CURIOSITÀ ROMANE
di Annamaria Sanasi
Tutte le volte che mi capita di visitare un nuovo paesaggio, che sia una città, un paese o semplicemente un borgo, ho la possibilità di raccogliere non solo immagini, ma contemporaneamente odori e sensazioni del luogo, tutte cose che mi lasciano per sempre ricordi significativi e indimenticabili.
Di fatto ognuno di noi ha una sua percezione emotiva e visiva ma le centinaia di turisti che giungono giornalmente a Roma non possono che avere un’unica sensazione di meraviglia e stupore, che li accompagnerà per tutto il periodo di visita.
Il bello di una città unica come questa è che abbiamo a disposizione infinite bellezze.
Nel prossimo mio articolo mi soffermerò ad osservare alcuni aspetti di notevole importanza della zona del Ghetto, precisamente di piazza Giudia, la più antica del quartiere, del palazzo Costaguti e racconterò l’interessante storia di Lorenzo Manili.
Rimanendo nei pressi di questa zona, possiamo dare uno sguardo al Portico di Ottavia, simbolo del quartiere ebraico, di cui conosciamo benissimo le vicende dolorose.
Intanto va detto che prende il nome della sorella di Augusto; l’imperatore le dedicò con grande affetto questo monumento, essendo ella una donna arguta e di una vivacità intellettuale sorprendente.
Il monumento ha peraltro subito nel tempo due incendi e due terremoti devastanti; tutto ciò che rimane si deve al restauro effettuato da Settimio Severo.
Inglobata all’interno del complesso monumentale notiamo la presenza di una chiesetta che porta il nome di S. Angelo in Pescheria.
Viene spontaneo domandarsi il perché di una tale attenzione, e quale peculiarità abbia attirato la mia curiosità.
In fondo di chiese a Roma ne abbiamo tante e di svariate epoche artistiche: se ne contano infatti più di 200.
La chiesa inizialmente era dedicata a S. Paolo ma alla fine dell’VIII secolo cambiò nome e, considerando che in zona si svolgeva il mercato del pesce, prese la denominazione dell’attività del luogo.
La bizzarria di questo tempio e che guardando frontalmente il propileo si osserva una lastra di marmo che porta una scritta in latino:
“CAPITA PISCIUM
HOC MARMOREO SCHEMATE LONGITUDINE
MAJORUM USQUE AD PRIMAS PINNAS
INCLUSIVE CONSERVATORIBUS
DANTO”
Naturalmente curiosa come sono, ho subito fatto le mie dovute ricerche e se devo dirla tutta, la traduzione mi ha stupita come non mai, ed allo stesso tempo fatto sorridere.
L’insegna stabilisce (visto che nei pressi si svolgeva il mercato del pesce) quanto dovevano essere lunghi i pesci, e la larghezza della lastra ne determinava le dimensioni.
Superato quel limite i conservatori (in pratica gli amministratori civili, oggi corrispondenti agli odierni consiglieri comunali) si riservavano il diritto di prendere la testa fino alle prime lische.
Questo privilegio fu poi abolito addirittura nel 1799 e le parti che generalmente venivano gettate furono poi riutilizzate, fatte bollire e arricchite da spezie, creando un tipico piatto del menù ebraico, chiamato semplicemente brodo di pesce, preparato, come da tradizione, all’antivigilia di Natale.
Insomma, precisando le misure che avrebbe dovuto avere il pesce, su di esso si stabiliva un vero e proprio dazio, curiosità questa potrebbe riferirsi anche ad un mio quadretto familiare, a proposito del quale mi chiedo da tempo come potrei risolverlo.
Il mio amato marito, spesso e gentilmente, dopo il pranzo o la cena mi sbuccia un frutto che io detesto pelare, cioè il kiwi.
Puntuale come un orologio svizzero se ne mangia metà.
Naturalmente da parte mia si eleva una grossa protesta.
La risposta di mio marito è invariabilmene la stessa:
“Questo è il dazio da te dovuto per il favore ricevuto”.
Ad oggi non ho ancora risolto questo mio problema.