Quello strano chiarore che aveva rianimato gli ebbri Frangiflutti e il Sen. Ciccibon, riportandoli ad una condizione biologica di tipo paraumano, pareva accentuarsi ad ogni loro passo.
Nonostante sentissero greve il peso della serata trimalcionica appena trascorsa, carica di soldi, cibi ad alta resa colesterolica e beveraggi estremi, i due, sotto l’effetto di una prima inquieta curiosità per quel misterioso fenomeno, erano riusciti a districarsi tra loro ed ora, ad onta del gravame che le aveva rese inaffidabili e volatili come le idee del Capo del Partito Vichingo, Matteo Rozzini, le loro gambe sembravano in grado di reggere lo sforzo antico della stazione eretta.
“Danno una festa nel quartiere?”, mormorò senza troppa convinzione il Direttore del Fattaccio al suo sodale politico.
“Ma vaaa mòna, te pare che una festa cominza a quest’ora? – replicò Ciccibon al giornalista – ghe deve esser qualca altra cossa: non eri ti che me contavi de certe minacce, intimidissassion?”
“Sì, da qualche giorno vedo gangsters in giro come il tuo capo vede la Madonna: ovunque”.
“Lassa star el mio capo, sempio: l’è sempleze tecnica elettoral, quello la vede davvero come io vedo il dietologo! Piutosto ‘ndemo avanti e cerchiamo de capirce qualche ostrega, magari non siamo troppo lucidi e nela nostra zuca adeso comanda quel bel Baroletto riserva speciale: dai, ndemo avanti, va”.
Eroicamente ripresero a camminare barcollando un po’, un piede a seguire l’altro con cura esagerata, ma ad ogni faticoso metro che strappavano ad una stanchezza che si era improvvisamente impennata, quella grande luce aumentava di potenza.
Erano già a ridosso della loro via quando, giusto all’altezza di casa Frangiflutti, un palazzo che precedeva quello di Ciccibon di una trentina di metri, cominciarono a distinguere qualcosa di ulteriore e diverso.
Vedevano in lontananza tre o quattro veicoli che parevano usciti da un museo dell’automobile messi di traverso a sbarrare la strada e cominciarono anche a distinguere un brulichìo di figure umane che, vedendoli avvicinarsi, stavano schierandosi in fretta dinanzi alle auto in una formazione plastica, di grande effetto scenico.
“Testa de casso, in che guaio maledeto m’è ga portà?”, sibilò tra i denti il pingue politico rivolto ad un Frangiflutti che andava facendosi sempre più esangue.
“Ma… Ciccio… io avevo fatto già i miei passi per capire… risolvere, insomma per venir fuori da questo incubo… Sto aspettando risposte da Mons…”
“Eccotele le tue risposte, testa de monsignore che non ti se altro – ribattè il Senatore interrompendolo – ora quei tuoi amici ce copan a tutti e due, maledission! Lo dicevo io, ordine ce voleva per questa città del casso: fassio e olio de ricino, roba che me siete tutti saltà al colo quando m’è scapà deto qualcosina”.
“Ma se io ho minimizzato – quasi ci pianse il Direttore – ho dato la notizia con lo stesso spazio degli annunci dei cani spersi: Ne parlavano alla tv nazionale, ma per trovarla sul Fogliaccio ci voleva la Squadra Scientifica di C.S.I !”
“Sì,va ben, va ben, ma ora che femo, ‘ndemo avanti? Ma ssi ssi va, magari l’è tutta una suggestion etilica quela roba tua dei gangsters: bevi tropo Ognissà, da tempo te lo digo”.
Frangiflutti ingoiò a fatica, ma con dignità quella affermazione falsa: tra loro due era l’altro che si sgargarozzava quantità mitologiche di cibo e dava una portata fluviale alle sue bevute!
Riluttante, si pose comunque a fianco del formoso politico che aveva ripreso a camminare, seppur con l’andatura circospetta che aveva la buonanima di John Wayne quando sentiva odor di pellerossa.
Avrete già intuito che l’ingaggio della banda di Muffin O’ Grady da parte del settore sicurezza del futuro giornale “Il Disturbatore Quotidiano” era andato a buon fine, e che l’imponente apparato minatorio che i due reduci dalla Commissione Edilizia Regionale avevano iniziato ad intravedere, stava a significare che quel gruppo così peculiare di individui stava frattanto dando gli ultimi ritocchi allo spettacolo.
