C’è tempo

Dicono che il tempo non esista,
che sia una convenzione umana.

Nella fisica contemporanea il fattore tempo non trova spazio in alcuna delle formule usate per rappresentare la realtà che ci circonda, dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo.
Umberto Eco su questa visione ci ha riempito pagine di metafore nel suo “L’isola del giorno prima”.

Eppure i bambini crescono, i capelli si fanno bianchi e cadono, il vino e le persone invecchiano; e il tempo non basta mai.
Tutte quelle cose che avremmo voluto dire o fare a un certo punto si tramutano in rimpianto: non c’è più tempo, o mancano le forze o le condizioni.
“Chi ha tempo non aspetti tempo”, l’esortazione a non buttare una risorsa percepita come scarsa.
Magistrale la sintesi che Sorrentino mette in bocca a Jep Gambardella ne “La grande bellezza”:

La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare.

Però anche l’ozio vuole la sua parte.
Non fare oggi quello che puoi tranquillamente fare domani.
Un altrimenti oscuro generale romano, Quinto Fabio Massimo, è passato alla storia come Il Temporeggiatore per la sua tattica di guerra: non affrontò Annibale direttamente in campo aperto ma lo marcò stretto, prendendo tempo, per dare battaglia solo quando le condizioni sono state favorevoli.
Prendere tempo, non cedere alla fretta.
Spesso una reazione ragionata è più efficace di una emotivamente immediata: serve tempo per analizzare, per riflettere, per pianificare.

Il tempo come opportunità, o anche come luogo dell’anima.
Come ricordo di ciò che è stato o idealizzazione di ciò che sarebbe potuto o potrà essere.
Un tempo che sono tanti tempi, tante fasi, tanti capitoli di un libro da scrivere fingendo che la parola fine possa aspettare.
“C’è un tempo bellissimo, tutto sudato…” canta Ivano Fossati nella sua canzone-monumento al tempo.

C’è un tempo programmato, che lascia poco spazio al caso, per non ammettere che molta parte di quel che sarà è fuori dal nostro controllo.
Tanti piccoli particolari, trascurabili accidenti, possono comportare l’apertura di alcune porte e l’irrimediabile chiusura di altre.
Bivi che portano lontano, senza possibilità di sapere cosa sarebbe stato se si fosse presa l’altra strada.
Le “sliding doors” del famoso film, che però introduce l’ipotesi destino, un’americanata senza alcun senso apparente.
Perché, se tutto fosse già scritto, che senso avrebbe il nostro agitarci come formiche impazzite?

Oppure il tempo come cura, come rimedio alla sofferenza. “Ha da passa’ ‘a nuttata” ripete Eduardo in Napoli Milionaria, fino a chiuderci la commedia.

Un atteggiamento passivamente e dolorosamente fatalista, dove l’uomo soccombe di fronte a forze troppo grandi, ingovernabili, e non può far altro che attendere la fine, perché in fondo tutto ha un termine.
Frase entrata nel linguaggio comune, grande intuizione che solo i più grandi possono lasciare alla storia.

Stessa cultura e simile approccio in Pino Daniele: “tanto l’aria s’ha da cagna’” canta nella struggente Quanno chiove.

Totalmente diverso l’approccio del bolognese Lucio Dalla. Con L’anno che verrà si prende gioco di chi si aspetta dal futuro la soluzione a tutti i suoi problemi, inanellando una serie di previsioni assurde e irriverenti, per chiudere tornando coi piedi per terra: “L’anno che sta arrivando tra un anno passerà, io mi sto preparando, è questa la novità”.

Controcanto quanto mai appropriato rispetto a tutti gli auguri che ci si scambia a Capodanno: quello che si è chiuso è stato un anno difficile, sfortunato (e giù a ricordare i piccoli o grandi drammi capitati), ma vedrai che il prossimo…
Se anche solo l’1% degli auguri che ci si scambia andasse a buon fine, immaginate il progressivo benessere che avrebbe travolto l’umanità.
Eppure l’affetto e la consuetudine ci portano a perseverare in questa tradizione, nonostante l’evidente inefficacia.
Ma poi, hai visto mai che invece un giorno…

Tanti auguri a tutti noi per tempi migliori, allora.

Che il tempo sia un’illusione o meno.

Tanto il vostro Erasmo dal Kurdistan vi doveva, senza nulla a pretendere.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *