“Che bravi che erano gli Area International Popular Group/ Demetrio cantava di tutto accompagnato da musicisti che suonavano di brutto/ esploravano musiche nuove e la gente ascoltava/ un pubblico costituito da giovani comunisti capelloni e drogati”.
Così Elio e le Storie Tese, con la loro impareggiabile ironia e il loro disincanto, hanno omaggiato la band milanese nella canzone “Come gli Area” e colpito quelli che oggi, dopo 40 anni, vorrebbero normalizzare quel fenomeno allora così innovativo.
“A quel concerto c’erano tutti, ma proprio tutti: non solo la cosiddetta area alternativa, non solo la scena rock, ma anche tutto il classico nazionalpopolare. Per dire, perfino Celentano fece pervenire la sua solidarietà. Peccato però che fosse troppo tardi…”, raccontava in un’intervista Patrizio Fariselli, colonna degli Area, probabilmente la band italiana più importante negli anni ’70, ricordando il mega concerto che si tenne all’Arena Civica di Milano il 14 giugno del 1979.
L’evento era stato organizzato per raccogliere fondi per curare il suo compagno di band, il vocalist Demetrio Stratos, che per una tragica coincidenza, morì proprio il giorno prima di quel concerto.
Il cantante, era stato un personaggio gigantesco, probabilmente la voce più intensa di sempre del nostro rock, protagonista di una carriera che lo aveva visto esibirsi prima con i Ribelli e poi con gli Area.
“Fu uno che seppe mettersi in discussione: da star qual era, divenne un ricercatore, uno a cui piaceva stravolgere tutto quello che c’era stato prima di lui”. Così proseguiva Fariselli nella stessa intervista.
E a proposito di quello stesso concerto all’Arena che per molti fu anche il de profundis per un certo mondo, proseguiva:
“Si, ma chiuse anche una fervidissima stagione che qualcuno ha voluto liquidare in fretta come gli anni di piombo ed invece fu ricca di esperienze musicali ed artistiche molto importanti”.
Esperienze come quella degli Area e di Demetrio:
“Andavamo ovunque ci chiamassero: la quantità di occasioni che il Movimento, la politica fornivano per aggregarsi e fare musica erano innumerevoli, molte più di ora”. “Eravamo una band di sinistra: ma mai ideologizzata, non ci siamo mai messi sopra e davanti alle istanze dei nostri coetanei, ma sempre dentro. E comunque la musica era il motore primo di tutta la nostra esperienza”.
E Stratos era un formidabile cantante: “uno che indagava sulla voce in tutte le sue sfaccettature, da un punto di vista musicale, ma anche come strumento etnografico. Una ricerca instancabile che lo stava portando a collaborare sempre più con John Cage, se la morte non se lo fosse trascinato via”.
Si chiamava Dimitrìu Efstràtios, ma era conosciuto come Demetrio Stratos, nato ad Alessandria d’Egitto il 22 aprile 1945.
Di origine greca, crebbe nei primi tredici anni di vita nella città natale, e qui studiò pianoforte e fisarmonica.
Fu mandato a studiare in un collegio della capitale cipriota, Nicosia, dove dopo qualche tempo ottenne il passaporto. Nel 1962 giunse a Milano per iscriversi alla facoltà di Architettura.
Ma a lui piaceva la musica e adorava cantare.
La sua avventura come cantante nacque per caso quando dovette sostituire il cantante del suo gruppo impossibilitato a farlo a causa di un incidente. Stratos in quella circostanza aggiunse alla tastiera anche la sua voce e fu una grandissima rivelazione per lui stesso, per la sua band e per il pubblico. Demetrio aveva iniziato a suonare nel 1963 in un gruppo che debuttò tre anni più tardi con un 45 giri, col nome d’arte di The Clowckwork Oranges.
Nel 1966 Stratos si unì ai Ribelli, il gruppo del Clan di Celentano. Fu lui a cantare con loro “Pugni Chiusi” trasformandola in un successo. L’esperienza coi Ribelli durò sino al 1970.
Durante gli anni dell’università Demetrio aveva conosciuto Daniela Ronconi che sposò con rito bizantino prima ancora di chiudere il suo periodo con I Ribelli.
Dalla loro relazione nacque la figlia Anastasia, che fin da piccola fu fondamentale per i suoi studi sulla voce.
Demetrio osservava infatti attentamente la fase pre-verbale della vita di sua figlia, analizzandone la voce prima dell’adattamento alle regole della comunicazione.
