Tarallo e la via rivoluzionaria al giornalismo

Il Direttore del Fogliaccio, Ognissanti Frangiflutti, al quale nei primi giorni di isolamento era finita sotto il naso una copia del quotidiano, era rimasto totalmente sconvolto dalla piega che, in sua assenza, andava prendendo la sua “creatura”, ma non era in condizione di intervenire.
Ruggendo interiormente per il senso di impotenza che lo devastava, proseguiva la sua dorata quarantena da positivo presso la modernissima e sfarzosa Clinica “Santa Perifrastica Martire Straziata”.
Le giornate gli passavano addosso lente, noiose, scandite dai soliti riti sanitari.
Erano immancabili i prelievi, le pillole e le misurazioni varie: dalla temperatura fino al rito del bacio del dito fatto al saturimetro, ossia quell’aggeggetto a clip che misura l’ossigenazione, un coso sconosciuto ai più, prima della pandemia.
Frangiflutti, la prima volta che gli chiesero il dito si mise subito sulla difensiva: la sua natura sparagnina era portata ad un istintivo senso di ritrosia, così cercava in ogni situazione di dare il meno possibile di sé.
Troppo radicati in lui, gli insegnamenti del suo mentore Cicciafico gli tornavano in mente ad ogni minima occasione, figurarsi in una situazione come quella:

“Si te chiedono er dito se pijano ‘a mano: nun je lo dà.
Si te chiedono ‘a mano vojono er braccio: nun je la dà
Si te chiedono er braccio, o li manni affanculo o te fai pagà caro:
è chiaro Frangiflù?”

Solo quando lo persuasero che infilare il dito in quell’affarino era un’operazione che aveva notevole importanza per rendersi conto del decorso della malattia, finì per farlo, pure se di malgarbo.
Del resto si era già stupito, e non poco, di possedere un’ossigenazione: non ne sapeva niente, non si era mai occupato di fisiologia del corpo umano e anche ora che lo aveva saputo, era restio a credere che un organismo come il suo, che viveva parte del suo tempo a contatto con un agglomerato di fetori, quale era il cronista della provinciale, Marzio Taruffi, potesse vantare ancora un residuo di ossigeno al suo interno.
Tolte, quali che fossero, le operazioni di natura medica, per il resto della giornata il contagiato Frangiflutti non aveva contatti con nessuno e ben poco da fare nella bellissima stanza che occupava.
Non guardava più l’abnorme schermo del televisore, una superficie che vantava più pollici di quelli della dea Khalì moltiplicati per cento, ma che facendo parte di un sistema a circuito chiuso, mandava in onda solo edificanti vite di beati e santi.
Lui se ne era disgustato del tutto dopo aver visto il programma che riguardava il martirio di San Brodone da Acquasudata, un evento impressionante per la sua rara cruenza, ma molto ben ricostruita nel documentario agiografico.
Il formidabile santo venne decapitato dai romani.
Così, semplicemente: gli tagliarono il capo con un sol colpo.

San Brodone da Acquasudata

Pareva fatta, uno scherzetto insomma, ma la sua testa, miracolosamente, non solo non perse conoscenza, ma seguitò a predicare ininterrottamente la virtù a quei barbari, gente che, al contrario di quell’uomo esemplare, non possedeva affatto la dote della pazienza.
Gli aguzzini vennero sorpresi molto negativamente da quel contrattempo seccante e, a furia di sentirsi quel costante sottofondo sonoro nelle orecchie, cominciavano ad avvertire un gran mal di capo.
A quel punto, per metterlo a tacere definitivamente, decisero allora di poggiare quella nobile testa su un rogo improvvisato, ottenuto dal legno di una catapulta che si era guastata mesi prima.
Dopo qualche tempo la testa del povero santo tacque sotto l’effetto delle fiamme, così gli empi persecutori si diedero a sconce manifestazioni di soddisfazione, ma fu allora che il corpo decapitato di San Brodone, miracolosamente, prese lui a predicare, in luogo del capo che era stato bruciato.
Il nervosismo che serpeggiò allora tra le fila dei martirizzatori fu notevole: si era anche fatta una certa ora e qualcuno di essi, soprattutto tra coloro che erano stati fino ad allora i più vivaci nell’orrida missione, cominciava a sentirsi esasperato, stanco ed affamato.
Li punzecchiava, va detto, anche il tarlo professionale, per non aver sbrigato il loro dovere a puntino, e questo era un elemento che aggiungeva carburante alla loro esasperazione: sentivano il bisogno di completare il lavoro come si doveva, e di mettersi, per così dire, data la natura scellerata di esso, la coscienza a posto.
Per riuscire definitivamente a far tacere il santo, decisero quindi di bruciare sul rogo anche il suo corpo parlante, così, avuta facilmente ragione di esso, lo poggiarono sulla legna ardente.

