Oggi non è proprio giornata. Oltre alla dose quotidiana di fantasiose esternazioni pseudo-politiche, alle brutte notizie dal fronte economico e all’uso criminale del VAR contro la squadra del cuore, mi arriva pure la notizia dell’incidente di Adelmo. Mi precipito in ospedale e lo trovo col giornale davanti al naso e la gamba sinistra appesa a un paranco.
“Ciao Erasmo, grazie per essere venuto.”
“Ma che hai fatto, com’è successo?”
“Stavo attraversando sulle strisce. Una macchina si è fermata per farmi passare, quella dietro ha scartato di lato e mi ha preso.
Naturalmente il simpaticone è scappato, come si conviene al tempo dei nuovi barbari.
Fortuna che la persona che si era fermata ha preso la targa, prima di chiamare l’ambulanza.
Per questo gesto di civiltà si è pure beccato insulti e minacce dall’italianissimo conducente pirata, una volta che è stato rintracciato dalla polizia.”
“Oltre alla gamba in tiraggio, ci sono altri danni?”
“Fortunatamente no: ho battuto la testa, ma solo di rimbalzo. Gli esami non hanno rilevato conseguenze di rilievo, quindi devo averla ben dura.”
“Questo è poco ma sicuro”.
Non faccio in tempo a finire lo sfottò che una voce sofferta, proveniente dal vicino di letto di Adelmo, fasciato come una mummia, sussurra “abbada Erasmo…” con chiaro accento sezzese.
Mi giro cercando di capire di chi si tratti: si intravedono solo gli occhi e due labbra così gonfie da sembrare un incrocio tra quelle della Parietti e della Moric; poi sposto lo sguardo sul braccio, unica zona parzialmente scoperta, dove una presa multipla consente la convivenza di flebo in entrata e prelievi in uscita: è nero come il carbone. “Lidano, che hai combinato!?!”
Il nome è di origine sezzese controllata e garantita, perciò è piuttosto incongruo associarlo a una persona di colore.
Si tratta senza dubbio del ragazzo, grande smanettone nerd più che informatico canonico, che mi aiuta quando il mio computer fa le bizze.
È l’unico di cui mi fidi, anche perché, quando ne combino una delle mie (ad esempio, lo chiamo per lo schermo che rimane nero e lui mi suggerisce, senza ridere, di attaccare la spina alla presa di corrente), non mi tradisce andando a spettegolare in giro.
È figlio di un ivoriano venuto in Italia per fare il corso di specializzazione infermieristica e poi tornare a esercitare nel suo Paese; si è invece fermato a Sezze per amore di Anna, la mamma di Lidano.
Lì tutti lo chiamano affettuosamente “Lillo carbonella”, per distinguerlo dagli altri innumerevoli Lillo.
Dal padre ha preso il colore della pelle e un costante immotivato buonumore, dalla madre la lingua (non solo il dialetto, ma anche la parlantina) e la passione per le ciammarughe e la zuppa di fagioli.
“Eravamo calati pe’ facce ‘na biretta, co’ Giggi Fiaschetto e Lallo Mbruglia. Come tante atre vote. Drento a ‘no pabbe acchiappa e me ‘nzurdano in cinco sei:
“tornatene a casa tua, negro dimmerda, qui non ti vogliamo.”
Mo, qua’ battuta me l’erano già fatta adecco in pianura, che a Suezze me conoscono tutti. I’ allora ce lo so ditto che so’ de Suezze e che, doppo la biretta, me la collevo e radducevo a casema. Quisci se so’ ncazzati peggio, me so ditto che non so’ italiano e me so’ comenzato a mena’. Pareva de ‘sta in Alabama sessant’anni fa, come al film Green Book, solo che ‘nci steva Aragorn a difenneme. Io c’avevo solo Lallo e Giggi: il primo ha provato a spiega’, ma siccome zagaglia s’è subito mpuntato; glie so ditto de stasse zitto e isso, che è persona rispettosa, ha ubbidito; Giggetto, invece, dopo le prime pizze che so’ volate s’è ittato a testa bassa, ma è leggerino e co’ ‘na sponta l’hanno mandato a zampe all’aria; l’hanno risbigliato quigli dell’ambulanza quanno me so’ venuti a raccatta’.”
“Fortuna che si sono fermati, altrimenti ti raccoglievano col cucchiaino.”
“Nesé fortuna… Se, nmezzo a tanta gente che se girava all’atro lato, non ce steveno tre ragazzette che se mettevano a strilla’ c’ariuava la polizia, quelli m’accitevano. Che po’ n’era manco vero: era sulo pe’ falli ferma’, che la polizia, quanno serve, ‘nci stammai.”
“Lo vedi Erasmo – interviene Adelmo – quando ti dico che questo clima politico, la semina dell’odio e la coltivazione della paura, portano solo frutti avvelenati… Ormai sono stati sdoganati i peggiori pensieri, l’etica è andata a farsi benedire e nessuno riesce più ad arginare l’istinto belluino: hanno svegliato la bestia e presto non sapranno più tenerla a bada.”
“Ma l’amico te’ non insegnava ginnastica? Me pare no filosofo…”
“Tu, Lillo – continua impassibile Adelmo – cosa vorresti dire a questi energumeni senza cervello, se te ne capitasse l’occasione?”
“E che ce dico, ce posso giastema’ la razza, ma a che serve? Mica so’ sulo issi, orammai so’ assai e sempre più senza vergogna. Stadimane presto, pe’ ditte, n’infermiera è venuta pe’ le medicaziuni e è cominzato a strilla’: ‘io a questo negro non lo tocco, devi tornare a casa tua, puzzi, qui non ti vogliamo...’ N’ha fatto ntempo a fini’ de starnazza’ che so rivati du’ nfermieri de Suezze, amici de patemo, che l’hanno spinta alloco, bocca alla finestra; pareva che la volevano itta’ pe’ sotto.”
“A proposito – faccio io – tuo padre lavora sempre a Velletri? Anche lui ha avuto problemi, di recente?”
“Sta a Velletri e all’ospedale tutti ce vonno bene. Solo che pure alloco, sempre più spesso, qua’ ‘mbecille dice che non vole esse’ toccato dal negro. Lui sorride, ringrazia e se ne va. So’ i colleghi che se ‘ncazzano. Più che altro perché addoppo tocca a issi commatte co ‘sti deficienti. Che voi fa’, passerà pure ‘sta malatia…”
“Passerà per forza, mica si può tornare veramente ai tempi bui.”
Adelmo prende la palla al balzo e parte con la sua invettiva: “per superare questa fase si deve elaborare una strategia politica sul fronte educativo, un’analisi degli errori fatti e…” al che io e Lillo, esasperati, in coro
“Ade’, e non rompe!”
Tanto il vostro Erasmo dal Kurdistan vi doveva, senza nulla a pretendere.