Il cantante però, aveva altri obiettivi e così, dopo un 45 giri prodotto dalla Numero Uno di Battisti e Mogol, fondò insieme con Patrizio Fariselli e Giulio Capiozzo il gruppo di rock sperimentale Area.
Con loro incise cinque album, scrivendo pagine importanti della musica italiana ed europea, ma a un certo punto dichiarò che “Oggi, la voce è un canale di trasmissione che non trasmette più nulla”.
Da qualche tempo Demetrio aveva infatti iniziato a studiare etnomusicologia e tecniche di estensione vocale in collaborazione con il CNR di Padova.
Diede vita al progetto “Suonare la voce”, in cui grazie alle sue già notevoli doti innate, agli studi e alle tecniche acquisite, riuscì a raggiungere risultati mai eguagliati.
La potenza vocale di Stratos era nulla rispetto alle sfumature del timbro che possedeva in natura. Era famoso, infatti, per la sua diplofonia e triplofonia, la capacità cioè delle corde vocali di riprodurre allo stesso tempo due o più suoni, quello di base e gli armonici.
Aveva insomma capacità vocali diverse tra loro, rare a trovarsi nella stessa persona.
Demetrio Stratos ha rappresentato un tipo di musica frutto del crogiuolo di varie culture.
Il fatto di essere nato in Egitto da una famiglia greca, di aver frequentato l’asilo tedesco, la scuola inglese, di essersi trasferito a Cipro e poi in Italia, permise alla sua cultura musicale di tingersi di amplissime sfumature raggiungendo livelli artistici fuori dal comune, fuori dalle normali capacità umane.
Fu stroncato da una forma di anemia aplastica all’età di 34 anni che lo uccise nel giro di pochissimi mesi.
Era marzo del 1979 quando la malattia cominciò pian piano a distruggerlo conducendolo poi rapidamente alla fine, nel giugno dello stesso anno.
Per lui quel 14 giugno del 1979 fu organizzato un concerto che è entrato nella storia e che, pensato per raccogliere fondi e pagargli le cure mediche, si tramutò in un concerto omaggio, data la sua scomparsa, avvenuta proprio il giorno prima, al Memorial Hospital di NYC.
Vi parteciparono numerosissimi artisti come Francesco Guccini, Eugenio Finardi, Angelo Branduardi e, ovviamente, gli Area.
Stratos non fu solo una figura di rottura capace di stregare John Cage, dal quale fu invitato a tenere una serie di concerti al Roundabout Theatre di New York, e le personalità di spicco della musica contemporanea del Novecento ma fu anche il ponte posto tra il mondo pop (inteso come popular) e gli ambienti colti.
Per primo, musicalmente, si occupò del sud europeo e del Mediterraneo dando, senza accorgersene, il via a quel genere ibrido, ora attuale, che chiamiamo world-music. Allora erano pochissimi quelli che si avventuravano per una strada simile.
Nel 1972, come si è detto, fondò gli Area – International POPular Group, gruppo di musica fusion e rock progressivo, protagonista di una delle stagioni più importanti della musica italiana, riscuotendo successo e considerazione anche oltre i confini nazionali.
Gli Area in poco tempo, divennero un vero gruppo di “avanguardia democratica”, all’interno del quale ogni idea veniva spronata, discussa e provata e in cui ogni nuova opzione sonora veniva sperimentata.
Quella degli Area e di Demetrio era un’utopia che diventava quasi magicamente una realtà di successo.
Quello che oggi più infastidisce delle celebrazioni per il quarantennale della scomparsa di Stratos è il tentativo di fagocitare, col qualunquismo tipico dei media, l’opera di un personaggio scomodo e incontrollabile.
Logica conseguenza di questa operazione è stato l’abbandono di qualsiasi riflessione approfondita sulla sua produzione: le commemorazioni che si sono viste sono state quasi tutte ispirate a un tono encomiastico, elogiativo e in qualche modo generalista ed hanno accuratamente evitato di entrare nel merito delle tematiche affrontate dalla voce degli Area.
Sono state ignorate soprattutto le sue prese di posizione più specificamente politiche, a favore di una perpetuazione asettica del suo mito.
