L’amore ipotetico


Schivarsi per un soffio, sapersi senza essersi mai visti: “Mancarsi”non poteva esserci titolo più adatto al racconto di Diego De Silva.

Diego De Silva

La vita è piena di incontri mancati e di mancati amori che continuano a vivere nel mondo delle ipotesi, quelle che iniziano con un “se” e  poi proseguono attaccando a quel “se” tutta una serie di coincidenze che, per altrettante coincidenze, non hanno mai coinciso.

Ci piace chiamare “Fato” tutto ciò che è accidentale per dargli una veste più suggestiva.

Il dubbio amletico però resta sempre lo stesso:  essere o non essere artefici del nostro destino?

Esistono coincidenze che accendono scintille e sono del tutto involontarie, non possiamo esserne gli artefici, possiamo però essere costruttori di una parte del nostro vivere, con abnegazione e pazienza, con fantasia e ricerca di meraviglia, avendo grande cura della nostra sensibilità.

“Vogliamo che la persona che amiamo ci dica d’essersi innamorata di noi perché un giorno, senza neanche pensarci, l’abbiamo toccata in un punto in cui non sapeva di essere sensibile, come certe carezze che arrivano molto in fondo per conto loro”

Così un giorno può accadere che uno sguardo attraversi lo spazio che lo divide dall’ipotetico “se”, che lo trapassi proprio, toccando quella sensibilità molto in fondo, e che gli occhi finiscano dentro gli occhi dell’altro.

Una scintilla, tanto basta.

A volte un momento solo può bastare, altre invece ti guardi e non ti vedi per un tempo che dura una eternità. Parlo di una eternità relativa, composta di attimi che misuriamo e chiamiamo anni e pensiamo siano la vita, o che comunque l’abbiano scandita alla perfezione, fino al momento in cui ci accorgiamo che non sono stati la nostra vita.
Allora comincia il dramma.

Non ci riconosciamo, abbiamo messo in atto tutta una serie di comportamenti, azioni, gesti, persino sorrisi che non sono sorrisi e mille altri modi per eludere la verità che non ci piace.

A quel punto sentiamo che in tutti quegli anni fatti di attimi cristallizzati, apparentemente eterni perché di una qualità che li ha resi immobili,  noi ci siamo sempre mancati.

“È così che ci si perde per strada, che si diventa brutte copie di se stessi. Smussandosi, modificando il senso delle cose che si fanno (come ridere per non parlare, appunto), tradendo le proprie convinzioni o lasciando che l’altro le offenda o le svaluti, praticando la mansuetudine, considerando fisiologico, inevitabile e forse perfino giusto che il passare del tempo snaturi gli aspetti più autentici del carattere, ridimensioni gli interessi, spenga le passioni, i desideri e soprattutto il desiderio.”

Essenzialmente manchiamo prima di tutto a noi stessi, solo successivamente questo mancarsi cerca una risposta nell’altro.

Irene e Nicola, racconta De Silva, “sono fatti l’uno per l’altro, ma non lo sanno. Probabilmente se ne accorgerebbero, se s’incrociassero anche solo una volta.”, invece frequentano lo stesso bistrot, ciascuno rinchiuso nella propria solitudine.
Leggiamo i pensieri di entrambi e riconosciamo quel mancarsi profondo che ha segnato le loro vite.
Finché sono arrivati a una svolta che ha spezzato il ritmo e, con grande sorpresa, si sono accorti di essere sopravvissuti.
Adesso devono solo accorgersi di mancare l’uno all’altro, ricominciare proprio da ciò che non vogliono essere e riprendersi ciò che sono.

Sarà per questo che lo sguardo dei due protagonisti si incontra soltanto all’ultima pagina, alla fine di una storia costruita sul riflesso speculare delle loro solitudini, due anime che si guardano allo specchio sino a quando si incontrano davvero.
Il racconto termina quando Irene e Nicola si vedono, incrociano lo sguardo proprio in quello stesso bistrot dove sono stati tante volte senza mai guardarsi.

La narrazione della solitudine delle loro vite ci ha svelato il bisogno di entrambi di riemergere dall’assoluta mancanza di sé, da cui ha tratto origine anche la mancanza di amore.

Come proseguirà la storia non lo sapremo dall’autore, Diego De Silva interrompe la narrazione quando le due solitudini diventano una.
L’incontro di quello sguardo improvviso resta sospeso in quel bistrot, lasciando a noi lettori la possibilità di scrivere un seguito che probabilmente non scriveremo mai.
Se mai volessimo farlo potrà assumere solo la forma di un pensiero felice, un “se” che ha trovato la propria espressione, si è affrancato dall’ipotesi per diventare un altro tracciato di cuore:

l’imprevedibile rompe la cadenza del battito regolare.

La vita è piena di amori ipotetici, di “se”, di momenti che non hanno coinciso e dell’impossibilità di accorgersi di questa mancanza se, ancora e soprattutto, si continua a mancare a sé stessi.
E lo sguardo che chiude il racconto, gettato oltre l’ipotetico, diventa la possibilità per entrambi di riconoscersi.
Hanno finalmente preso coscienza di ciò che non sono stati prima di sapersi.

Dove il racconto finisce, comincia la vita …

FORSE.

Fino a poco tempo fa mi sono nascosta dietro l’eteronimo di Nota Stonata, una introversa creatura nata in una piccola isola non segnata sulle carte geografiche che per una certa parte mi somiglia.
Sin da bambina si era dedicata alla collezione di messaggi in bottiglia che rinveniva sulla spiaggia dopo le mareggiate, molti dei quali contenevano proprio lettere d’amore disperate, confessioni appassionate o evocazioni visionarie.
Oggi torno a riprendere la parte di me che mancava, non per negazione o per bisogno di celarla, un po’ era per gioco un po’ perché a volte viene più facile non essere completamente sé o scegliere di sé quella parte che si vuole, alla bisogna.
Ci sono amici che hanno compreso questa scelta, chiamandola col nome proprio, una scelta identitaria, e io in fin dei conti ho deciso: mi tengo la scomodità di me e la nota stonata che sono, comunque, non si scappa, tentando di intonarmi almeno attraverso le parole che a volte mi vengono congeniali, e altre invece stanno pure strette, si indossano a fatica.
Nasco poeta, o forse no, non l’ho mai capito davvero, proseguo inventrice di mondi, ora invento sogni, come ebbe a dire qualcuno di più grande, ma a volte dentro ci sono verità; innegabilmente potranno corrispondervi o non corrispondervi affatto, ma si scrive per scrivere… e io scrivo, bene, male…
… forse.
Francesca Suale

Un commento su “L’amore ipotetico

  1. Capitano spesso coincidenze o mancate coincidenze. Non sempre sono negative e non sapremo mai come sarebbe, se sarebbe cambiata, la nostra vita se non fossimo andati ad un appuntamento, se non avessimo perso tempo, se avessimo accettato una proposta anziché un’altra. Sappiamo invece che certe occasioni si sono ripetute, che certi incontri o vicinanze prima o poi dovevano comunque accadere. Così come non sempre è il momento giusto e non sempre siamo predisposti… sembra quasi che De Silva abbia voluto lasciare i suoi protagonisti, quindi i suoi lettori, di decidere oltre al destino e alle occasioni

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