Quando, dopo qualche minuto, la voce del santo venne meno, gli aguzzini, sbuffarono di sollievo e, voltate le spalle al luogo del martirio, cominciarono ad allontanarsi, a camminare verso le loro abitazioni.
Ma dopo che essi ebbero fatto appena qualche passo, dalla legna combusta del rogo si levò alta la sola voce di San Brodone, che riprese miracolosamente a predicare, fitta fitta, la virtù.
Per la disperazione di quegli empi, quel fuoco miracoloso non si consumò mai più, come pure l’inesausta voce del santo.
Il concetto di esaurimento nervoso, scoperto molto più tardi dagli psicoanalisti, nacque proprio quel giorno ed in quella circostanza: dopo i tanti sforzi fatti, quando sentirono che anche la pira cominciava a predicare, i martirizzatori se ne beccarono una buona razione pro capite.
Essi ebbero così a scontare duramente la loro crudeltà disumana.
Non si poteva certo dar torto al Direttore Frangiflutti se dopo il documentario sulla brutta fine di San Brodone da Acquasudata, rifiutò di guardare altri programmi.
Certo il suo umore non sarebbe migliorato se avesse dato un’occhiata ai numeri del Fogliaccio che uscivano in quel periodo e che smentivano fragorosamente la sua linea editoriale.
Messo sull’avviso dal premuroso Monsignor Missitalia, il Direttore della clinica, Dott. Ulpio Castrozzi, dando prova di lodevole prudenza, aveva dato ordine al personale di non recapitare più a Franfiflutti alcuna copia del suo giornale: era una questione di salute!
Il Direttore infettato aveva dunque a disposizione un numero illimitato di pubblicazioni, dai grandi quotidiani nazionali fino alla rivista “100 fiori a maglia, ai ferri & a uncinetto”, passando per “La Bibbia del pescatore con la mosca”, ma non poteva leggere il suo Fogliaccio!

Meglio così per lui.
In redazione, infatti, l’aria nuova di libertà e di coraggio che vi circolava, aveva nel frattempo contagiato tutti, anche i cronisti che si erano mostrati a lungo più cauti, che si diedero ora a sfrenare gli istinti giornalistici a lungo repressi.
Ascanio Tripozzi, redattore per la politica locale, conosciutissimo per essere il lecchino di lungo corso del giornale, dopo qualche giorno di attesa, avendo constatato che non c’era stata alcuna feroce repressione e che tutti erano ancora vivi e fuori dalla galera, si era presentato al lavoro con degli occhialini metallici tondi piazzati sul naso, si era fatto crescere dei baffetti ed un inedito e lungo pizzetto.
Indossava un vestito antiquato, completato da un lungo paio di stivali.
Lasciò tutti di stucco: praticamente era il ritratto sputato del defunto Lev Trockij!!

Ascanio Tripozzi, detto Linguadifuoco
Ascanio Tripozzi, detto Linguadifuoco, dopo la sua trasformazione