Si è taciuto insomma sullo Stratos autore cosmopolita, simpatizzante degli ultimi e dei perdenti, avverso ai meccanismi del “pop” meramente consumista, ma in definitiva capace di entrare nell’animo di tutti attraverso una voce unica e irripetibile. Quel che si legge oggi suona falso e consolatorio, soprattutto perché si ha più di un dubbio sulla disponibilità del mondo musicale odierno, e in particolare quello italiano, a cercare di comprendere quello che Demetrio e gli Area suonavano.
Fare di Demetrio Stratos, come si sta facendo, solo un’ icona pop vuol dire snaturare la sua arte e consentire che sia così rivendicabile in ogni contesto. Come nel passato e altrove è già stato fatto per Fabrizio De André, Lucio Battisti e Rino Gaetano.
Sotto il cipiglio e lo sguardo severo di Demetrio, che incutevano reverenziale timore, si celava una dolcezza selvaggia e mediterranea che non mitizzava nulla nessuno ma che tanto meno voleva esser mito per qualcuno.
Non intendeva esserlo né per lo stretto giro della sinistra alternativa italiana degli anni Settanta, né, tanto meno, per qualsiasi destra.
Destra che pure in qualche articolo ai giorni nostri ha tentato di impossessarsene.
Gli stessi Area dicevano di essere “Cinque musicisti che hanno una rabbia repressa perché hanno suonato per tanti anni quello che volevano i padroni”.
Nei tributi si ripropone la totale rimozione degli antagonisti col pugno chiuso che ha invece caratterizzato la musica nostrana negli anni ’80 e ’90, anni per nulla interessati a questo tipo di revival: su decine di riviste e di blog, infatti, tranne per il solito paio di classifiche inutili, su Stratos e gli Area non si trovava un articolo neanche per sbaglio.
Perché non si dice chiaramente, visto che abbiamo una bella fetta di pubblica opinione convinta che l’unico modo per rapportarsi col diverso sia la discriminazione e l’odio, e che Demetrio Stratos aveva sempre avuto al centro della sua poetica un concetto di pace universale, che esprimeva in tutte le lingue immaginabili?
“Lascia la rabbia / lascia il dolore / Lascia le armi e vieni / Vieni e viviamo o mio amato / E la nostra coperta sarà la pace”
recitava in arabo-egiziano l’introduzione di ‘Luglio Agosto Settembre Nero’.
E cosa si dovrebbe dire del minuto e 45 secondi di ‘Evaporazione’, dove Stratos gioca su un’unica frase: “Abbiamo perso la memoria del diciottesimo secolo”, scomponendola e ricomponendola nei più svariati modi, fino a esplodere in un urlo definitivo e liberatorio.
C’è sul web il video in bianco e nero di quando la presentarono in Rai, con Tofani che lascia la chitarra e si fa la barba e Fariselli che abbandona l’Arp e cazzeggia come fosse ricreazione.
Cercatelo e chiedetevi se quelli che passano per i salotti televisivi di oggi siano davvero anticonformisti o facciano solo bene finta di esserlo.
Le canzoni di Demetrio Stratos avevano dunque un contenuto esplicitamente scomodo e la sua non era una scompostezza bohèmien: si trattava, piuttosto, di una vera ostinazione meditata, frutto di letture precise, come quelle di Albert Camus e Georges Perec, e dell’ascolto di sperimentatori come John Cage e Stockhausen, dell’amore per le evoluzioni artistiche di Jasper Johns e dell’apprezzamento per il Movimento, con partecipazioni a Triennale e Biennale prima ancora di incidere un disco.
Lontano da tutte le logiche di palazzo, la poetica di Stratos sposò la contestazione più radicale, quella del movimento femminista, ad esempio, quaranta anni prima del MeToo in ‘SCUM’, quella degli “Indiani Metropolitani” che teorizzavano il rifiuto del lavoro e che cacciarono Luciano Lama, segretario della CGIL, dall’Università di Roma.
Oggi vengono visti come spettri di una contestazione passata e sepolta in ogni movimento di piazza.
Ci sarebbe da chiedersi se Stratos sarebbe contento del fatto che oggi il suo nome figuri sul cartello di una via milanese nel neonato quartiere degli affari, sotto le tre torri di Citylife.
Trasformare Demetrio in un esempio dell’italica eccellenza significa mandare in vacca un rigore quasi assoluto e un’etica, umana, poetica e musicale, elevatissima.
Nella speranza che ciò non accada o non del tutto almeno, resta il ricordo forte e riconoscente, di questo artista greco e italiano che in soli 34 anni ha segnato per sempre la storia della musica.