S.N.T.S.F.D.C.

S.N.T.S.F.D.C. (Società Nemmeno Troppo Segreta Facce di Chiappa)

“Ma non potrebbe dedicarmi un’oretta? Sarei disposto anche a venire io da lei, magari potrei approfittarne per prendermi un paio di giorni di svago…”  Il sole andava ritirandosi ed una striscia d’ombra avanzava gradatamente, appropriandosi, ripiano dopo ripiano, della eroica libreria di casa Tarallo, gravata da un peso esagerato.

I volumi, roba d’ogni genere, che essa conteneva, si contendevano ferocemente uno spazio esauritosi già da tempo, abbarbicandosi come liane agli esausti scaffali.

Quei libri, i più recenti dei quali erano stati infilati a forza, esaurite ormai tutte le posizioni possibili, si erano adattati ad assumere quelle impossibili, lasciando pensare che il progettista della libreria taralliana fosse stato Escher in persona.

E non bastando quel soverchiante ammasso cartaceo, i centimetri dello spazio che intercorreva tra le file dei libri ed il bordo dei ripiani di quel mobile, che prendeva due pareti intere, arrivando a sfiorare il soffitto, era affollato di oggettini di ogni tipo.

Era una sorta di bazar: vi convivevano modernariato, piccolo antiquariato e una selezionata paccottiglia di ricordini.

Ci si potevano rintracciare sia piccoli reperti archeologici romani che pupazzetti buffi caricati a molla; monete antichissime, vecchie e nuove e statuette stilizzate di omini impegnati in buffe operazioni ginniche; mostriciattoli fuggiti dalle surreali pitture di Bosch e paginette miniate quattrocentesche, incorniciate a dovere; sagomine di frati dal bianco saio realizzati con gomma da cancellare e di rabbini in pose ieratiche, con le braccine di vetro che si levavano al cielo mostrando minuscoli rotoli della legge.

Ma in quell’avvertimento di sera, preso com’era dall’urgenza di quella chiamata, Tarallo non stava accarezzando col consueto sguardo paterno tutte quelle assurdità collezionate scegliendole una per una in tanti anni.

Oppresso dall’incalzare di incubi che troppo somigliavano alla realtà quotidiana e a volte in grave difficoltà nel distinguerli da essa, Lallo, nonostante la severa proibizione a farlo, si era attaccato al telefono (ne possedeva uno a muro, un originale degli anni Sessanta, lucido di bachelite color inchiostro) e aveva chiamato il suo psicologo, il Prof. Cervellenstein,che era in vacanza in una algida e ridente località di montagna.

L’eminente professionista alternava impegnative escursioni sulle cime boscose che circondavano il paese con una assidua attività serale di corteggiamento rivolta ad una indistinta pletora di turiste, tutte mature e sognanti, che venivano a tiro della sua spumeggiante barbetta.

“Tarallo, lei sta transitando dalla “normale”, chiamiamola così, “Sindrome del Pontino Alternativo” al dare davvero di volta al suo cervello! Che accidenti dovrebbe venirci a fare lei qui? Ha forse in mente di disastrare anche il mio necessarissimo e sacro periodo di distacco dalle balzanerie che mi vengono versate in testa nel corso di un intero anno, non ultime le sue?

Forse lei ignora che anche un terapeuta arriva a stressarsi ed ha quindi l’assoluta necessità di ripulirsi la mente e la psiche in una zona fisica e mentale caratterizzata dal silenzio più puro e da un rigoroso ascetismo”.

Cervellenstein si interruppe per un momento, coprendo con la mano il microfono del cellulare, e lanciò un fischio di richiamo e ammirazione ad una matura e piacente signora. La donna, voltandosi di scatto verso di lui, aprì il volto ad un immenso sorriso e accennò un vezzoso saluto con la manina.

“Mi capisce Lallo? Silenzio e ascetismo!“ concluse subito dopo, riprendendo la conversazione.
“Almeno mi stia a sentire un momento, – insistette Tarallo – debbo parlarle di cose che ho scoperto, e che avvengono davvero, non sono quei fatti tremendi che vivo negli incubi: ci somigliano, d’accordo, hanno lo stesso segno, ma sono terribilmente reali!
“E pur volendo compiacerla e dando per assodato il fatto che non ci troviamo infilati in uno di quei suoi sogni littolatinensi dalla incerta cronologia, che accidente le prende stavolta?”

