“Non sono nato sotto un pianoforte, non ho trascorso la mia infanzia con un padre compositore … no, ho imparato a lavorare il ferro incandescente con il martello del fabbro. Mio padre era un fabbro che può aver detto di no a Dio, ma non all’alcool. Mia madre era una pia donna che ha cantato e giocato con i suoi quattro figli.”
Allan Pettersson è stato un compositore svedese, considerato uno dei più importanti musicisti del XX secolo.
Pettersson occupa un posto solitario nella musica contemporanea, apparentemente lontano da ogni “scuola”, usava in musica i mezzi di un’epoca precedente: sinfonie, canzoni e concerti.
Isolato dal mondo per via di una malattia paralizzante, è rimasto essenzialmente sconosciuto al di fuori della Svezia fino a quando Antál Doráti ha promosso la sua musica con la registrazione della Settima Sinfonia nel 1969.
Gustav Allan Pettersson era nato nel 1911 nella parrocchia di Västra Ryd, nella provincia svedese di Uppland. Era il più giovane di quattro figli. Quando era molto giovane la famiglia si trasferì nel quartiere Södermalm di Stoccolma, un quartiere della classe operaia della ricca Svezia.
I Pettersson vivevano in un appartamento di una stanza e cucina – il bagno era in comune – che era al di sotto del livello stradale, e infestato com’era da topi e insetti, aveva le sbarre alle finestre.
Il padre, Karl Viktor, era un fabbro, violento e alcolista che picchiava la moglie di fronte ai bambini.
La madre di Pettersson, Ida Paulina, era una donna di fede semplice che cantava inni salvifici ai bambini e guadagnava qualche soldo in più per la famiglia lavorando come sarta.
Quando aveva dodici anni, Pettersson che aveva guadagnato qualcosa vendendo cartoline natalizie, risparmiò abbastanza soldi per poter comprare un violino.
Quella azione venne percepita dal padre come un atto di sfida che disse al figlio, senza mezzi termini, che atti egoistici come quello lo avrebbero allontanato dalla sua famiglia lavoratrice.
Quando raggiunse l’età di 14 anni, dopo aver terminato la scuola elementare, Pettersson si dedicò a tempo pieno alla pratica del violino e della viola.
Era in gran parte un autodidatta dello strumento.
Si era però già fatto un nome suonando nei pub di quartiere e nelle sale da ballo, dove si esibì fino all’età di 19 anni.
Sviluppò comunque abilità sufficienti per farlo entrare nel 1930 al Conservatorio Reale di Stoccolma; qui studiò violino, viola, armonia e contrappunto per i successivi nove anni. Aveva intanto anche iniziato a comporre.
Pettersson a poco a poco riuscì, attraverso una rigorosa autodisciplina mentale, a liberarsi dei traumi che provocati dalla miseria e dalle difficili circostanze familiari lo avevano tormentato per anni.
Durante questo periodo, che fu anche quello in cui furono scritte le sue prime piccole composizioni, Allan per mantenersi lavorò principalmente come strumentista in vari ensemble e con uno di questi eseguì la prima svedese di “Pierrot Lunaire” di Schoenberg nell’aprile del 1937.
Dopo aver completato gli studi, ricevette la prestigiosa borsa di studio Jenny Lind nel 1939 per le sue brillanti esecuzioni alla viola.
Si recò a Parigi per continuare i suoi studi sulla viola, anche se la sua permanenza all’estero si rivelò di breve durata una volta che furono arrivati i tedeschi: un giorno infatti andò alla sua lezione di viola, ignaro dell’esodo dalla città che si stava svolgendo e seppe che la sua insegnante era fuggita da Parigi la settimana prima.
Il consolato svedese rimandò a casa Pettersson, che ottenne un posto nella sezione delle viole della Stockholm Concert Society Orchestra.
Dagli anni ’40 all’inizio dei ’50, il desiderio di dedicarsi ad un impegno creativo con la musica venne fuori con forza.
Pettersson migliorò le sue capacità sistematicamente e dopo aver preso lezioni private di contrappunto, di composizione e di strumentazione, chiese di esser lasciato libero dall’impiego nell’orchestra e nel 1950 e si recò a Parigi per altri due anni, per poter studiare con Arthur Honegger, Darius Milhaud e Olivier Messiaen.
Al momento del suo rientro in patria, iniziarono a manifestarsi i primi segni di una poliartrite cronica che costrinse Pettersson sempre più, nei decenni successivi, ad isolarsi dalla normale vita quotidiana.
Per anni lavorò nell’oscurità e nella povertà, godendo di pochi contatti con chiunque, tranne che sua moglie, confinato in un appartamento al quarto piano di un edificio senza ascensore.
In quelle condizioni difficili la sua salute peggiorò: il dolore alle articolazioni era diventato insopportabile e i medici svedesi non gli fornivano né medicine analgesiche né alcun supporto psicologico.
A dispetto delle sue ultime opere strumentali, la sua carriera compositiva iniziò con un primo ciclo di Lieder per voce e 2 pianoforti ‘’Barfotasånger’’ (canzoni a piedi nudi), in cui testo e musica rendono l’opera simile a un lavoro confessionale.
Ciò è dimostrato sia dai testi da lui composti, a volte autobiografici, ma anche dalle molteplici citazioni di singole melodie prese da altri suoi lavori.