Il quotidiano, inoltre, con gran sorpresa di chi, trovandolo grigio e falsamente istituzionale nei toni, si era sempre rifiutato di leggerlo, pareva aver messo in campo altri stimoli, essendosi arricchito di nuovi collaboratori e di nuove rubriche.
Ogni mercoledì il prestigioso psicologo e cattedratico, Prof. Samuele Cervellenstein, curava la rubrica “Zucche calde” che trattava con lieve ironia i più frequenti disturbi della psiche, e rispondeva con altrettanto garbo ai quesiti di lettori cerebrofrizzanti dalle turbe psichiche spettacolari.
Il venerdì era il turno dell’esperto finanziario Abdhulafiah Abdhul di commentare la settimana della Borsa, svelando inediti retroscena, fatti quasi impossibili da scoprire, conquistando i lettori con la sua competenza e chiarezza di esposizione.
Fu memorabile, in quei giorni, il suo articolo sulla scalata al gruppo Eurogastric, massimo produttore di estintori in pillole per stomaci ardenti, da parte dell’aggressiva cordata detta dei “tabacconi”, facente capo a Spiro De Squalis, amministratore delegato della South Vomit.
Dopo l’esplosivo fondo di Abdhulafiah, le magistrature di diverse nazioni, inclusa quella di Biškek nel Kirghizistan, si insospettirono e diedero il via, tutte insieme, a svariate e segretissime inchieste a sfondo finanziario, ipotizzando che con quella sola operazione fossero stati commessi almeno 756 diversi reati, compreso un caso di molestie sessuali nei confronti di un’infermiera presbite alle soglie della pensione.

Il Dott. Spiro De Squalis, amministratore delegato della South Vomit

Ma la più rischiosa scommessa di Tarallo e Rapallo, fu quella di affidare la rubrica di costume, “Vizi e virtù”, a Omar Tressette, che volle subito ribattezzarla “Vizi e stravizi”.
Tutte le idiosincrasie dell’ometto, un’intera e monumentale enciclopedia dell’intolleranza, si riversarono nei suoi succulenti articoli, che uscivano il sabato, in quinta pagina.
Messi tutti insieme, man mano che si accumulavano, i suoi pezzi al curaro, finivano per costituire progressivamente una grande lista nera delle abitudini da censurare, quelle da lui ritenute intollerabili.
Nei bar cittadini si videro allora scene buffissime di tizi che, mentre, come sempre, roteavano la tazzina del caffè prima di berne l’ultimo sorso, si ritrovavano a leggere l’infuocato articolo di Tressette in cui si auspicava che quel vezzo venisse punito con un paio di giri sulla sedia elettrica!
Paradossalmente, l’azzardo di Rapallo e Tarallo riuscì: la rubrica di costume del quotidiano divenne in poco tempo popolarissima, e tra i lettori i pareri censori del curiosissimo articolista divennero verbo assoluto: tutto ciò che Tressette bollava come inammissibile, con la consueta abbondanza di coloratissimi e velenosi epiteti, veniva ritenuto out dalla collettività, fuori moda, una cafonata, insomma.

Omar Tressette
Omar Tressette

Un fatto che non fu possibile ignorare, tanto fu significativo nel fornire una prova di quel rapido mutare dei costumi, fu che in capo a tre settimane dall’inizio della collaborazione di Tressette col Fogliaccio, i concessionari cittadini, incazzatissimi, lamentarono un drastico calo nelle vendite di un famoso modello di automobile.
Altre ancora furono, tuttavia, le nuove collaborazioni col Fogliaccio
Da Strappoli di Sotto, il corrispondente Ducco mandava verosimilissime interviste impossibili a celebri personaggi della storia, un campionario sbalorditivo di miti che si confessavano senza riserve al sagrestano nel quadro della sua rubrica “Sputati dalla Storia”.
Solo Tarallo e la sua stretta cerchia di amici sapevano che quei pezzi, in virtù dei poteri della poltrona Onyric, erano assolutamente autentici e che le varie risposte date da Pico della Mirandola o da Matilde di Canossa, erano state dette proprio da loro in persona, parolacce comprese.

Matilde di Canossa intervistata nella rubrica “Sputati dalla Storia”

In virtù di questo spirito innovatore, e nonostante lo sbandamento vistoso dei lettori tradizionali, tra la meraviglia generale e il disappunto di svariati mascalzoni in guanti bianchi, che ne avevano controllato la linea per decenni, le vendite del Fogliaccio, da sempre arenate su numeri poco esaltanti, iniziarono lentamente, ma sicuramente, a salire
Qualcuno, annidato all’interno della Proprietà, che aveva visto in quella vacanza di Frangiflutti e nella supplenza Rapallo &Co. un fatto tutto sommato divertente, qualcosa di puramente folkloristico, dopo certe inchieste sgradevoli e vista la risposta favorevole del difficile pubblico cittadino, iniziò a preoccuparsi seriamente.

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

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