Alla nenia del cantante ed ai tamburi, si era unito il suono di strani violini lamentosi ed ogni singolo frammento della musica che ne derivava, veniva raccolto ed espresso soavemente dai gesti della bellissima danzatrice.
Il truce Spampalon un po’ guardava la moglie ballare, e in quegli istanti assumeva l’espressione di un branzino dedito alla poesia, e un po’ controllava gli sguardi dei due ospiti, prendendo allora l’aria aggrottata di un mastino che si concentra sul primo, ma ancora lontano, odore di cotoletta.
Quell’odore, in particolare, insieme ad altri lezzi, lo percepiva osservando il povero Marzio Taruffi, che portava in faccia lo stesso stupore di chi viene investito da un treno, ma senza averne l’acredine, l’amarezza.
Il testone sporco e disordinato del cronista seguiva ogni minimo movimento di Aishwarya con corrispondenti rimandi del collo, roteandolo anche, quando la musica lo richiedeva: sembrava insomma il primo capoccione danzante della Storia.
Gli occhi, nella penombra dell’enorme sala, ora mandavano bagliori appassionati, ora si abbandonavano ad un riflesso malinconico in relazione a qualche acuirsi melodico dei suoni.
Sudava Marzio, copiosamente, asciugandosi col lembo della t-shirt, col risultato che Drupi pareva più sudato e malconcio di lui.
In sostanza, Taruffi, dimenticata di botto l’immagine della sua Dorothea Santonorè, sembrava essere rimasto gravemente tramortito dalla avvenenza e dalla grazia della principessa consorte.
Lallo cominciò a preoccuparsene davvero quando alcuni fonemi inarticolati: ngrrr… fwrrrrffhh, iniziarono a fuoriuscire dalle labbra pesanti di Marzio, irrefrenabili.
Spampalon, nel frattempo, pareva sempre più distratto dallo spettacolo della moglie, e sempre più attento agli sguardi liquidi e appassionati del cronista “spussolente”, mentre nell’aria cresceva una tensione che si sarebbe potuta affettare come un provoloncino di latte di yak.
Per fortuna la musica cessò e Aishwarya, con un ultimo, dolce, movimento, si immobilizzò in una posa graziosa quanto enfatica.
Nel silenzio di quell’ambiente vastissimo, dopo un istante di silenzio sospeso, risuonarono allora, forti e sgangherati, gli applausi sfuggiti a Taruffi sotto la spinta di un incontenibile entusiasmo, quasi della salve di spari, prodotti dalle manone del giornalista aromatico, grosse quanto delle zappe.
Drupi sorrideva felice dalla maglietta, in piena consonanza con chi la indossava.
“BRAVAAA!! BRAVISSIMA! MERAVIGLIOSA!!”
La vociaccia rasposa di Marzio provocò un subitaneo rabbuiamento nella faccia, già non troppo simpatica, di Ermenegildo Spampalon, oltre che un moto di profonda apprensione in Tarallo, che si affrettò a rompere il ghiaccio per distrarlo, dicendo deferente alla donna:
“Davvero molto brava, Principessa, come già diceva il mio collega, è stato un vero piacere vederla danzare…”
“Grassie tosi – rispose il vocino melodioso e cantilenante di Aishwarya, che aveva imparato, si fa per dire, l’italiano dal marito – xe un piazer dansar per valtri. Non son una stimizziosa *, ma go molta contentèza del vostro piazére, e so che Gildo vol sempre far ‘na ghiringhèla * quando vegnon qui gli talian!”
Incapace di contenersi, Marzio si fece vicino alla danzatrice, scomposto come un cane scodinzolante, nel desiderio di riversarle addosso tutta la sua ammirazione, ma così facendo fece giungere alle piccole e innocenti narici della principessa il famoso “effluvio Taruffi”, che tanti nasi aveva spacciato.
Incredibilmente, proprio com’era accaduto a Dorothea, quell’urto mefitico parve soggiogarla, così, dopo un vistoso sbandamento ed un primo barcollare, la danzatrice sospirò: “OHHhhh”, e rivolse al cronista uno sguardo di velluto che lo inzuppò tutto, rendendolo materia liquida.
“Oheee belii cossa me vol significar ‘sto smorosàr?* Già che a lissiàr i negher me siete parsi due comunisti, ma se volete paràltro far i mona con la ‘me fémena, ve fasso butàr drènto ‘na bùsa coi sarpenti!”
Dopo l’urlo del paron Lallo si piazzò davanti a Taruffi come a schermarlo dall’aggressività spampaloniana e si sbrigò a replicare all’imprenditore monarca:
“Ma cosa ha capito? Noi volevamo solo far arrivare alla principessa tutto il nostro apprezzamento per la sua arte squisita, senz’altra intenzione che questa..”
“Sarà – borbottò Spampalon che non si era accorto degli sguardi torridi che frattanto stavano scambiandosi l’esorbitante Marzio e sua moglie – ma de valtri comunisti non me fido, siete ‘na rassa danàta!”
Fortunatamente per i due italiani, fu a quel punto che da uno schermo gigante, piazzato su un carrello accostato ad una grande nicchia di una parete, giunse un suono tremendo e penetrante, come lo squillo di un telefono impazzito che voglia portare i suoi saluti ad un congresso di sordi.
