SIMULAZIONI

Tempo di mondiali di calcio.

Le partite sono il piatto forte di queste calde serate estive, anche in assenza degli azzurri. Tutto viene analizzato, sviscerato, discusso, anche alla luce della vera novità introdotta per la regina delle competizioni: il VAR.

Come al solito gli acronimi nascondono l’ennesima anglofilia, lingua ufficiale della globalizzazione. Si tratta del Video Assistant Referee, che in italiano suonerebbe come Assistente Video per l’Arbitro, ovvero AVA, che però ricorda un noto detersivo dei bei tempi andati (o c’è ancora?).

Quello che stupisce, ora che questo strumento è a portata di arbitro, è la frequenza delle simulazioni che i giocatori si ostinano a mettere in scena. Già con la moviola, pur non in campo, erano stati battezzati diversi “tuffatori” professionisti. Evito di farne i nomi per non urtare la sensibilità di qualche tifoso, la cui fede impone di negare anche l’evidenza.

Recentemente, nella partita degli ottavi di finale che ha visto prevalere il Brasile sul Messico, il giocatore di punta verdeoro, Neymar, si è esibito in una sceneggiata che gli è valsa l’oscar sul web per miglior attore protagonista.

Un presunto pestone ricevuto mentre era a terra ha causato convulsioni, tremiti, urla di dolore e rotolamenti vari.
Chissà cosa avremmo visto nel caso il pestone ci fosse stato veramente.

Con che faccia questo pur bravo giocatore scenderà in campo alla prossima partita, e come potrà essere vista dall’arbitro qualunque sua caduta, non è dato sapere. Per quel che mi riguarda, ha perso la faccia e non c’è altro da dire. Contro il Messico, poi, squadra che mi ha fatto battere il cuore, essendo io perdente per natura.

La simulazione, a mio modo di vedere, è parente stretta dell’inganno, ha una componente machiavellica che sembra accettare qualunque bassezza purché venga raggiunto l’obiettivo. E allora ecco ragazzoni grandi e grossi volare per aria non appena percepiscono un qualunque contatto con l’avversario, fosse anche solo accennato. Appena si sente una mano sulla schiena, il fianco o un ginocchio sfiorato, ecco che le gambe si paralizzano e il nostro finisce a terra.

Solo che il VAR, quando consultato, mostra in maniera evidente che, tra il contatto (vero o presunto) e la caduta, passa quell’attimo che annulla il nesso di causalità: non è il contatto a causare la caduta, ma l’ordine impartito dal cervello di simulare.

Visto quanto comunemente ciò accade, viene da chiedersi se non ci siano scuole specializzate all’uopo. Perché è richiesto un allenamento specifico per ottenere un gesto credibile (e infatti alcune volte gli arbitri abboccano), una perseveranza che porta all’automatismo della simulazione.

Una volta, nei polverosi campetti di periferia dove ci si arbitrava da soli, se uno solamente ci provava a fare la scena rimaneva marchiato a vita: menarsi calci agli stinchi va bene, ma la lealtà sopra ogni cosa.

 

 

Questa moda da tempo ha pervaso tutti noi nel quotidiano, per questo forse i calciatori sanno di poter contare sulla complicità dei tifosi. Chi simula amicizia, confidenza e stima, per poi affondare il colpo alle spalle alla prima occasione utile. Questo sia che se ne tragga un vantaggio, sia per il puro gusto estetico.

I casi sono molteplici, ciascuno potrà portare la propria esperienza. Il problema è che, nella nostra quotidianità, non ci sono né moviola né VAR ad aiutarci. E allora tante volte si rimane col dubbio, ci si interroga se si sia capito bene, anche quando le situazioni sembrano apparentemente inequivocabili.

Meglio il dubbio che prendere un granchio, anche se forse un approccio diretto con il presunto simulatore potrebbe aiutare: se parte la sceneggiata del “come ti permetti”, “come hai potuto anche solo pensare a una cosa simile” allora gli indizi aumentano, che il simulatore, quando entra nella parte, in genere perde i freni inibitori e tende ad esagerare, proprio come Neymar.

Ad esempio so di una volta in cui due amiche si sono incontrate a una festa. Una era visibilmente ingrassata. L’altra è partita con una sviolinata del tipo: “Caaarissssima, ma come ti trovo bene, in forma smagliante come sempre! Ma come fai?”

 

L’altra, facendo buon viso a cattivo gioco, ha ricambiato i complimenti ma poi, appena chiusi i convenevoli, si è girata verso chi casualmente aveva assistito allo scambio e ha sibilato “sta zoccola, è più falsa di una banconota da tre euro”.
L’altra, appena fuori tiro, ha fatto di gomito alla prima che passava e le ha detto “ma che s’è magnata quella, il frigorifero con tutto il motore?
Ora, con una moviola la lettura del labiale sarebbe stata uno scherzo.

 

Per i maschietti è diverso. Le simulazioni sono di tipo quantitativo e hanno generalmente a che vedere con proprie presunte prodezze, con l’altro sesso e non solo. C’era uno che era stato soprannominato pigreco, perché le sue vanterie andavano divise per 3,14 per raggiungere un sufficiente grado di ragionevolezza. Finché non lo è venuto a sapere e ha cominciato a spararne di più grosse, ma con moltiplicatori diversi, in modo da non poter essere collegato ad alcuna costante.

Risparmio di esaminare le simulazioni dei nostri rappresentanti politici, per amor di Patria.

Dopo questa breve galleria di luoghi comuni, urge una conclusione che dia un senso a questa storia.

Forse quello che manca è un minimo di amor proprio, il sottile piacere della sincerità. Invece, di simulazione in simulazione, non ci si capisce più niente e solo i più furbi, abituati a pescare nel torbido, ne traggono gli effimeri benefici. Perché in genere alla fine i nodi vengono al pettine, anche se non sempre e non per tutti.

La domanda che sorge spontanea, quand’anche la simulazione non venisse svelata, è:

ma ne vale realmente la pena?

Tanto il vostro Erasmo dal Kurdistan vi doveva, senza nulla a pretendere.

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