Essere in confidenza col mondo della finanza quanto Jovanotti lo è con l’universo sterminato delle stonature, non era l’unico talento che veniva riconosciuto ad Abdhulafiah dalla piccola enclave taralliana di amici.
Aveva spesso delle buone idee, come vedremo.
In seguito alla caccia all’uomo scatenata dalla torbida figura del condirettore del Fogliaccio, Aloisio Li Corvi, nei confronti di Lallo, il suo fedele gruppo di sodali si era preoccupato non poco per il suo futuro, un futuro che appariva molto incerto, disseminato di trappole, malsicuro.
Il Professor Cervellenstein, poi, era allarmato anche dallo stato amoroso di Tarallo, una condizione che teneva il giornalista talmente acceso di beatitudine che non gli rimaneva in penombra nemmeno l’ultima cellula dell’alluce del piede.
Il suo fluttuare benevolo nel cosmo degli stilnovisti, sempre con un verso d‘amore per Consuelo sulle labbra, lo sottraeva alla percezione dei pericoli che stava correndo, facendoglieli sottovalutare.
Rischiava la cattura.
Fu così che l’illustre Psicologo convocò tutta la comitiva nel suo studio perché si tenesse una seduta di brainstorming: era maledettamente urgente trovare soluzioni che vanificassero la fatwa scagliata dalla proprietà del giornalaccio contro il loro amico.
La riunione dei taralliani era fissata per l’orario di chiusura dello studio del Professore, alle 20,00 circa.
Sfortuna volle che l’ultimo paziente in agenda quella sera fosse il famigerato Omar Tressette, il detestatore seriale, un uomo instancabile nel coltivare mille diverse idiosincrasie e spesso parimenti preda di una logorrea fluviale…
“Non so se lei è d’accordo con me Professore, ma credo che necessariamente lo debba essere chiunque su questo derelitto pianeta, sotto le sopracciglia ospiti dei veri e funzionanti bulbi oculari e non palle di piccione: cos’è sta smania di ostentare i piedi, infilati per di più in quella specie di zattere sgraziate di cuoiaccio, fatte, sia detto a maggior disdoro, da dei crucchi, da gente cioè che sta all’estetica come io sto al sessaggio dei pulcini di emù!
Che vuole che le dica Professore, siamo in febbraio e io già soffro!
Prefiguro quello che succederà tra poco più di un mese, quando un teporino criminale indurrà un’orda di stupratori della bellezza ad estrarre da scarpe compassionevoli i loro piedacci plebei, tirati fuori bel che pronti a sparare, come revolver dal fodero.
E dove finiranno quelle estremità grossolane o falsamente aristocratiche, arrossate come culi di gallo o bianche come salme di frate?
Glielo dico io Professore: quei piedastri sandalati o peggio ancora, finiranno sotto i nostri occhi, mostrando impudichi allucioni tozzi, o tristi e lunghi come pesci morti, unghie spesse e impolverate o diafani, funerei gusci da conchiglia, dita raggrinzite o rilassate come meduse spiaggiate.
E’ un mondo di falsi frati quello che si desta nella bella stagione, e a me già fanno una strana impressione i frati veri, con quei piedi che vorrebbero insinuare una falsa umiltà, una feroce remissività!
E in quasi tutti i casi di laici fratizzati dai sandali, di semplici passanti, quelle estremità sono le periferie estreme di un circo assurdo, popolato da gambette miste, evase da sguaiati calzoncini corti, indossati in turpe pendant con canotte colorate…”
Il Professor Cervellenstein diede una sbirciata all’orologio, Tressette non prendeva nemmeno fiato, proseguiva implacabile snocciolando i punti salienti del manifesto teorico della sua ennesima intolleranza sacra.
Lo psicologo mentalmente gli assegnò altri cinque minuti, prima di interromperlo: l’arrivo del gruppo “Friends for Tarallo” era ormai questione di minuti.