Il Professor Cervellenstein, rassegnato a ritardare di almeno un quarto d’ora il suo trionfale ingresso nella sala ristorante del suo Hotel, gremita di bellezze stagionate, si accomodò con un sospiro sulla poltroncina della sua camera.
Tarallo a quel punto riprese a parlare:

“Intanto c’è la storia di Natale Tiscirto, lo ricorda, no? In questi giorni, dopo una lunga battaglia per trasformare in malattia cronica un taglietto ad una gamba che si era procurato in seguito alla colluttazione con una motozappa…”

“Sì – lo interruppe Cervellenstein, sospirando ancora più rumorosamente – magari la Bertoccetti 202E dei suoi incubi…”
“Quella o un’altra non importa, fatto sta che per Tiscirto ora è scoccato il gong: l’hanno schiaffato in galera.”

“E non è contento? Scusi Tarallo, ma da quanti anni lei andava straziandoci le pudenda ripetendo ossessivamente che quel tizio era un maneggione delinquente, che era uno dei vertici di un’organizzazione malavitosa, che dispensava favori o schiaffoni secondo regole mafiose?
E allora, in cosa consisterebbe la cattiva notizia?

“La pessima notizia è che l’ambiente politico dell’ex ras cittadino, ovvero quell’humus che lo ha prodotto, incoraggiato, candidato, rivestito di cariche importanti e riverito, ora tace, fa finta di niente. Nessunissima reazione: Tiscirto è entrato in cella e, contemporaneamente, nel dimenticatoio, col commento musicale di un silenzio assordante quanto una sirena. Lei lo trova normale Professore?”

“Bah, che vuole Tarallo, mi pare normale sì che quegli ambienti politici, dove tra l’altro allignano personaggi che posseggono il medesimo decoro di un venditore thailandese di minorenni, non stiano lì a contendersi pubblicamente il merito di averlo avuto alleato e compare, o di aver preso ordini da lui. Che pretenderebbe?”

“Mi stia a sentire: anche se queste mummie, vecchie e giovani che siano, ostentano silenzio e fischiettano motivetti vaghi, simulando innocenza, la vecchia organizzazione è ancora in piedi e trama per riprendersi la città.

Seguendo le tracce dell’insolita proliferazione di testate, più giornalose che giornalistiche a dire il vero, moltiplicatesi in città dopo la grande disfatta, un addensarsi veloce come il formarsi di una mucillagine costiera in estate, ho scoperto che una specie di setta semisegreta opera attivamente per rimettere tovaglia e coperti a disposizione dei vecchi alleati di Tiscirto”.

Pensa un po’ che novità, – commentò pungente di ironia il Professor Cervellenstein – che fatto sorprendente: chi ha perso cerca la rivincita! Sono davvero basito, mi sembra una cosa originalissima, anzi, del tutto inedita!”.

“C’è poco da scherzare Professore! Ci stanno dentro in tanti e non operano alla luce del sole.

Imbarcano di tutto oltre ai vecchi amministratori: ex raccomandati ficcati nei gangli amministrativi, che si sentono ostaggi in mano ai “nuovi”, fedeli galoppini rimasti senza caviale, ex oppositori  affettuosi, piromani in crisi di astinenza, giornalisti eternamente in cerca d’autore e voltagabbanisti inveterati che cambiano casacca più veloci di Clark Kent nelle cabine telefoniche.

Imperversano soprattutto sui social avvelenandoli. La società occulta, a questo fine dà dunque da mangiare a parecchie decine di famigli e complici sparsi soprattutto in siti dediti ad una singhiozzante nostalgia.
Ai tizi che li gestiscono regalano vecchie uniformi tarlate e chincaglieria littoria: quei coglioni, che si considerano “l’ala militare” del progetto restauratore, ci vanno in solluchero perché sostanzialmente sono guitti da filodrammatica di paese, in fregola da parata.

I vertici della setta sono in grado di alimentare questa vasta industria denigratoria perché hanno finanziamenti che gli arrivano abbondanti dalle forze che hanno visto fatalmente compromessi i loro interessi nel primo vero avvicendamento politico nella storia della città. Sono monnezzari, cementificatori seriali, gli ex vincitori abituali di appalti senza gara e così via.”

“E come si chiamerebbe questa piddue all’amatriciana?” insistette Cervellenstein, sornione, trattenendo un sorriso.