Tarallo decollò, piroettando al ritorno come un campione di tuffi, Taruffi, in trance amoroso, nemmeno ci fece caso, ma la sua attenzione, come quella di Lallo, del resto, fu attirata comunque da qualcosa di familiare.
Dallo schermo arrivava infatti la figura di Ognissanti Frangiflutti, ben sistemato presso il suo immenso tavolo di lavoro al Fogliaccio.
Indossava un completo grigio di sartoria e in cima al capino sale e pepizzato, gli troneggiava l’elmo bicornuto del Partito Vichingo, su uno dei corni del quale, con una vezzosa modifica, aveva applicato lo stemma patriottico di “Cugini Italiani” e sull’altro una pecetta di “Alè Affari e Prescrizioni”, gli altri due partiti della coalizione di destra che si era presentata compatta alla prova del voto amministrativo nella nota città di provincia.
Tarallo e Taruffi immaginavano quanto dovesse essersi sbilanciato il giornale, dopo la nuova normalizzazione, per far recuperare a quei partiti rapaci la presa su un capoluogo che gli era sfuggito anni prima, sfibrato dai loro costosissimi banchetti e consegnatosi così ad un usurpatore civico e ai suoi.
Il termine “civico” venne subito percepito come sinonimo di comunista da quella frangia, e così, manco a dirlo, era parso anche a Frangiflutti, che in quegli anni si era speso completamente, utilizzando ogni tipo di falsificazione giornalistica, ogni trucco possibile, per fare il gioco di quegli affamati.
I suoi due cronisti, esuli in Nepal, si resero conto all’improvviso di essersi dimenticati del tutto dell’appuntamento elettorale che si era svolto nella loro città, e di essere anche all’oscuro di quali ne fossero stati gli esiti.
E dire che Lallo e Marzio, quando erano partiti erano in preda ad un oscuro presentimento, perché le forze nostalgico-affaristiche non avevano certo riparmiato sforzi, calunnie, soldi e promesse per tornare al consueto andazzo, sicure di farcela.
Ora vedevano Frangiflutti, corna al vento, esibire un’espressione di gioia contenuta, che celava un tripudio interiore che solo chi aveva imparato a conoscerlo, poteva rintracciare sulla sua faccia ipocrita.
“Ohe, varda chi se vede – disse subito Spampalon, immediatamente allertato – me sa che tu me porti qualca bona notissia, no? Anzi: te speta l’obligo de darme na bona notissia Frangifluti, co tuti gli schei che te do! Intanto ti me ga mandà due stronsi de comunisti, pasionati dei negher, due avocati dei mori! Ma adeso basta: dime tu, dime tutto”.
Il sentire che Taruffi e Tarallo si erano già fatti conoscere dal potente Spampalon per quel che erano, fece illividire le orecchie al loro Direttore, surriscaldandole, e per qualche istante a Frangiflutti, che aveva iniziato a parlare, uscì fuori una vocina stridula come quella di un soprano a cui abbiano appena pestato l’alluce.
“Trionfo caro Spampalon, trionfo!” riuscì a dire, con enfasi.
“Tu me vol dir che abiamo vinto tuto al primo turno?” gridò l’imprenditore eccitatisimo.
A quel punto ci fu un momento di vuoto nella comunicazione che si interruppe, con l’immagine del mellifluo Direttore bloccata su una sua espressione di passaggio, che nel fermo risultava quindi, non troppo intelligente.
Nel corso di quegli istanti di attesa, Spampalon aveva con un gesto richiamato a sé sua moglie, che pareva ancora scossa per effetto dei fluidi ammaliatori di Marzio, abbrancandola in segno di possesso.
Tarallo, dal canto suo, si era fortemente rabbuiato per le cattive notizie che Frangiflutti aveva preannunciato: aveva sperato che il tentativo dei vecchi banchettanti di riprendere in mano forchette e coltelli fallisse.
Taruffi invece, pareva preso da due distinte sofferenze, quella politica, la stessa che pativa Lallo, e quella sentimentale, per aver sentito il sangue danzargli dentro insieme alla bella nepalese, e per l’enorme rammarico di saperla legata a quel bruto.
Subito dopo, uno scricchiolìo di natura tecnologica annunciò che il collegamento stava per ricomporsi, poi le corna di Frangiflutti tornarono a muoversi.
“Alora, bestiassa d’un diretòr, se tu strilli “trionfo” vuoi dirme che avemo vinto tuto al primo turno?” riprese ad incalzarlo Spampalon.
“Quasi.. – rispose il Direttore, molto meno enfatico di prima – abbiamo preso tantissimi voti e la maggioranza in consiglio. Per poco non vincevamo al primo turno, così si andrà al ballottagio per il sindaco.
Tra quindici giorni finiremo l’opera e li abbatteremo definitivamente!”
“Voglio sperarlo ben! – riprese Spampalon, un po’ contrariato – le volte prima, vinzevamo tuto e subito, gli stronsi in consillio e il sindaco: cossa casso v’è successo a voaltri che da qualche anno ve siete scoverti così fiachi, lofi*?
Vedete de vinzer el sindaco, musi de simmia, o non ve fazo più vedere gli schei.
Ciao Direttor e và in mona!”
Note:
- Stimizziosa: una che ama pavoneggiarsi;
- Ghiringhela: festeggiamento
- Smorosare: amoreggiare
- fiaco, lofio: infiacchito
Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.
Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti