il mondo di un borderline, Charles Bukowski -Prima Parte-

“Passai accanto a 200 persone e non riuscii a vedere un solo essere umano”.

Il rapporto di Bukowski con la letteratura è quello di un autodidatta.
corrosivo e naturale, tanto che il suo percorso si sviluppa per certi versi all’opposto delle usuali parabole degli scrittori.
Bukowski non sembra mai essere “arrivato” alla letteratura, ma, semmai, sembra essercisi “trovato”.

La sua posizione quindi rispetto alla scena letteraria è quella di un figlio ribelle, capace di svelarci quali siano le sue dinamiche familiari, come funzionino i suoi comportamenti di facciata o le beghe interne.
Ci mostra dunque, sia la “sovrastruttura” della letteratura (l’editoria, industria culturale), che la “struttura” (i meccanismi della narrazione, della poesia).
Perché, nonostante questa apparente “aletterarietà” di Bukowski, noi nei suoi libri arriviamo a interrogarci in molti modi su questioni del tipo “che cos’è che trasforma un testo scritto in un testo letterario?”

Ed è naturale che siano proprio le pagine originariamente non destinate alla pubblicazione, come i diari e le lettere, a fornire il campione di scrittura migliore per analizzare l’ambiente di un autore.
E qui il caso Bukowski può rivelarsi ancora più esemplare, proprio per l’assoluta sua trasparenza, la sfacciataggine con cui il vecchio Hank sa gettarsi tra le braccia del lettore.

Henry Charles “Hank” Bukowski Jr.

Bukowski è l’esatto contrario dello scrittore da scoprire, è lo scrittore già scoperto.
La lista dei suoi libri comprende un centinaio di titoli, il che vuol dire che di ciò che Bukowski ha scritto, si è pubblicato e tradotto praticamente quasi tutto.

Racconti tirati fuori dal cestino, poesie scritte sulla tovaglietta di un bar, le lettere, i biglietti agli amici, i disegnini fatti al telefono: Bukowski, insomma, è uno scrittore che è stato raccontato da decine di testimonianze.
E la ragione sta certo nel fatto che si tratta di uno scrittore molto amato, ma risiede soprattutto nel fatto che lui pare aver completamente eliminato i confini che separano l’autore dal personaggio.

Nei suoi romanzi, nei suoi racconti, nelle sue poesie, Bukowski parla in ogni caso attraverso di sé, la cosa, cioè che conosce meglio, descrive il suo mondo e la gente che lo circonda.
Lo fa con un unico criterio di valore: un’assoluta sincerità.

Chi è, e come è fatto Bukowski?
È un poeta che assorbe, vive e scandaglia tutte le contraddizioni che la sua posizione sociale, economica e storica gli presentano? Oppure è un personaggio odioso, misogino, se non misantropo, privo di prospettive esistenziali e ideali, che dilapida il suo talento per ottenere i soldi per andare a puttane e alle corse dei cavalli?

Bukowski e Linda Lee

Bukowski, in ogni caso, è un borderline.
Ferocemente critico nei confronti del suo tempo, si è trasformato negli anni in un personaggio centrale della cultura, non solo americana, ma questo riconoscimento internazionale non ha intaccato in nessun modo il radicalismo delle sue scelte artistiche, e soprattutto delle sue posizioni socio-politiche.
Se si spulciano i suoi scritti si vede che dal momento in cui comincia la sua vita artistica, cioè dalla metà degli anni Sessanta, Bukowski prende di continuo posizione su questo o quel tema sociale, conosce le personalità più significative della controcultura contemporanea (dai beat, a Robert Crumb, a Larry Flynt per esempio), ma nulla sembra scalfire minimamente il suo atteggiamento di totale diversità: perchè Hank è un individualista, arrabbiato con tutti e con nessuno, forse abbastanza indifferente a quello che accade più lontano dei suoi piedi.