“Si chiama SNTS FDC: Società Nemmeno Troppo Segreta Facce di Chiappa”.

“Ah benone, Facce di chiappa! Significativo…” sghignazzò l’illustre terapeuta.

“Vuole dei nomi? lo glieli faccio pure se non mi crede. Sono della partita, ad esempio, i fratelli Marameo, l’ex Podestà, chiamiamolo così, e l’altro. Sono gli stessi che insieme ad una folta pattuglia di disinteressati idealisti progettarono l’indifferibile, utilissima linea urbana di dirigibili che, clima, venti e forature con annessa catastrofe permettendo, avrebbe consentito a 140.000 cittadini su 120.000 (queste le previsioni di utenza…) di raggiungere lo Scalo in soli novanta minuti”.

 

 

“Ma… Tarallo, scusi: non sono forse quei tizi che anni fa l’avevano portata in tribunale?
“Sì, proprio loro. In un libello che avevo fatto stampare a mie spese, dopo aver chiesto conto della montagna di soldi pubblici regalati in fretta e furia alla “Urban Zeppelin”, la società vincitrice dell’appalto, con un’espressione fortemente allusiva, li avevo diplomaticamente definiti «dei viscidi vermi fermentati nel marciume».

Mi erano arrivate due querele. La prima, velocissima, speditami quasi in tempo reale con la pubblicazione di quell’articolo, era quella dell’AVI, l’Associazione Vermi Italiani che si era ritenuta offesa dall’accostamento; la seconda, giunta con più calma un mese dopo, era quella dei Fratelli Marameo e del loro entourage.

Astro nascente della setta è il mitico Ambaradan Arnelli, detto “Settecasacche” per la velocità da centometrista nel correre dietro alle tracce di probabili vincitori, cambiandosi d’abito, lesto come Brachetti, in caso di sconfitta elettorale.

 

Ambaradan Arnelli detto “Settecasacche”

Anche lui è un tesserato faccia di chiappa, uno passato per ogni passato. È il paroliere della società: scrive i testi dei post diffamatori per conto di una trentina di profili diversi, tra quelli veri e quelli falsi. Si occupa anche di potare dai suoi dintorni gli eventuali rintuzzatori: si sa che ama le cose ottenute senza troppo rischio. E, a quanto ho potuto scoprire, risulterebbero facce di chiappa anche…”

 

“Senta Tarallo – Cervellenstein lo interruppe nuovamente – io capisco tutto quello che vuole, ma sono in ritardo per la cena: da queste parti la si serve prestissimo, non lo sa? Non dubito delle sue capacità di giornalista investigativo, ma conosco fin troppo bene quelle di tracimatore onirico dalle quali è afflitto.
Se io la facessi stendere ora sul lettino, dopo aver dato una bella strizzatina a ciò che resta della sua psiche, lei magari mi confesserebbe di aver sognato tutto e di essersi confuso, come le è già capitato.

 

 

Mi dia retta, aspetti che il mio periodo di ritiro spirituale abbia fine e le prometto due sedute al prezzo di una.
Ma ora la prego, smetta di vedere complotti ovunque e si metta tranquillo. Esca, si divaghi anzi, porti a cena fuori quella ragazza che non ha il coraggio di abbordare, la bella Consuelo, e anneghi finalmente nelle sue grazie. A presto Tarallo, la saluto!”.

Lallo, sconfortato, attese un istante prima di riagganciare a sua volta la cornetta al supporto e scosse la testa.“E se avesse ragione quel vecchio riparatore di neuroni? – pensò immalinconendosi – E se avessi sognato anche tutta questa storia?”.

Perplesso e un po’ floscio d’animo, decise di non mettersi a sudare sui fornelli e di andare invece a mangiare in pizzeria. Uscì di casa, soprappensiero come sempre, e quasi urtò un tizio che stazionava appena fuori del portone, leggendo il giornale.
Quel tale, subito dopo il passaggio di Tarallo, abbassò il quotidiano (per la cronaca, era il quotidiano cittadino diretto da Ognissanti Frangiflutti) e senza dare nell’occhio si mise a camminare nella sua scia, tallonandolo.

 

Aveva un cappello di paglia calcato su una faccia che aveva qualcosa di strano, che lasciava perplessi: era anormalmente paffuta e rubizza, ripartita tra due gote belle piene e polpute come…….

due chiappe!!??

 

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