di Stefano Vanzini
Il 4 marzo Nicola Zingaretti annunciava le sue dimissioni da segretario del Partito Democratico. Queste osservazioni risalenti ad un mese fa offrono, tuttora, uno spunto di riflessione sul ruolo che il PD deve tornare a giocare oggi, e domani.
Avete presente quando cominciate ad abbottonarvi la camicia inconsapevoli del fatto che avete abbinato male il bottone e l’asola? Il PD, per me, è nato un po’ così da un’analisi sbagliata della società o comunque diventata in poco tempo inattuale. Ecco, se uno arriva all’ultimo bottone e si accorge di avere sbagliato, tocca riabbottonare tutto e ricominciare daccapo. A nulla serve mettere qualche toppa, c’è un evidente necessità di ripensarci. Se siamo riusciti a resistere così tanto e abbiamo ancora oggi la possibilità di rinascere è perché fortunatamente la comunità del partito è molto meglio della sua dirigenza. Ora non serve occupare la sede nazionale del Partito Democratico, ma occorre uno sforzo coinvolgendo chi in questi anni non si è più sentito partecipe del progetto nato nel 2007. Serve costruire non dal centro, ma dalla periferia, in maniera diffusa. Non dall’alto ma dal basso. Il Nazzareno oggi è vuoto: di politica e di persone.
In soli tredici anni il PD ha cambiato addirittura sette segretari. I due che hanno segnato più la nostra vita, Renzi e Bersani hanno promosso la costruzione oggi di nuovi contenitori. Il nostro primo segretario poi, Veltroni, ora fa il regista… Abbiamo costruito un sistema con tutti dentro: cattolici democratici, post comunisti, socialisti e azionisti. Un sistema in cui comanda il vincitore di turno e le minoranze vengono sistematicamente lasciate ai margini, così nel nazionale come nel comunale. Perdonatemi questo accostamento da ragazzo di sinistra-ferrarista. Noi continuiamo a cambiare il pilota quando il problema è evidente che è nel motore. In quelle frasi pronunciate da Zingaretti (“Mi vergogno che nel PD, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid”) in tanti militanti, piccoli dirigenti in tutta Italia si riconoscono. Possiamo dire che questo è un problema da affrontare definitivamente? Le correnti non sono un problema in generale: Biden, in America, riesce a far lavorare insieme riformisti e radicali. Le correnti diventano un problema se si trasformano da pluralità di posizioni in correnti di potere. Il PD non perde quando si divide, perde quando è incapace di avanzare una proposta politica. Ed è evidente come l’analisi che ha portato alla nascita di questo partito fosse sbagliata. Era un’analisi che poneva lavoratori ed imprenditori sullo stesso piano, con l’idea che il capitalismo globalizzato, non andasse troppo messo in discussione ma che, in quel perimetro, che noi accettavamo definitivamente, andassero solo create delle opportunità per chi restava indietro: una lettura sbagliata delle dinamiche sociali ed economiche. Non è la fine del bipolarismo ad aver reso inattuali i motivi alla base dell’Ulivo fatto partito, è la grande crisi del 2008 a cui non siamo riusciti a dare risposte politiche adeguate nonostante siamo stati al governo, non capendo la fase e quindi non riuscendo a dare risposte adeguate. Risposte che dovevano essere rivolte ai nuovi esclusi, ad un ceto medio che andava impoverendosi, a una nuova generazione che non vedeva prospettive. Le regole che ci siamo dati, con un ritorno al proporzionale semplicemente non hanno ragione di esistere, il partito a vocazione maggioritaria ora è più una zavorra che un beneficio. Abbiamo abbandonato, sembra, la capacità di fare politica fuori dalle istituzioni e nel nostro moderatismo siamo pian piano diventati irriconoscibili. La linea politica è diventato un accessorio, basti pensare a una serie di maggioranze inspiegabilmente diverse a livello comunale, provinciale, regionale che non si riesce neanche a dotarle di senso nemmeno guardando alle famiglie politiche citate prima, ma che risultano evidenti equilibri di gestione del potere. Fermiamoci un momento. Usiamo questo tempo, trasformiamo le dimissioni del segretario in un occasione per capire cosa siamo diventati e cosa vogliamo essere, perché l’Italia dopo questa maledetta pandemia e dopo il governo Draghi non sarà la stessa. La sinistra è passione riscopriamola e forse ci ritroveremo.
Mi chiamo Stefano Vanzini. Ho 23 e sono uno studente universitario. Divido la mia settimana tra Latina e Roma, dove studio scienze politiche. Sono di sinistra, romanista e ferrarista; in poche parole sono un esteta della sconfitta.
Pensieri per la Città – Un’Agorà per Latina è la nuova rubrica-contenitore della nostra rivista blog, LatinaCittà Aperta.
Abbiamo, infatti, voluto affiancare al nostro settimanale, che come sapete tratta di argomenti che potremmo un po’ pomposamente definire di “cultura generale”, uno spazio, un’agorà di riflessione e di approfondimento intergenerazionale su temi della città che ci ospita, Latina, non limitandoci ad essa.
Ci si propone di istituire qualcosa di vivo, un luogo di confronto e di approfondimento, gestito da giovani, donne e uomini, forze fresche e consolidate intelligenze, persuase che la partecipazione e il confronto siano i cardini della buona politica.