Nostalgia
Quando
la notte è a svanire
poco prima di primavera
e di rado
qualcuno passaSu Parigi s’addensa
un oscuro colore
di piantoIn un canto
di ponte
contemplo
l’illimitato silenzio
di una ragazza
tenue
Le nostre
malattie
si fondonoE come portati via
si rimane.
Giuseppe Ungaretti scrive questa malinconica poesia mentre si trova sul Carso, durante la prima guerra mondiale, impegnato nelle battaglie in trincea.
Io ho visitato le trincee sul monte Grappa, dove si trova anche un Ossario, il cimitero di guerra di Bassano del Grappa.
Ricordo di averle viste in una giornata di nebbia che rendeva ancora più commovente il paesaggio, con la sua tetraggine e la sua indicibile mestizia.
Quando il tempo cala il suo velo sul vissuto non è poi tanto dissimile, anch’esso come la nebbia rende i contorni labili, ma dentro il significato dei fatti resta, così come la memoria ce li riconsegna, tramandati.
Ci si aggrappa allora alla memoria come fosse essa stessa trincea che si scava contro il Tempo per contrastare il suo velo inesorabile di oblio.
Ci si oppone con forza scavando difese, con l’ostinazione della vita che cerca Vita ovunque, per perpetrarsi e durare.
Io paragono l’atto di scrivere di Ungaretti a questa vita che cerca la Vita. Il gesto estremo, quello che libera se pure imprigionati in una guerra. Braccati dalla morte, con la morte ovunque.
Nostalgia nei versi di un uomo, che non è soldato, è poeta.
Versi che sono così lontani dalla realtà cruda dell’orrore e dipingono tinte tenui, la delicatezza dell’amore nella sua essenza più pura.
E come portati via si rimane.
Quante volte ci facciamo portare via, pur restando?
Si resta nella crudezza del presente, nel dolore, nella non appartenenza a una realtà che ci inchioda al suolo, eppure riusciamo a farci portare via, restando.
La ragazza tenue, come tenue è il colore di pianto, e la Senna che scorre sotto il ponte, a Parigi, dove Ungaretti era stato nel 1912 a studiare e aveva conosciuto molti artisti, è la sedicenne Marthe Roux, che si dilettava di pittura.
Il suo amore per lei, puro e incorrotto resta, e ricompare nel buio della disperazione di una trincea.
Successivamente le scriverà quarant’anni dopo:
“Ho ancora le vostre foto. Che illusione meravigliosa è stata per me”.
Chissà che forse, anche quarant’anni dopo, non le abbia scritto dalla disillusione di un’altra trincea, scavata per opporre al tempo e al suo oblio, la memoria e la bellezza di quell’amore giovane, semplice e incontaminato. L’illusione meravigliosa.
La vita che cerca la Vita ovunque, per perpetrare sé stessa.
Così, da una mia aritmia poetica, anche io alcuni anni fa ho dedicato dei versi alla ragazza tenue, che qui vi propongo, dal lontano paesaggio di quelle trincee, dove ciascuno di noi oppone la sua resistenza alla banalità del mondo.
La ragazza sul ponte
Sul ponte
una ragazza contempla
i gorghi tumefatti d’erba
del fiume che trascorre.
Stanotte si ferma il tempo
e,
nell’aria fredda,
immota,
il pensiero sembra
condensato
nel vapore acqueo
del suo respiro.
So cosa si sente
quando
si ferma il cuore.
Nell’istante in cui
l’addio
diviene non ritorno,
tutto si trasforma.
So quale sinfonia
di battiti e lacrime
da ricacciare negli occhi
a stento,
richiama alla radice dei nervi
l’appello
di ogni più piccolo
nodo del sentire.
So perché siamo uguali.
Lo specchio dell’acqua
rimanda la mia anima
e la sua,
l’una di fronte all’altra
ed è una notte bianca,
la nostra, a sparire,
che il velo di stelle
seminate a caso
da una mano pietosa
non rischiara.
Fresia Erèsia