La paura di dire “Ti amo”

Hai paura di dire ti amo? 

Se come dice il poeta portoghese Fernando Pessoa:

“Due persone dicono reciprocamente “ti amo”, o lo pensano, e ciascuno vuol dire una cosa diversa, una vita diversa, perfino forse un colore diverso o un aroma diverso, nella somma astratta di impressioni che costituisce l’attività dell’anima”,


la paura di dire “ti amo” forse deriva anche dall’incertezza di essere compresi.
Bisognerebbe allora andare oltre l’archetipo rappresentato da quel “ti amo” che suona come un suggello o addirittura un impegno, e non restare bloccati dalla paura di non corrispondere alle aspettative dell’altro o di non essere corrisposti, di scoprirci inadeguati al senso racchiuso in due parole che da sole dovrebbero bastare a contenere tutto ciò che sentiamo.

Pessoa ispiratore di un murales a Lisbona

Ma più ci appare grande l’universo che contengono più ci sembra un paradosso che possa essere concentrato in quelle parole dal suono tanto breve.

Capita che, quando arriviamo al momento cruciale, la pronuncia di quel fugace “Ti amo” si faccia incerta e la nostra voce, sussurrata o gridata che sia, venga presa dal tremito a causa dell’imbarazzo nel quale siamo caduti, veniamo traditi dal mutamento dell’espressione o dal rossore sul viso.
Il tempo di un attimo basta a soffiare via quelle sillabe, nonostante sia stato gravoso portarne il peso tutte le volte che siamo andati via senza riuscire a pronunciarle, ridotti a trattenerle sulla punta della lingua oppure a riprenderle l’attimo prima che venissero al mondo, simulando un colpo di tosse con la voce strozzata nella gola.

Abbiamo paura a dire “Ti amo” perché siamo imperfetti e l’amore ci sembra che debba andare oltre la nostra imperfezione: ci chiediamo se possa toccarci davvero e temiamo di poter tradire, mancare, non essere all’altezza di assumerci questo impegno, come se dire “ti amo” significasse firmare un contratto pieno di clausole vessatorie.

Eppure se quelle due parole fossero un bacio e niente altro, passerebbero tranquillamente dalle nostre labbra, anche se il rischio di un rifiuto resterebbe lo stesso e con esso il bisogno di essere ogni volta rassicurati.
Invece ci perdiamo in circonlocuzioni,  rappresentando il nostro amore con cento giri di parole, ricorriamo ai gesti e alle attenzioni con i quali scientemente evitiamo di dire “Ti amo” tentando di riuscire a esprimerlo comunque.


Troviamo surrogati, edulcoriamo parole con ogni possibile additivo, ma non c’è niente da fare, è quel “Ti amo” che resta appeso alle nostre labbra ad evocare la vanità di tutto quel parlare, perché solo in quelle due sillabe si concentra tutto ciò che ci serve, esse sono state già scolpite dentro ogni storia d’amore, non se ne esce altrimenti:
la paura di dire “Ti amo” nasconde tutte le paure del mondo
Temiamo di essere derisi, traditi, fraintesi, di essere incatenati e non poter scappare via o di vederci rinfacciate un giorno proprio queste due parole, mentre le cento o mille circonlocuzioni, le acrobazie linguistiche, le metafore e ogni altro sottinteso sembrano più facili e persino meno infelici qualora fossero poi disattese.

Ti amo esprime davvero un sentimento grande che peserebbe come un macigno se si rivelasse l’ennesimo errore, soprattutto quando ne abbiamo già commessi molti.
Allora un altro escamotage è che sia prima l’altro a pronunciare la fatidica formula dell’amore e in quel caso potremo rispondere semplicemente con un “anch’io” che, chissà perché, ci viene più facile. 

Ci sono anche di quelli che ricorrono alla seguente scusa: essendo scontato e talmente chiaro che io “ti amo” non c’è più alcun bisogno di pronunciare queste parole. Se ciò che provo te lo dimostro ogni momento a cosa serve dirlo?
In sintesi la formula proposta sarebbe il classico: “fatti non parole”.
Probabilmente costoro non hanno del tutto chiaro che l’amore ha bisogno anche delle sue parole e che diventa molto triste lasciarlo scivolare via in silenzio come un sottinteso.
Niente in amore è sottinteso.
Il bisogno di comunicare non dovrebbe mai mancare, l’esternazione dei propri sentimenti dovrebbe essere emozione da condividere, conoscersi è dirsi l’uno all’altro, perché ciò che fa più male è il non riuscire a dire certe parole piuttosto che dirle a costo di correre il rischio di sprecarle.

È vero, la paura paralizza e un “Ti amo” sprecato ci farebbe troppo male.
Ci siamo già caduti e abbiamo quella ferita che pulsa all’unisono col sentimento nuovo che proviamo, sta là per ricordarci di fare attenzione e risveglia il ricordo di ogni delusione, si aggrappa al suono di tutti quei “ti amo” che forse non volevano dire ti amo o non erano lo stesso ti amo che intendevamo noi, avevano una strana leggerezza e sono volati via in fretta.  
Però ci sembra che quest’ultimo “ti amo” appena affiorato alle labbra abbia un sapore diverso, ci lascia un groppo in gola, forse la sua natura somiglia a un pensiero che ci ha lasciato lo scrittore irlandese Samuel Beckett:

“Se non mi ami tu, non sarò mai amato. Se non amo te, non amerò mai”

Murale di Samuel Beckett a Notthing Hill Londra

Sarà per questo che non possiamo lasciarlo andare con quella medesima leggerezza, sentiamo che ci renderebbe davvero vulnerabili e perciò non riusciamo a pronunciarlo. Dentro di noi sappiamo però che dovremmo liberarlo e finalmente liberarci, “sottoscrivere” questo patto di fiducia tra noi e l’altro, nessun contratto, neanche una clausola vessatoria: pura e semplice fiducia.

Dovremmo guardarci negli occhi e dirci più o meno ciò che disse il poeta Cesare Pavese:

“Ti amo. Di questa parola so tutto il peso – l’orrore e la meraviglia – eppure te la dico, quasi con tranquillità. L’ho usata così poco nella mia vita, e così male, che è come nuova per me”,

Cesare Pavese

e sempre guardandoci negli occhi dovremmo far passare proprio tutto attraverso quel “Ti amo”, anche la nostra imperfezione e la paura di fallire; così diverremmo capaci di perdonarci in anticipo per gli errori che faremo…

Forse.

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