Cosa c’entra Escher con la cioccolata? In realtà quasi nulla a parte un piccolissimo particolare racchiuso in una confezione di rotonde e invitanti pastiglie.
Avevo circa 15 anni, era la mia prima esperienza fuori dall’Italia, ero andato a trovare i miei zii che avevano un bel ristorante, molto famoso (ci mangiarono anche i Rolling Stones!) in Gran Bretagna nel Galles, a Newport nella contea di Gwent.
Trascorsi anche alcuni giorni a Londra ed entrato in una libreria per ingannare il tempo in attesa di incontrarmi con un amico che mi stava raggiungendo dall’Italia, stavo guardando una sezione di libri di Arti figurative e la mia attenzione fu colpita da un libro di disegni in bianco e nero realizzati presumibilmente a matita o china o incisione.
L’attesa si prolungava ed il mio amico tardava (non c’erano i telefonini, quindi si aspettava pazientemente), la giornata era caratterizzata dalla classica pioggiolina fitta e leggera che cadeva da un cielo grigio, scuro e vagamente opprimente, non veniva voglia di aspettare all’aperto. Presi in mano il libro, guardai attentamente la copertina che diceva: Maurits Cornelis Escher, olandese (Leeuwarden 1898 – Laren 1972), un nome a me sconosciuto, ma l’immagine della copertina era eloquente:
un genio!
Relativity, questo il titolo dell’immagine che mi faceva girare il libro come se stessi guidando per cercare di capire l’origine e la fine di tutte quelle scale percorse da mummie o uomini senza faccia nella loro vita normale in un mondo pazzesco senza gravità. Una struttura di disegno impeccabilmente assurda.
Ritornando con i piedi per terra mi resi conto che una signora mi guardava sorridendo. Sfogliando il libro vidi altre immagini fantastiche di mattonelle che si intersecavano come un puzzle e di trasformazioni: uccelli che diventavano pesci, textures incredibili, retaggio della sua permanenza in Spagna, come appresi più tardi quando lessi la sua storia.
Quello che mi affascinava di più erano le prospettive e le distorsioni.
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Dopo molti anni mi capitò di rileggere qualcosa su di Escher, e qui ritorna in ballo la cioccolata (argomento estremamente interessante) perchè mi sono imbattuto ne “l’effetto Droste”! Da cosa deriva questo dolce e lussureggiante nome?
Eh si dalle pastiglie di cioccolato Droste, quelle rotonde che vendono in un caratteristico tubo, anzi dal loro antenato, una scatola di latta ripiena del profumato prodotto.
Intorno al 1900 la Droste (Industria olandese produttrice di cacao) si pubblicizza con una scatola di latta contenente il cacao che reca sul fronte l’immagine di un’infermiera che porta un vassoio sul quale c’è una tazza di un fumante cioccolato e la scatola con l’immagine della stessa infermiera che porta un vassoio contenente la tazza di cioccolato e una scatola di latta… Insomma un’immagine ripetuta infinite volte come succede se ci si mette fra due specchi contrapposti. Ricordate le vecchie carrozze delle FS anni ’70/’80 dove dentro gli scompartimenti c’erano 2 specchi uno di fronte all’altro? quando ci specchiavamo vedevamo la nostra immagine riflessa infinite volte sempre più piccola.
Insomma riproduce esattamente quello che viene definito appunto “l’effetto Droste”.
Nella pubblicità, e ancor più nel packaging, l’uso di questo effetto è stato ed è diffusissimo. Sono una miriade gli esempi che si possono citare, tra i quali i più famosi sono, oltre naturalmente a Droste, l’olio Fiat con il barattolo raffigurante “l’omino bianco” inventato da Marcello Nizzoli nel 1925 che ha i piedi e le mani riproducenti la confezione stessa, e poi il lievito Royal Baking Powder, il burro americano Land O Lakes, la marca di formaggio francese La Vache qui rit con la vacchetta che sulle orecchie ha, come orecchini, altrettante scatole di formaggini e poi ancora 3M, Chiquita, Kellogg’s ecc (qui sotto potete vedere una serie di esempi).
Nel doppio album dei Pink Floyd “Ummagumma” (1969) sulla sinistra si vede un quadro dove è raffigurata la stessa scena ma con scambio di posto degli stessi musicisti.
Nella pittura troviamo questo effetto persino nel 1320 con Giotto che nel “Polittico Stefaneschi” dipinge il committente che offre a San Pietro il polittico stesso.
In letteratura Italo Calvino nel Cavaliere Inesistente racconta come lo stemma di Agilulfo presenti due tendaggi aperti su un’ìmmagine recante a sua volta altri due tendaggi aperti su uno stemma più piccolo, e così via fino al dettaglio infinitesimale.