“Mi ha sentito Professore? Io, già lo scorso anno mi convinsi che assistere passivi al brulicare indiscriminato di chi si compiace di mostrarci i piedi e che considera pure normale infilarli nei sandali più orrendi di tutti i tempi, è sbagliato, diseducativo per i giovani, pernicioso per la vista e per la stessa fibra estetica di una nazione.
Qualcosa bisogna pur fare e io l’ho fatto! Sapesse che grande stagione estiva è stata quella scorsa! Quanti pestoni atomici ho rifilato! Come facevo? Come faccio?
Semplice: approfitto di ogni situazione in cui quei piedastri mi vengono a tiro per rifilargli generosi acciaccamenti.
Rifilo pesanti pestoni stando in coda al supermercato o alle poste, nella calca, ovunque si formi.
Arretro un po’ per colpire con naturalezza, schiaccio l’orrido piede fingendo che il gesto sia involontario e scusandomi prontamente, mentre l’esibizionista pedestre decolla in verticale come un elicottero o saltella dicendo: ”Ohi, ohi, ohi!”.
Una volta un tale distinto, vestito di tutto punto, anche con robina costosa addosso, ma che su due piedi che parevano scialuppe cadaveriche calzava i soliti obbrobbri teutonici, in seguito al mio generoso pestone ha preso a cantare l’aria: “O mio babbino caro”, tratta dal “Gianni Schicchi” di Puccini.
Vede allora che da un gesto di ribellione estetica può scaturire addirittura un esempio di bel canto? Mi sono ancor più convinto di essere sulla strada giusta: qui non siamo certamente nell’ambito di un mio piccolo disturbo psicologico, non trova anche lei Professore?”.
“Tressette, qui, al contrario, è notte fonda: lei a causa di una sua idiosincrasia acuta non può trasformarsi nel Giustiziere del Ditone!
Ricorda cosa faceva lei fino a pochi mesi fa ai baristi che scaldavano il latte col beccuccio?
E ricorda i guai che passò?
Si è fatto pure un anno di galera per aver piazzato una di quelle cannule di metallo rovente in bocca a Ermete, il gestore ottuagenario del Bar Babietole!
Ce n’è voluto per neutralizzare quelle sue pulsioni, ho dovuto sudare: una faticaccia!
Ora mi pare evidente che prima della bella stagione, prima cioè che l’orda del popolo delle canotte, dei calzoncini corti e dei brutti sandali crucchi (condivido il suo giudizio estetico, ma non vi trovi una giustificazione alle sue mattane) emerga, riversandosi nel mondo esterno, lei deve essere assolutamente disinnescato.
Ne parleremo nel corso della prossima seduta, arrivederci Tressette, la saluto”
Il bizzoso ometto si risolse ad andarsene portandosi appresso un’espressione perplessa e offesa, che gli scuriva in parte il volto. Nell’anticamera dello studio intanto già si affollava una piccola comunità: Abdhulafiah con le due cugine predilette, Amina e Aisha, Afid il falsario, suo fratello Giotto e Amarildo, barista del Bar Gorizia e consulente personale di Tarallo in materia di gossip di quartiere.
Consuelo sedeva su una delle poltroncine rococò della sala d’attesa, e sfogliando le pagine della rivista “Sembrano vivi!”, pubblicata dall’Associazione Nazionale Imbalsamatori, da anni dimenticata da qualcuno sul tavolino, faceva volare tutt’intorno delle piccole lucciole luminose.
Tarallo era fuori, da qualche parte, a cercare ispirazione per un’inchiesta sulla misteriosa trasferta malese di Frangiflutti, direttore sotto tutela del suo fogliaccio quotidiano.
Per non essere riconosciuto si era travestito da Archimandrita di Costantinopoli, una venerabile e ieratica figura nera e barbuta, che si aggirava per le vie cittadine percorse da consumatori dalle narici frementi come quelle dei cavalli da corsa.
Su prezioso consiglio di Abdhulafiah, Lallo aveva rinunciato ad usare in pubblico il bavaglino con la scritta “Non baciatemi”, al quale era legatissimo, perché sarebbe stato a quel punto facilmente identificabile per via della sua foto giovanile stampata sugli avvisi di taglia.