Ad integrazione dei suoi membri fissi, combinati in modo così tremendo, minaccioso e spettrale da mutare in gazosa il sangue di chi avesse avuto la malaventura di sbatterci addosso, si erano uniti anche elementi esterni: oltre naturalmente al trio composto da Benny, Sal e Joe Spinazza, aveva insistito per essere presente l’editore capo dell’imminente impresa editoriale, Omar Tressette, che si era tolto anche lo sfizio carnevalesco di una mascherata clamorosa.
Ora l’intollerantissimo ometto si ergeva fierissimo sul predellino di una delle tre vecchie auto americane, fasciato da un vestito che si era fatto cucire per l’occasione, copiato integralmente da una delle tenute eleganti che Lucky Luciano, incongruamente, indossava in occasioni di mattanze di un certo rilievo.
Tressette se la godeva un mondo, pregustando le gioie che la situazione prometteva a piene mani.
D’altronde Muggs Moloney, il direttore di scena di Muffin, non aveva certo risparmiato in suggestioni orrifiche: gangsters e banditesse, illuminati da una macabra luce verdastra, stazionavano in strada o all’interno dei veicoli con un armamentario da far sembrare l’Esercito Americano un inconcludente gruppuscolo pacifista.
O’ Grady in persona, che si drizzava attraverso la capote di una Buick del 1939, ostentando un grugno poco rassicurante, poteva contare anche sull’effetto teatrale della sua celebre testa, irta di capelli selvaggi d’un rosso che, intercettato da un riflettore, spandeva vasti i suoi riflessi al di sopra di tutto l’organico presente.
La più carina ed innocente delle componenti della banda, Rosie Kelly, teneva soavemente in mano una bandiera con su impresso il marchio della Loggia P2, tanto per riconfermare in Frangiflutti l’idea che i mandanti della sua persecuzione fossero i massoni deviati, irritati per l’espulsione di Tarallo dal Fogliaccio.
E non mancava il magico tocco finale: Brendan O’Rourke, sdraiato scompostamente in strada col petto allagato da litri di vernice rossa, faceva la parte del cadavere, per dare ad intendere ai due che stavano ormai per arrivare, che nell’attesa la banda si fosse già trastullata in esercizi omicidi.
Brendan, del resto, era un veterano del ruolo, che interpretava con una tale immobilità e bravura che avrebbe strappato gli applausi perfino ad un cadavere vero: ogni sera infatti faceva il morto in scena, alibi perfetto per suo fratello gemello Declan, mai registrato all’anagrafe, che nell’ora e mezzo dello spettacolo si dedicava alle rapine con l’altra metà della banda di Muffin, altrettanto sconosciuta agli uffici competenti.
“Ossignur – gemette Ciccibon, convinto ormai da ciò che vedeva sempre più nitidamente – semo fregati, questi ce còpano: aspettano te, ma io sarei un testimone, orca, no me poson far campar!! Varda, c’è pure el vesillo dea P2: testa de piccion, te l’avevo deto da non licensiare quel coglion idealista, maledeto te e quel pesso de carta da culo che dirigi!”
Ognissanti Frangiflutti, pur terrorizzato, sentì salirgli in gola l’amaro sapore della calunnia appena ascoltata e, tremando come un frappè in preparazione, trovò la forza di replicare pigolando:
“Ma s… se… s…. siete s… stati p..p… proprio voi e q… quegli a… altri a r… rompermi i cosi bassi p… perchè q… quel T… Tarallo li rompeva a v… voi!”.
“Se se, conta storie te, l’hai sempre avuto sullo stomego… Ma adeso se pone una question: come ce torniamo a casa? Io ci debbo andar de sicuro parché ciò in tasca tuti quei fogli segreti della Comision e go da piazzarli nela casaforte: se me li pesca la stampa, non tu quindi, salta tutto par aria, semo rovinà!”
Frangiflutti, al quale era ripreso un accentuato ballonzolìo delle gambe, tentò timidamente di far cambiare parere a Ciccibon:
“E la p… pelle n… non conta nulla per te? Questi hanno d… deciso di c… chiudere i c… conti con me e credo anch’io c… che n… non risparmierebbero u… u… un testimone, m… mettitelo in mente S… Senatore!”