Pasolini

Una ricezione simile in pubblico è toccata in Italia a Pasolini, il poeta della contraddizione per eccellenza.
E la figura di Pasolini può tornare utile proprio per capire come collocare quella di Bukowski. Entrambi erano personaggi che vivevano una sorta di autoesilio nel proprio paese, che manifestavano ad ogni respiro il disagio per il moralismo ipocrita del mondo che li circondava, e che anche a causa di un elemento di irriducibilità sociale (per Pasolini è l’omosessualità, per Bukowski la dipendenza dall’alcol), hanno continuato a dare scandalo.
La consapevolezza comune ad entrambi era quella di far parte di una società che sembra

“eliminare in modo spietato e inesorabile ogni possibilità di negativo in quanto tale…”

Questa concezione di “sistema totale del pensiero unico” della società odierna, riduce le scelte di resistenza soltanto a gesti anarcoidi.
Quali possono essere allora questi gesti?
In che senso l’anarchismo di Bukowski assume le forme dell’anticonformismo e della critica sociale?

Bukowski è uno scrittore iconoclasta, ma come altri scrittori iconoclasti, l’amato Cèline ad esempio, Bukowski è uno scrittore la cui iconoclastia non risparmia nulla, neanche sé stesso.
Quella di Bukowski è, come dire, un’idea un po’ operaia e un po’ romantica del talento, un’idea che gli rende inviso tutto l’inutile chiacchiericcio degli ambienti letterari e dei salotti, portandolo a sviluppare una dedizione insospettabile per il suo mestiere di scrittore.

Scrivere gli dà da vivere, anche in senso esistenziale: è l’unica cosa che l’ha salvato dal deserto dell’alienazione, dell’alcolismo, della depressione, da sè stesso, in definitiva.

Quella di Bukowski non è certo una posa anticonformista (del resto è stato sempre sprezzante anche nei confronti di tutta la fenomenologia modaiola della controcultura: droghe, militanza politica, musica hippie…) ma una profonda e sincera reazione contro l’ostentazione, il celato perbenismo degli scrittori affermati.

Ciò che Bukowski cerca di realizzare con la scrittura non è trasformare la realtà, ma scavarla, alla ricerca di un sentimento, di un’anima interna.
La sua concezione dell’esistenza sembra quella spinoziana:

“è l’idea che esista un principio naturale che forma, e permea, tutte le cose, per cui parlare dei cieli e del paradiso è la stessa cosa che parlare di un frigo vuoto o di un alcolizzato che per dodici ininterrotti anni vive una vita infernale: di un povero, allo sbando, senza dignità sociale, che finisce in un ospedale per barboni, tocca da vicino la morte, ma si salva, e si mette a scrivere”.

Charles Bukowski ha raccontato, nelle sue storie, nei romanzi, nelle lettere, infinite volte, come in una serie di variazioni, questa vita apparentemente senza vita, con quella capacità di credibilità che è la sua vera cifra stilistica.

Poco riconoscente con gli amici, intrattabile da ubriaco, un vecchio depravato che disprezza le donne…, il ritratto di Bukowski che viene fuori dalle parole di molte persone che gli sono state vicino è spesso quello di un uomo (a voler essere buoni) cinico, molesto: nulla di diverso da quanto in effetti ci si aspetti.
Più difficile da comprendere allora è l’immediata simpatia che il vecchio Hank Bukowski suscita in gran parte dei suoi lettori.

Eccolo insultare brutalmente l’editore che ancora non gli ha pubblicato le poesie, e nella lettera successiva recitargli un peana di lodi perché ha finalmente ricevuto le copie appena stampate.
Eccolo bestemmiare la vita dell’intero universo e riuscire a essere innamorato di ogni minuzia che gli offre la vita.

Quello che ci sorprende allora, in molte sue lettere, è il Bukowski distante da quella specie di mito che lui stesso ha per certi versi, senza volere, creato: è il padre che scrive lettere tenerissime a sua figlia o magari il melomane fissato con la musica classica.
Si potrebbe sostenere che Bukowski è un esempio di antiamericanismo e lo è in quanto incarna la figura, come diceva Camus, dell’uomo in rivolta, un uomo che dice costantemente di no, ma che non trasforma la sua ribellione in atto rivoluzionario, ma che tiene solo costantemente acceso questo suo spirito

di radicale opposizione.


bibliografia

Fredric Jameson, L’inconscio politico, Garzanti, 1990.
Howard Sounes, Bukowski, Guanda, 2000.
Peter Burger, Teoria dell’avanguardia, Bollati Boringhieri, 1990.
Christian Raimo, Birra, fagioli, crackers e sigarette (lettere di Bukowski), Minimum Fax, 2001

Continua…

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

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