Mentre questo ciclo di canzoni era ancora interamente ancorato alla tradizione e ricordava quello del ‘’Winterreise’’ di Schubert, già nelle sonate per 2 violini si potevano a malapena trovare indizi di modelli precedenti.
La svolta relativamente tardiva verso la composizione e l’alto grado di capacità autocritica ci mostrano Pettersson come un compositore che nel curare un proprio linguaggio musicale, agiva indipendentemente da ogni influenza esterna.
Così, dopo uno studio approfondito della dodecafonia, egli la respinse con veemenza e da allora rimase scettico nei confronti anche delle altre avanguardie.
Disse una volta: ‘’Non posso fare come gli altri, altrimenti non colpirò il bersaglio, devo essere in grado di scrivere come voglio’’.
Nel 1951 Pettersson compose la prima delle sue diciassette sinfonie, che lasciò incompiuta; le altre seguirono in rapida successione.
Sulla sua produzione sinfonica di questo decennio Pettersson osservò: “Nessuno negli anni Cinquanta ha notato, che stavo sempre più rompendo le strutture, che stavo creando una forma sinfonica completamente nuova”.
Nel 1953 aveva iniziato la sua quinta sinfonia, che fu completata solo nel 1962 quando ormai la sua mobilità e la sua salute erano notevolmente compromesse. Solo nel 1964, viste le sue condizioni, il governo svedese gli concesse per il resto della vita una piccola pensione. Gli ci vollero ben quattro anni per scrivere la sesta sinfonia.
Il suo più grande successo arrivò con la Settima Sinfonia che fu rappresentata per la prima volta il 13 Ottobre 1968 nella Sala dei concerti di Stoccolma con Antal Doráti che dirigeva la Stockholm Philharmonic Orchestra. La registrazione su disco di tale esecuzione procurò a Pettersson una fama di livello internazionale.
Disse un critico musicale con acume: “Ciò che rende immediatamente accessibile la sinfonia è la ripetizione dei suoi motivi che gli conferisce anche il suo carattere ipnotico.
C’è dolore, c’è malessere, ci sono passaggi che si accartocciano nella tua memoria: c’è la lotta dell’eroe contro un mondo indifferente e messo a nudo.
Eppure proprio quando pensi di non poterne più Pettersson introduce un lungo momento di calma beata, uno di quei passaggi luminosi scritti per soli archi e che sono tanto più commoventi data l’oscurità musicale da cui scaturiscono.
Il finale catartico è uno dei più indimenticabili dell’intera letteratura sinfonica, tuttavia ti lascia tante contraddizioni nella mente; si ha sempre il senso della vittoria e della sconfitta; della tristezza e della speranza”.
Nel 1970, oltre a subire male con cui conviveva ormai da 16 anni, fu costretto da un’infezione renale ad un ricovero ospedaliero di nove mesi; durante la degenza Pettersson progettò la decima e l’undicesima sinfonia, le più concise della sua produzione.
Il suo impegno sociale rimase documentato nella XII Sinfonia e nella cantata ‘’Vox humana’’ con una selezione di testi di autori latino-americani, tra cui Neruda.
Anche se dovette spesso affrontare l’ostilità dei colleghi musicisti, dal 1954 in poi Pettersson ricevette più volte numerosi premi: nel 1970 fu nominato membro della Royal Academy of Music e nel 1979 professore.
Viene da domandarsi quanti altri compositori hanno scritto musica che rispecchiava così da vicino le circostanze della loro vita?
Le sinfonie di Pettersson sono, in generale saggi di sconforto e angoscia, cosa non sorprendente data la sua sfortunata esistenza.
Durante gli ultimi anni della sua vita ha anche scritto concerti per violino e orchestra e per viola e orchestra, più una sedicesima sinfonia nel 1979 che presenta un assolo virtuoso per sassofono alto.
Iniziò anche a scrivere una diciassettesima sinfonia, ma non riuscì a completarla a causa della sua salute declinante.
Morirà in solitudine a Stoccolma nel 1980.
La musica di Pettersson ha un suono molto particolare che difficilmente può essere confuso con quello di qualsiasi altro compositore del suo tempo.
Pettersson riesce a mantiene l’interesse dell’ascoltatore variando i suoni e gli stati d’animo nelle diverse sezioni dell’opera, risultando quindi alcune di esse più liriche, altre più concitate.
L’architettura delle sue sinfonie è costruita su un materiale tematico che emerge nei punti chiave dell’opera ed è caratterizzata dalla molteplice vitalità ritmica; anzi, in certi punti, ritmi diversi spesso si sovrappongono.
Per la maggior parte le sue sinfonie iniziano con temi con un tono grave, spesso dissonanti, e nella sua musica spiccano in diversi esempi, ambientazioni feroci, attenuate spesso da parentesi liriche: anelito e rassegnazione, rabbia e tenerezza.
Le sue sinfonie sono lunghe opere orchestrali in un solo movimento; l’effetto che trasmettono però è di grande vitalità e di inarrestabile slancio, il contrario esatto di ciò che furono i suoi ultimi anni di vita, in cui fu costretto cioè all’immobilità.
Se non si capisce il dolore fisico e spirituale di cui sono pregne queste opere sarà molto difficile apprezzarle in pieno; tuttavia va ricordato che, al di là del cosiddetto ‘’pessimismo’’ di Pettersson, esse hanno dentro, nonostante tutto, sempre una visione consolatoria e di speranza nel futuro.