“Giusto: CON TE, vogliono far el conto con te!
Mai la voce del Senatore era parsa così gelida:
“Tu ga licensià el nipote di un piduista grosso, polastro, è con te che stanno incassà. Io poso far la figura de un pasante ca non te conosce, anzi già da ora non te conosco: spostate un po’ da me, feme prende aria!”.
Perfino l’anaffettivo Direttore, i cui programmi televisivi preferiti, quelli di cui più godeva, erano gli spot delle associazioni benefiche che mandavano in onda gli occhi enormi e disperati dei bambini vittime della fame, rimase sconvolto dal cinismo del Senatore del Partito Vichingo, che, facendo seguire i fatti alle parole, si era allontanato da lui di qualche metro.
“Brutto figlio di…”, pensò per un attimo, poi qualcosa venne a dimostrare che quella di Ciccibon di apparire un passante occasionale che non aveva alcunchè a fare con lui, era una pura illusione.
Sì, perché proprio in quell’istante cominciarono fragorosamente le danze.
Ad un cenno di Muffin O’ Grady, Bill Murphy, che a causa di una voce da far rizzare i capelli in testa, in teatro recitava la parte di un macellatore di elefanti, prese il megafono e disse perentorio:
“Ehi voi, Ognissanti Frangiflutti e Claudione Ciccibon, fermatevi all’istante: sappiamo chi siete e che fate. Collaborate e vi daremo una morte rapida, senza sofferenze atroci: questa è la nostra offerta per la settimana in corso e tante brave teste l’hanno già colta al volo, consegnando ai parenti dei corpi quasi ineccepibili, per un pianto decoroso. Fermi lì, ho detto!”.
L’invito di Murphy alla sedentarietà venne tuttavia letto al contrario dai sistemi nervosi del Senatore e del Direttore, così le loro gambe, come prese da una forza cinetica superiore, insensibile a qualsiasi freno, presero a muoversi vorticosamente in direzione di una possibile fuga.
Ma erano troppo vicini alla gente di Muffin ormai, tanto da veder chiaramente Rosie Kelly impennare verso l’alto la bandiera della P2.
Ed infatti fu allora che venne giù il mondo.
La banda al completo, uomini e donne, più gli innesti dell’ultima ora, diede fiato agli strumenti, che presero a sparare raffiche di colpi così fitte, assordanti e micidiali, che di simili se n’erano viste solo nella Beirut della guerra civile.
Le esplosioni secche delle mitraglie trovavano una perfetta rispondenza bassa nel tuono degli obici che O’Grady, volendo strafare, si era procurato da un paio di amici che lavoravano negli uffici amministrativi di un convento.
Tressette, strillando di gioia, piazzò un mortaio in terra e sprecò un numero impossibile di munizioni a salve, pensando probabilmente di scaricarle contro i suoi “mostri”, la gente che d’estate ardiva stuprare l’estetica mettendosi in calzoncini, canottiera e sandalacci teutonici.
Va ribadito che tutto quel frastuono veniva suscitato da proiettili finti, per quanto tremendamente rumorosi.
Ma le due vittime potenziali ignoravano questo particolare non trascurabile.
Abbaiando come due bastardi terrorizzati dall’approssimarsi di un accalappiacani, Ciccibon e Frangiflutti si erano messi a rincorrere i propri stessi arti inferiori, che miracolosamente avevano preso la velocità di un campione olimpico.
Ignari della messinscena si mossero indietro tutta, fulminei come Speedy Gonzales, inseguiti e avvolti da un fumo densissimo e puzzolente, cercando scampo nei campi.
Corsero per un bel po’ prima di incappare in due biciclette, senza sapere che ce le avevano piazzate i presunti assassini: le inforcarono come si poteva, e, sopportando i morsi sulle caviglie di pedali sgangheratissimi, si allontanarono come furie dolenti.
Mentre il fumo cominciava a diradarsi, un estasiato Tressette mise fine a quella baraonda:
“Grazie ragazzi, siete stati meravigliosi! Abbiamo inculcato in quel viscido farabutto e in quel suino onorario ben altre preoccupazioni che la pubblicazione di un giornale concorrente.
Ora, finalmente, Il Disturbatore Quotidiano può uscire!”
Continua…
Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.
Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti