Cesare.
Federico Sgargarozzi, storico cronista del giornale, invece, rubizzo in faccia come un sammarzano in estasi, seguitava a lavorare da casa coi piedi a mollo nel suo amato pediluvio miracoloso, un intruglio dagli effetti addirittura inebrianti: calli, che fino a poco tempo prima si erano dimostrati della stessa coriacità di Jovanotti nel rinunciare alle stecche, si mostravano ora ammorbiditi, annichiliti e ridotti all’obbedienza.
Così il suo cervello finiva per funzionare meglio, ed il suo contributo professionale si innalzava di livello.
Reso frizzante dal piede più lucido ed esaltato dall’esito della lotta per il tamponamento di Frangiflutti, d’accordo con Rapallo, Sgargarozzi stava spedendo un pezzo assai critico nei confronti di un progetto presentato dal già senatore Terenzio Maffeo, un ex sindaco della città che, senza supporto di allucinogeni, ma soprattutto senza alcun ritegno, ipotizzava, come fosse cosa da niente, il trasporto di un tratto di litorale tirrenico, quello di competenza cittadina, fino al centro della città stessa, e la conseguente sostituzione delle vecchie e inoperose fontane cittadine con la riva del mare.
Senza minimamente avvertire la figuraccia del suo intero staff neuronale, gongolava con accenti fanatici:
“Non sarà potabile come quella delle vecchie fontane, quell’acqua, ma ci si può fare il bagno.
Piazzandola in centro città, lo vedono bene tutti, la riva del mare sarebbe molto più sfruttabile a fini turistici.
Pensate a quale meraviglia sia l’avere il mare in centro: se non credere a me, chiedetelo ai napoletani, ai livornesi o ai genovesi, cosa significhi.
La pesca alle marmore e ai guizzanti cefalotti, tanto per dire, fatta in una sede più vicina e comoda rispetto all’attuale, assumerebbe anche un certo valore sociale: potrebbe diventare il passatempo più gradevole e soddisfacente per i nostri anziani, che si sono trovati a corto di cantieri da osservare in questo periodo di forzato immobilismo edilizio, e la pesca amatoriale arriverebbe a costituire un’ulteriore risorsa economica per la nostra comunità.
Quanto ai trasporti, risolvere qualche problema sarà semplicissimo: basterà sostituire delle barche alle nostre automobili e un buon numero di vaporetti agli autobus, e ho già in mente dove andarli a prendere.
Pensiamo in grande: facendo così diventeremmo la seconda, alternativa e visitatissima Venezia italiana!! ….”
La posizione severamente critica assunta dal nuovo Fogliaccio nei confronti del progetto neurolabile dell’ex sindaco Maffeo, non vi sussisteva alcun dubbio, avrebbe dato il miglior segnale di discontinuità editoriale rispetto alla linea passata del quotidiano.
Fu così che questo compito rivoluzionario venne affidato ad un orgogliosissimo Sgargarozzi, un uomo redento dai pediluvi e dal vangelo rivoluzionario.
In precedenza Frangiflutti, che pure in alcuni momenti ondivaghi, foraggiato dai suoi amici-nemici, aveva attaccato Maffeo, pareva oggi fargli da sponda, tanto che fino a qualche giorno prima di essere pescato positivo, aveva pubblicato sul giornale solo pareri selezionati tra quelli particolarmente favorevoli al folle progetto, spingendosi addirittura a stampare dei “rendering” passatigli dall’uomo politico risorgente, immagini nelle quali si potevano ammirare ipotetici ottuagenari che, sorridenti come Amadeus davanti ad uno scaffale di detersivi, facevano surf, scatenati come dei minorenni californiani, nell’ex piazzale delle autolinee.
L’inchiesta spericolata di Tarallo sul business illegale dei rifiuti, che stava inondando di melma la città, più l’articolo infuocato del “pasionario” Sgargarozzi contro l’ex sindaco Maffeo, furono invece il primo urlo, alto e forte, di vera indipendenza, vessillo inedito della guerra santa al mediocre e servile passato giornalistico del Fogliaccio.
Rappresentarono uno stimolo ed una sfida civile per chi, per troppo tempo, aveva bevuto quelle fole.
Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.
Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti