“Smetta di agitarsi Tarallo,
e mi racconti meglio, sia più pacato, meno confuso: insomma non mi faccia uscire dai gangheri come al solito”.
Il Professor Cervellenstein per vecchia abitudine non riceveva i pazienti il sabato mattina: quello era un appezzamento di tempo che da sempre considerava sacro, e che utilizzava immancabilmente per piazzare trappole seduttive ai danni di belle signore mature.
Mazzi di fiori, scelti con cura, raggiungevano la preda quando presumibilmente si era svegliata da poco e quando, ancora un po’ avviluppata dal torpore, avvertiva confusamente di dover arredare in qualche modo, possibilmente gratificante, un weekend fino a quel momento sgombro da impegni.
Cervellenstein, cipollone alla mano (il magnifico orologio da tasca non era certo l’unico dei suoi vezzi retrò), calcolava mentalmente un presumibile lasso di tempo di venti minuti dalla avvenuta consegna dei fiori, poi telefonava alla donna.
Ovvio, quasi d’obbligo, era il paragone che faceva subito tra lei e i fiori appena ricevuti: “Le ho spedito alcuni suoi ritratti, mia cara, ma nulla di paragonabile all’originale…”.
L’illustre Psicologo e Cattedratico sapeva come impostare la voce e, con abilità da grande interprete, la modulava su un timbro basso, pastoso e vibrante, lo si sarebbe potuto definire spermatico, che appena percepito dalla vittima la induceva istintivamente a riassestarsi i capelli e la vestaglia.
Qualche piccola battuta ulteriore per prospettare alla signora un pranzo in una cornice più che decorativa, qualche altro discretissimo complimento e la preda, trillante come un usignolo sotto stupefacenti, si poteva considerare già finita nella poco metaforica rete del Professore.
Quel sabato tuttavia, non c’era stato verso di seguire questa ferrea tradizione: una serie di telefonate concitatissime di Lallo Tarallo, il giornalista d’assalto che rivestiva il ruolo di suo paziente incubo, lo avevano costretto a deragliare dal programma.
Cervellenstein, investito dalla eccitata, rutilante e scompaginata prosa telefonica di Tarallo, non era nemmeno riuscito a capire a cosa fosse dovuta quella irresistibile agitazione.
Qualunque fosse il motivo di quelle spettacolari eruzioni emotive, sembrava di una certa gravità.
Le evidenti difficoltà di Lallo ebbero infine ragione del brullo cinismo dello psicologo.
Così questi, mentre coniava mentalmente una salva di imprecazioni che parevano tratte dal “Fior da fiore dello Scaricatore di Porto”, si vide costretto a concedere a Tarallo un’oretta di colloquio per la mattina successiva.
Ora il giornalista, che mostrava un aspetto più stazzonato del solito, gli stava davanti, nervosissimo.
“Allora, se ho ben capito Lallo, il suo direttore, Ognissanti Frangiflutti, ha respinto, dando i numeri, la sua proposta di fare un’inchiesta su mafia e rifiuti, dirottandola invece a scrivere di street food.
Dico bene fin qui?”
“Sì, è così, – confermò Tarallo, che nel frattempo aveva riorganizzato la truppa disordinata dei suoi neuroni – quando gliel’ho detto è letteralmente decollato dalla poltrona!
Pensavo che non sopravvivesse al volo, alla sorpresa e alla rabbia: sbavava come un rottweiler alla vista del biscottino a forma di osso.
Poi stamattina mi ha chiamato e con lo stesso ghigno compiaciuto che ha un tecnico di sala quando riesce a raddrizzare elettronicamente un raglio di Jovanotti, mi ha incaricato di andare per conto del giornale al comizio del Ministro per l’Allarme Sociale Mattia Rozzini!!
“Eccole l’accredito, – ha detto con nonchalance – con questo lei potrà addirittura accedere al palco e sistemarvisi stabilmente, fare foto senza alcun limite e servirsi pure del buffet coi crostini a base di salsicce, patate, ciccioli e cemento, preparati per l’occasione da un oste fatto arrivare appositamente da Garbagnate Milanese.
Siamo gli unici, per via di certe conoscenze comuni, ad avere un trattamento così privilegiato: voglio un articolo grandioso, un resoconto vibrante e incisivo.
A proposito: si dilunghi sulla buca che Sua Eccellenza il Ministro ha dato all’usurp… ehm, al sindaco, facendo saltare l’incontro previsto.È tutto chiaro? Ah, quasi dimenticavo: sono d’accordo con l’Organizzazione perché lei si porti appresso almeno un disgraziato di colore, perché l’Ufficio Stampa di Rozzini vuole che il Ministro si faccia un selfie con lui. Scelga qualcuno di ben lavato tra i suoi amici impresentabili, magari gli prometta un crostino…
Ora si dilegui, vada a prepararsi per domani e, mi raccomando, si metta addosso qualcosa di diverso dalle sue consuete tenute da poeta sloveno…”
Ha capito Professore? Vuole mandare ME! Mi vuole far fuori, cerca il pretesto! Lui sa certamente che a me il neoministro, quell’addestratore di bile, dà l’allergia, mi repelle!
