Tarallo risponde…

Un Settembre dorato inondava tutto con un sole quasi agostano.
La città, dunque, era ancora fasciata da un abbraccio caldo, così ci si attardava in pratiche quasi pienamente estive: chi poteva andava in spiaggia a riscuotere la carezza dell’onda marina, altri, occhiali scuri innestati a schermare occhi eternamente cisposi, si dedicavano fin dalle primissime ore del mattino al rituale dell’aperitivino, bevendo roba colorata, sondando con sguardi annoiati gli umori dei passanti e sgranocchiando ogni sorta di stuzzichino d’assalto.

Lallo Tarallo, un mattiniero naturale, si avvicinava a passo celere alla redazione del Fogliaccio, ruminando pensieri e suggestioni.
I rapporti col direttore, Ognissanti Frangiflutti, da sempre difficili, erano nettamente peggiorati in quei giorni nei quali, per via delle ferie del saponoso condirettore Lello Rapallo, quell’uomo bilioso era rimasto solo al comando del giornale.
Non poteva quindi non essere irritato o scontento il nostro Lallo, considerando che da tre giorni era confinato nell’angusto spazio della rubrica : “ La parola a chi ci legge”, costretto a rispondere ai quesiti spesso deliranti  di certi lettori.
Cosa rispondere, in effetti, a lettere che parevano arrivare da una clinica psichiatrica?

“Caro Direttore, vorrei metterla a parte di una esperienza da me vissuta in un paese lontano e che, a dispetto delle nostre idee superficiali e preconcette su certi luoghi, potrebbe suggerire alle nostre amministrazioni pubbliche, ed in particolare alla nostra, la creazione di un servizio utilissimo, se non indispensabilie alla cittadinanza.
Fino a pochi giorni fa mi trovavo ad
Oš, un’antica città del Kirghizistan.
Deve sapere, egregissimo Direttore, che negli ultimi tempi con mia moglie Adolfa si erano infittiti dissapori e contrasti, scontri culminati nel lancio reciproco di vasellame e nella distruzione del servizio di piatti finto Limoges, dono di nozze di ma zia Ulpia, vedova Chiricò.

Veduta aerea di Oš, un’antica città del Kirghizistan.

Subito dopo essere stati dimessi dall’ospedale, ci siamo guardati negli occhi, a dir la verità ancora piuttosto pesti, e abbiamo deciso di tentare una riappacificazione ritrovando la spinta emotiva dei nostri primi giorni d’amore.
Il mezzo? Semplice: avremmo fatto
un secondo viaggio di nozze!
Dopo un’attenta selezione, delle varie ipotesi formulate sono rimaste due sole opzioni:
andare a Eurodisney, a Parigi, oppure in Kirghizistan.
Naturalmente abbiamo scelto la meta più romantica.

Un giorno, dopo aver bighellonato, appunto, per Oš, città vecchia di 3000 anni, sita nella Valle di Fergana, ci siamo fermati a pranzare nella locale
trattoria “Da Almazbek, tutto alla brace”, locale prediletto di Askar, unico camionista kirghiso che avessimo mai conosciuto.

Interno della trattoria “Da Almazbek, tutto alla brace”

Su suo suggerimento avevamo ordinato qualcosa di tipicissimo, ovvero il beshbarmak, un piatto di carne e tagliatelle con coriandolo, cipolla e prezzemolo.
Beshbarmak nella lingua del Kirghizistan
significa “cinque dita”, e difatti secondo la tradizione è un piatto che va mangiato con una sola mano.

Un appetitoso piatto di Beshbarmak

Tentammo quindi di barcamenarci con quella usanza locale, ma il gran cumulo di carne e salsa che avevamo maldestramente fatto cadere, stava richiamando un numero cospicuo delle fameliche specie animali del luogo: cani rognosi, lepri, ricci dalle orecchie lunghe, cervi, un esemplare di argalì, la loro pecora di montagna, gerboa e citelli gialli.
Con mia moglie, che pure è schizzinosa, avremmo anche tollerato quella eterogenea compagnia di mangiatori dei nostri avanzi, ma non potemmo non rimanere vivamente impressionati dall’arrivo inaspettato del re della fauna kirghisa:
il leopardo delle nevi.