La riunione, presieduta autorevolmente dal Professor Cervellenstein, fu animatissima e caotica: ciascuno di loro era mosso da sincera amicizia per l’amico in difficoltà e si affannava a dare suggerimenti per sottrarlo alla vendetta della Proprietà, da essa decretata a causa dei suoi articoli, pubblicati grazie alle parole neuroerogene da lui usate fraudolentemente su Frangiflutti.
Fu un’idea sola, infine, ad elevarsi alta sul caos di folli progetti che si era creato.
Abdhulafiah, appunto, forte della sua abilità dialettica e linguistica, si offrì di impersonare telefonicamente il Commendator Ruggero Grembiale, lo zio piduista di Tarallo, un’entità, non necessariamente umana, avvolta da mistero fittissimo e lussureggiante, temutissima da Frangiflutti e dalla Proprietà del fogliaccio per le sue possibili e onnipotenti relazioni politiche.
Naturalmente l’ex migrante, ora consulente finanziario, tramite le sue eccellenti conoscenze, si era procurato il riservatissimo numero di cellulare del magnate dell’immondizia, monarca e proprietario del fogliaccio su cui scriveva Lallo.
Il testo della chiamata fu elaborato soprattutto da Abdhulafiah, fine diplomatico e autorità indiscussa in materia di blande allusioni a minacce devastanti, e dal Professore Cervellenstein, dotto ammaestratore di alienati da Gran Premio.
Furono dunque scartate come scarsamente utilizzabili le espressioni più effervescenti suggerite, curiosamente, dalle due cuginette, Amina e Aisha, cose un po’ melodrammatiche del genere:
“Se non riabiliterete Tarallo sarete scorticati vivi e gettati in una vasca riempita col Jonny Walker” oppure: “Dormirete vivi (?) in un letto di scorpioni mentalmente disturbati”.
Alla fine di un complesso lavoro di limatura, il testo della telefonata venne infine sfornato.
Era un’opera perfetta, una sulfurea miscela di benedizioni, citazioni oscure e di minacce atroci in salsa dolciastra.
Consuelo provò la parte della segretaria del Commendatore piduista, quella che avrebbe impattato per prima il Re dei rifiuti, e al suono della sua voce calda, il Turbinicarpus lophophoroides, l’unica, infelice pianta grassa dello studio, che a furia di essere trascurata e tenuta per ere geologiche senz’acqua aveva imparato a farsi la parmigiana di melanzane da sola, fiorì con un mese di anticipo.
Tutti trattennero il fiato, le due cugine furono costrette da un’occhiata ustionante di Afid ad interrompere il gorgoglio delle loro continue risatine e Consuelo, infine, compose il famigerato numero di telefono…
Tre quarti d’ora dopo la conclusione del colloquio tra il finto Grembiale/ Abdhulafiah, e l’aromatico Proprietario del Fogliaccio, atterrò a Fiumicino un aereo proveniente da Kuala Lampur.
Ne scese un frastornato Frangiflutti, rimesso a lucido dal periodo di esercizi spirituali e deciso a riprendere alla grande il suo ruolo di Direttore Unico e Mentitore Parossistico.
La prima cosa che ascoltò, ancor prima di ritirare la sua auto dal parcheggio, fu una telefonata del suo infido condirettore Aloisio Li Corvi, che, con aria di insondabile tristezza, gli annunciava di essere stato sollevato dall’incarico e trasferito a dirigere la redazione bergamasca de “Il coraggio del Rifiuto”.
Aggiunse anche, e a questo punto quell’uomo di pietra praticamente singhiozzava senza ritegno, che la fatwa nei confronti del giornalista collaboratore Lallo Tarallo era da considerarsi rimossa e Tarallo, di conseguenza, era stato pienamente riabilitato e reintegrato nelle sue mansioni. Frangiflutti, che alla prima delle due notizie aveva apparecchiato sulla faccina, già cattiva di suo, un ghigno di soddisfazione torbida, a sentire la seconda, invece, barcollò leggermente. Una parola gli girava nella testa, sgomentandolo, non riusciva a pensare ad altro:
neurorecettori.