Ora se io ci andassi e scrivessi davvero tutto quello che sarebbe giusto scrivere e non quello che Frangiflutti certamente vuole che io veda e scriva, non mi basterebbe più nemmeno la copertura “religiosa” del mio zio piduista ad evitarmi di essere sbattuto fuori dal giornale con un cannone, come l’uomo volante nei circhi”.
“Mi scusi Tarallo, ma lei che è sempre così… così… sì, tignoso, ecco, non ha replicato nulla?”
“E che dovevo fare? Ho fatto il babbeo modesto, gli ho detto che mi dispiaceva che un privilegio simile fosse strappato ai redattori fissi che avevano molti più meriti dei miei.
Ho specificatamente nominato Rodrigo Dell’Ortaggio, il caporedattore: la sua ombra servizievole, il suo schiavo, il suo sicario.
Speravo funzionasse, ma quello, attorcigliandosi su se stesso come una biscia in amore, mi ha risposto che Dell’Ortaggio non sta bene e sta curandosi l’alitosi alle Terme di San Saturnino, in Sardegna. Capito? L’alitosi alle terme! Mi ha fregato!
Che devo fare ora Professore? Mi dia un suggerimento, una idea saggia… qualcosa insomma”.
“Farò di più! – Cervellenstein alzò la testa fiero e risoluto – Verrò con lei!”
“!!!!????”
“Sì, la scorterò io e l’aiuterò a frenarsi, e no, non mi ringrazi: sarà lei a fare così un favore a me.
Deve sapere che sto completando un libro, una ricerca per conto del Dipartimento di Psicologia Sociale dell’Ateneo di Glasgow.
Si chiamerà: “Saggio Sulla Suprema Protezione, Ovvero l’Inaccessibilità Del Cretino”.
Può bene immaginare quanto mi possa interessare avere la possibilità di fare ricerca sul campo, andando a vedere coi miei stessi occhi l’incredibile spettacolo di qualche migliaio di babb… di persone che staranno lì a venerare come un feticcio salvifico uno che, lavorando e campando benone di razzismo, fino a ieri li ha trattati da feccia puzzolente.
Approfitterò del suo accredito, mi spaccerò per suo aiutante e farò qualche domanda in giro ai tantissimi ex terroni contenti come pasque di essere stati promossi di fresco a “voti utili”.
Che facciamo Tarallo: si riforma la squadra anti Facce da Chiappa, chiamando Abdhulafiah a fare il selfie con Rozzini e Consuelo a fare le foto?”
Tarallo per qualche minuto non riuscì a richiudere la bocca, spalancata del tutto per lo sbalordimento.
Poi, faticosamente, recuperò la parola:
“Ma Professore, lei pensa davvero… cioè avrebbe la faccia tost…, no mi perdoni… il coraggio, di spacciarsi…”
“Ma si figuri, Tarallo, – il Professore lo interruppe tonando – le ho già detto una volta che da ragazzo facevo del teatro amatoriale!
Il bello è che mi davano sempre le parti di giovane seduttore, Ah ah, ah, pensi un po’!”
“Gente che ci vedeva lungo” pensò fuggevolmente Lallo.
“Dunque è deciso, – concluse perentorio Cervellenstein – ci vediamo stasera, prima del comizio, sotto casa mia. Avverta gli altri due!”.
Diverse ore dopo il giornalista Lallo Tarallo, in veste di inviato del fogliaccio quotidiano della città di Latina Littoria, saliva sul palco sul quale era atteso per un comizio il Ministro per l’Allarme Sociale Mattia Rozzini.
Il reporter, inappuntabile in un vestito di lino verdastro prestatogli da un amico carrozziere, era accompagnato da un maturo assistente dall’aria distinta e da un immigrato di colore, esperto di economia, che faceva ormai parte dello scarno paesaggio del parcheggio di un grande supermercato cittadino, luogo nel quale soleva dare a chi faceva la spesa consigli di vita e di finanza in cambio di mance.
Tarallo, in preda al malumore, era già piuttosto su di giri: arrivando era quasi venuto alle mani, per questioni di parcheggio, con un deficiente su una assurda Smart cingolata.
Cervellenstein era riuscito con molta difficoltà ad evitare il peggio piazzandosi in mezzo al flusso degli insulti arroventati che i due si scambiavano.
Successivamente all’episodio,Tarallo, che detestava da sempre quel modello di automobile, espresse la convinzione che quel tizio, che pretendeva di aver visto il posto libero prima di lui, avesse la tipica “faccia da Smart”. “E ho detto tutto!” concluse significativamente.