Leopardo delle nevi

Che non fosse stata una gran mattinata per quel felino lo comprendemmo dal nervoso ruggito preliminare che indirizzò ai presenti, causandone il fuggi fuggi frenetico.
Le urla degli avventori, altissime, sembrarono infastidire la bestia, proprio come capita alle brave persone quando ascoltano un brano dei tre tristi vicetenori strillanti de “Il Volo”.
La mia signora, normalmente un braditipo di stazza imponente, rivelò riflessi inediti e guadagnò celermente l’uscita secondaria correndo sulle orecchie di un tizio scivolato sulla salsa di beshbarmak e a causa di essa piombato in terra.
Io vissi un istante di vivo imbarazzo dinanzi allo sguardo schifato che mi rivolse il leopardo delle nevi.
Da quella sua palese disapprovazione nei miei confronti, trassi forza per scuotermi e fuggire a mia volta.
Alzandomi dalla panca in legno su cui ero stato seduto,
sentii distintamente una lacerazione che dapprima pensai si fosse prodotta nel mio animo, che fosse insomma interiore, frutto del mio turbamento.

Una volta fuori, in salvo, mi accorsi invece che un chiodo malmesso che spuntava dal mio sedile, mentre mi alzavo in tutta fretta, aveva strappato un brandello dei miei calzoni, pagati un occhio seppure in saldo.
Più forte del ruggito del leopardo delle nevi si levò il mio urlo di disperazione: tenevo moltissimo a quei calzoni!
Fui circondato da una piccola folla di kirghizi, uzbeki e tagiki, tutti guardavano stupiti il brandello tristemente pendente dei miei pantaloni e assistevano sbalorditi al mio show di disappunto.
Ad un tratto un tale che sembrava essere una specie di vigile urbano, mi fece cenno di calmarmi. Preso in mano il cellulare, compose un numero.
Trascorsi appena un paio di minuti
sentii avvicinarsi il suono di una sirena e fulmineamente una sorta di ambulanza rombò, frenando come mi vide.
Scoprii che quello era il mezzo di uno dei più popolari servizi pubblici kirghisi: il pronto soccorso di sartoria.

Dalla vettura scese un tale con gli spilli in bocca che a gesti mi fece salire. Venni invitato a sfilarmi i calzoni che furono adagiati su una barella sulla quale incombeva una macchina per cucire.
Io fui fatto sedere su un seggiolino di metallo.
I soccorsi furono rapidissimi:
in capo a cinque minuti i miei pantaloni sembravano già star meglio. Dopo dieci si erano completamente ristabiliti, l’orribile ferita era completamente rimarginata e sul tessuto non se ne distingueva più nemmeno la traccia.
Usando il mio smunto inglese cercai di chiedere quanto dovessi per quell’intervento, temendo che costasse parecchio,
ma mi fu spiegato che, essendo pubblico, quel servizio era quindi completamente gratuito.

Ora vorrei dirLe, egregio Direttore: quanti chiodi e chiodini, quante schegge, quanti taglienti pezzettini di metallo sono in agguato, nascosti nelle nostre panchine pubbliche, nelle sedie rustiche di certi ristoranti o nelle cancellate e nelle reti che delimitano certi passaggi urbani?

Quel’è il costo sociale delle loro aggressioni ai nostri incolpevoli indumenti?
Sono certo che in Italia quotidianamente vengono in tal modo bruciate centinaia di migliaia di euro in giacche rovinate, calzoni strappati, maglioni sfilati.
Una costosissima piaga sociale.
Perché dunque il nostro governo non si fa promotore
dell’istituzione di un analogo servizio di C.R.S. (Croce Rossa Sartoriale) ?
Lei sarebbe disposto a promuovere una campagna stampa di sensibilizzazione sul tema?
Certo di una una Sua illuminante risposta, le porgo i miei ossequiosi saluti


Osvaldo Tirinnanzi.

Ps. Scendendo da quell’ambulanza cercai invano mia moglie. Scoprii che approfittando del trambusto, era fuggita con un commercialista tagiko.
Riparati che furono i miei calzoni, non si è potuto dire altrettanto del mio matrimonio, rottosi definitivamente nel corso di quello che avrebbe dovuto essere il nostro secondo viaggio di nozze.

Il commercialista tagiko

La testa di Tarallo crollò sulla scrivania.
Desolazione assoluta.
Poi, cominciò a picchiettare la sua risposta, perentoria.
Le sue furono parole di sostegno totale alla scelta fatta dalla coraggiosa ex moglie di Tirinnanzi e di stima incondizionata per un commercialista tagiko che nemmeno conosceva.

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

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