Così lo descrive Calvino:
Sullo scudo c’era disegnato uno stemma tra due lembi d’un ampio manto drappeggiato, e dentro lo stemma s’aprivano altri due lembi di manto con in mezzo uno stemma più piccolo, che conteneva un altro stemma ammantato più piccolo ancora. Con disegno sempre più sottile era raffigurato un seguito di manti che si schiudevano uno dentro l’altro, e in mezzo ci doveva essere chissà che cosa, ma non si riusciva a scorgere, tanto il disegno diventava minuto. (Calvino “il Cavaliere Inesistente”)
Ma al genio di Escher non basta realizzare semplicemente un effetto così. Seppur nella giovinezza non si può dire che avesse brillato negli studi ed anche la sua carriera di disegnatore ed incisore fu sempre di gran lunga sottovalutata e giudicata priva di fantasia (!) Maurits era molto attirato dall’architettura e dalle formule matematiche. Fu così che nel 1956 realizzò una delle sue opere più incredibili, discusse e studiate di tutta la sua carriera.
La Galleria di Stampe (Prentententoonstelling)
In questa litografia l’effetto Droste viene realizzato con l’uso di una elaborata griglia (formula) matematica, tanto che il paesaggio interno ed esterno della galleria (il porto è quello di La Valletta nell’isola di Malta) si fondono e si confondono. Al centro del quadro, proprio nel posto dove dovrebbe stare il ragazzo, si trova un cerchio bianco con la sua firma in monogramma.
Pare che questo quadro desse non poche emicranie al suo autore intento a realizzare l’opera seguendo delle griglie complicatissime.
Potete approfondire la struttura compositiva qui (inglese).
Per alcune malelingue poi il punto bianco dove è apposta la firma non sarebbe altro che una patch per coprire la parte del disegno che non era in grado di terminare, altri studiosi affermano che Escher con quel “buco bianco” abbia voluto dirci che quella sua Galleria di stampe è rimasta in-compiuta, non finita e quindi in-finita. E’ questa l’interpretazione di Douglas R. Hofstadter. Quindi noi, dall’esterno, siamo in grado di capire che l’opera è essenzialmente incompleta, un fatto questo che il giovane, posto all’interno di essa, non potrà mai sapere.
Del suo rapporto con la matematica Escher una volta ammise:
« Non una volta mi diedero una sufficienza in matematica … La cosa buffa è che, a quanto pare, io utilizzo teorie matematiche senza saperlo. No, ero un ragazzo gentile e un po’ stupido a scuola. Immaginatevi adesso che i matematici illustrano i loro libri con i miei quadri! E io che vado in giro con gente colta quasi fossi loro fratello o collega. Non riescono neppure a immaginarsi che io non ne capisco nulla »
(MCEscher)
In merito alla “Galleria di Stampe” Escher scriveva:
“… lungo i margini l’immagine si espande ad anello, in senso orario, e circonda un centro urbano vuoto. Cercherò di seguire quest’azione, a cominciare dall’angolo in basso a destra.
Varchiamo la soglia per entrare in una galleria di stampe. Le incisioni sono esposte sui tavoli e sui muri. Incontriamo subito un visitatore con le mani dietro la schiena e poi un giovane circa 4 volte più alto. Ha la testa tanto più grossa della mano per via dell’espansione circolare continua. Osserva l’ultima stampa di una serie appesa al muro; vede la nave, il mare e le case di una città sullo sfondo, che nella stampa e davanti a lui continuano a espandersi. In una delle case una donna guarda dalla finestra aperta. Essa e’ anche un particolare della stampa che il giovane osserva, proprio come la tettoia in pendenza che le sta sotto, e che protegge la galleria. Così, dopo avere girovagato con lo sguardo intorno al centro vuoto, dobbiamo concludere logicamente che lo stesso giovane e’ parte della stampa che sta osservando. In realtà egli si vede come un particolare dell’immagine:
la realtà e l’immagine sono una cosa sola”
Dopo tutte queste formule matematiche e teorie costruttive girerà la testa anche a voi. Vi consiglio allora di mettervi comodi e gustarvi questo splendido video esplicativo.
Escher dal 1923 al 1935 visse a Roma in una bella palazzina, al civico 122 di Via Poerio, nel quartiere di Monteverde Vecchio. Al terzo piano vi erano gli appartamenti e al quarto l’atelier.
Vi risiedette fino al giorno in cui vide suo figlio tornare dalla scuola con la divisa da Balilla.
Capì che la situazione stava degenerando e che l’Italia stava diventando un paese pericoloso e si trasferì in Svizzera.
Nato lo scorso millennio in quel luogo che, anche da Jovanotti, è definito l’ombelico del Mondo, Klaus Trophöbien è ritenuto un vero cultore ed esperto di filosofia e costume degli anni 70/80.
È un ardente tifoso della squadra di calcio della Roma, ma non di questa odierna semiamericana e magari presto cinese, ma di quella di Bruno Conti, Ancellotti, Di Bartolomei, di quella Roma insomma che allo stadio ti teneva 90 minuti in piedi e 15 minuti seduto; è inoltre un collezionista seriale di oggetti vintage che vanno dalle cartoline alle pipe, dalle lamette da barba ai dischi in vinile.
I suoi interessi sono la musica pop rock blues psichedelica anni ’70/’80, la fotografia, la cultura hippie, i viaggi, la moto, il micromondo circostante.
Politicamente è stato sempre schierato contro.
Spiritualmente, umilmente, si colloca come seguace di Shakty Yoni, space wisper di Radio Gnome Invisible.
Un pensiero criticabile ma libero, una mente aperta a 359 gradi.
Ma su quel grado è intransigente.