Dal palco, dove la piccola compagnia dei nostri amici si piazzò, si godeva una vista privilegiata: la discreta folla presente di tanto in tanto veniva rimpinguata da gruppi di persone che scendevano dai pullman, gente rubizza che appena sbarcata a terra si precipitava correndo verso i pochi bagni chimici presenti nel parco, per smaltire le birrette e i cori (“Giovinezzaa, giovinezzaaa…”) di cui avevano abusato durante il viaggio.
Tarallo si sforzava di assumere un’espressione neutrale, stretto com’era tra corpulenti funzionari di partito dalla sudorazione contundente e due o tre miss smunte, in maglietta verde pisello, che provavano meccanicamente il sorriso smascellato che avrebbero riservato poi a Rozzini.
Tutto il lato ovest del palco era occupato dall’imponente oste di Garbagnate Milanese, che teneva sotto controllo il buffet coi micidiali crostini colesterofili, sparando schiaffi sulle mani a chiunque tentava di prelevarne qualcuno.
La gente, nell’attesa del momento clou, scaldava le ugole strillando slogan insultanti, diretti per lo più al PD e alle “zecche di sinistra”, come se ci fosse un nesso tra le entità da loro oltraggiate.
Scendeva ormai la sera.
Si accesero abbacinanti festoni di luci potentissime: i chioschi della festa venivano presi d’assalto dai terroni redenti e la birra scorreva come il Mississippi, andando ad innaffiare vaste praterie di porchetta.
Compilation di classici del liscio, erogati da altoparlanti criminali, si alternavano a soporiferi brani di Povia.
Cervellenstein attaccava bottone con chicchessia, facendo domande apparentemente innocue, ma tese in realtà a corroborare le sue ipotesi di ricerca sull’inaccessibilità dei cretini.
Lallo scalpitava per il ritardo di Consuelo che avrebbe dovuto fare le foto. Abdhulafiah frattanto gli dava di gomito: “Che dici, quando facciamo il selfie insieme, posso dirgliele due paroline a Rozzini sui decimali di deficit e sui relativi effetti sul debito pubblico di una nazione? Si dice che abbia bisogno eccome di dritte in materia!”
“Stattene zitto e buono Abdhul, fammi il piacere. Sorridi come il buon selvaggio quando vi fate il selfie insieme, e poi placati” sibilò Tarallo ammiccando contemporaneamente ad un signore dal marcato accento salentino che aveva addosso un giubbottino leggero griffato Padania, residuato della Collezione Autunno Inverno della Lega Nord di qualche anno prima.
Lallo giocherellava nervosamente col miniregistratore quando si sentì il brusio dei presenti impennarsi e organizzarsi in possente grido collettivo. Un nugolo di gente, di buttafuori e di poliziotti stava quasi portando in braccio il Ministro verso il suo appuntamento con la gloria, tra urla che si accentuavano:
“CA PI TA NO! CA PI TA NO!”
Lallo quasi non si rese conto del momento in cui il ministro gli sfilò accanto, salutando la folla.
Tutti strillavano, qualcuno faceva il saluto romano, Povia in sottofondo strillava: “Luca era gay e adesso sta con leiii”.
Un mare di bandiere con Alberto di Giussano, con lo spadone sguainato stampato sopra, venivano agitate da braccia di Latina, Viterbo, Frosinone, Napoli, Bari e così via. Cervellenstein le fissava affascinato.
Rozzini, che aveva indosso una maglia del Corpo degli Agenti di Custodia, si accostò al microfono a braccia levate:
“Cittadini e amici di Latina…”
fece in tempo a dire prima che la corrente saltasse, immergendo la festa in una tenebra che tutto sommato le si addiceva.
Un “OOoohh” di delusione si levò dalla folla, qualcuno sul palco si mosse nel buio fitto, travolgendo il tavolo del buffet.
Il rumore di una cascata di crostini che precipitava in terra provocò l’urlo di orrore dell’Oste di Garbagnate, che prese a menar fendenti alla cieca in cerca di vendetta.
Rozzini era stato fatto intanto scendere e messo al sicuro da qualche parte: si pensava ad un possibile attentato.
Solo Tarallo ghignava.
Rideva perché era l’unico ad aver capito cosa fosse successo: Consuelo era arrivata e, con un effetto rovesciato rispetto a quello solito, la sua bellezza aveva causato un corto circuito, spegnendo la bruttezza circostante.
Il posto di lavoro di Tarallo era da considerarsi in salvo: avrebbe fatto solo il resoconto, asciutto ed obiettivo, di un black out elettrico.
Cervellenstein aveva tirato fuori una piccolissima torcia e studiava i volti di chi gli stava vicino, Abdhulafiah, protetto dalle tenebre, si divertiva a dare del terrone, in perfetto dialetto meneghino, a un segretario di paese del partito di Rozzini.
La confusione attorno era all’apice, mille lucine di telefonini vagavano tutt’intorno come lucciole.
Tarallo rideva di cuore mentre la luna si nascondeva dietro un’enorme nuvola, illuminandola.
Curiosamente la sua forma ricordava quella dell’Africa.