L’autoesilio in letteratura, J.D. Salinger in breve

“Il desiderio che uno scrittore ha di anonimato-oscurità è la seconda dote più importante che gli sia stata affidata”. 

A pensarci bene, non è granchè difficile individuare l’autore di una simile affermazione: la sua vita reale, infatti, è stata ostinatamente, pervicacemente e coerentemente ispirata al principio che vi è enunciato.

Generazioni intere che si sono innamorate delle sue opere, e principalmente de “Il giovane Holden”, oltre che con la fascinazione dei suoi testi, si sono dovute misurare con molte domande senza risposta e con il mistero che il lunghissimo isolamento di J.D. Salinger ha sempre evocato.
Sono interrogativi ed enigmi ai quali le biografie che sono state pubblicate negli anni, perfino quella scritta da sua figlia Margareth, non sono riuscite a dare risposte credibili.

La vita dello scrittore americano e la sostanza della sua personalità rimangono quindi, se non inconoscibili, almeno sfuggenti, pezzetti di un puzzle troppo complesso per essere completato.

La particolarità fatta arte, in un mestiere che di straordinarie eccentricità ne ha prodotte moltissime.
Forse nessuno che abbia fatto quella professione insolita ha scritto così tanto e pubblicato così poco. Ancora oggi alcune sue opere, ed è un fatto straordinario per uno scrittore dalla popolarità mondiale, rimangono inedite.
In una rara intervista, concessa nel 1974 al New York Times, Salinger diceva:

“Non pubblicare mi dà una meravigliosa tranquillità. Mi piace scrivere. Amo scrivere. Ma scrivo solo per me stesso e per mio piacere”. 

Date queste premesse indispensabili, si deve ammettere dunque che scrivere della sua vita significa mettere insieme solo una modesta percentuale dei tasselli di quel puzzle, tenendo ben presente che non potendo esso completarsi, ciò che intanto affiora dovrà necessariamente bastarci.

Il giovane Jerome David Salinger

Jerome David Salinger nacque a New York nel gennaio del 1919, secondogenito della famiglia di un commerciante ebreo di origini lituane.
Pessimo alunno dal carattere precocemente ipercritico e problematico, completati gli studi dell’obbligo, si iscrisse volentieri alla Valley Forge Military Academy and College di Wayne, in Pennsylvania, mettendosi in tal modo ad una distanza opportuna da una madre iperprotettiva.
Fu nel collegio militare che il ragazzo, che aveva in precedenza pubblicato qualcosa sul giornalino scolastico, prese a scrivere racconti di notte, in orario proibito, facendosi luce sotto le coperte con una pila tascabile.

La sua irrequietezza interruppe presto una sua prima esperienza universitaria, quella alla New York University: Salinger smise di seguire le lezioni per lavorare a bordo di una nave da crociera.
Anche questo impiego durò poco perché il ragazzo si convinse, almeno per un po, a ricalcare le orme paterne  nel settore dell’importazione delle carni.
Spedito nella filiale di Vienna perfezionò sul posto la sua conoscenza del tedesco e del francese.

Nel 1938 però la situazione politica di quella nazione si intorbidì, così, poco prima che con l’Anschluss Hitler se ne impadronisse, Salinger lasciò l’Austria. 

Jerome David Salinger

Da quel momento in poi J.D. riprese alcune esperienze in ambito universitario, la più significativa delle quali fu un corso di scrittura presso la Columbia University, durante il quale il suo talento fu notato dall’insegnante e direttore della rivista Story Magazine, Whit Burnett.
Questo apprezzamento portò il giovane a pubblicare in quella sede il suo primo racconto, “The Young Folks”, lo schizzo di un gruppo di giovani sfaccendati senza scopi nella vita.
In quel periodo e per circa un anno, il 1941, Salinger ebbe una relazione sentimentale con la figlia del drammaturgo Eugene O’Neil, Oona, e quotidianamente le spedì lunghe lettere.

Oona O’Neil

Come la cronaca ricorda, la ragazza si innamorò poi di Charlie Chaplin, suo futuro marito, e mise fine quindi al rapporto.
L’anno successivo per lo scrittore iniziò l’avventura destinata a lasciare un segno indelebile sulla sua personalità: sorteggiato per andare sotto le armi, si trovò impegnato in alcune delle più sanguinose battaglie del secondo conflitto mondiale.
Con tanti altri, nel D.Day fu a Hutah Beach nel corso dello sbarco in Normandia, partecipando anche alla battaglia delle Ardenne.

Salinger soldato

Avanzando con le truppe verso la Germania conobbe Hemingway, allora corrispondente di guerra a Parigi, col quale iniziò un rapporto epistolare.
In seguito alla lettura di alcune pagine di Salinger, Hemingway esclamò:”Gesù, ha un talento straordinario!”.
La sua conoscenza delle lingue lo fece in seguito approdare al controspionaggio con l’incarico di interrogare i prigionieri di guerra, ma per lui, che pure aveva già visto le più tremende brutture belliche, il momento più difficile doveva ancora arrivare.

Salinger, il primo a sinistra, con alcuni commilitoni

Salinger, infatti, fu uno dei primi soldati alleati ad entrare nel campo di concentramento di Dachau.
Quell’esperienza lo segnò per sempre.

Già dopo la sconfitta del Terzo Reich fu ricoverato in ospedale per curare una sindrome legata allo stress da combattimento, ma la scia emotiva di ciò che aveva vissuto non lo abbandonò mai, e molti sue tracce comparvero successivamente nella sua opera, in alcuni racconti.
Di Dachau e delle sue conseguenze su di lui ebbe dire alla figlia: “E’ impossibile non sentire più l’odore dei corpi bruciati, non importa quanto a lungo tu viva”.

Aprile 1945 – Liberazione del campo di concentramento di Dachau

Anche nel corso del conflitto Salinger aveva comunque continuato a scrivere e a pubblicare per varie riviste di ottimo livello come ”Collier’s Weekly” e per il “Saturday Evening Post”.
Quando la guerra terminò, si trattenne in Germania per sei mesi, per collaborare alla cosiddetta attività di denazificazione del paese.
Strano frutto di quel periodo fu il suo matrimonio lampo con una donna tedesca, Sylvia, unione che fallì dopo appena otto mesi e che, tornata la ex moglie in patria, lo scrittore ritenne chiusa per sempre.

Il matrimonio con Sylvia Welter

Nel 1948 con la pubblicazione di un breve racconto intitolato “Un giorno ideale per i pescibanana” iniziò la sua collaborazione con la prestigiosa rivista  “The New Yorker”.
E’ significativo che i redattori di quel periodico sofisticato, solitamente assai critici nei loro giudizi, ritenessero quel materiale di “eccezionale qualità”.
Salinger firmò col gruppo editoriale del “New Yorker” un contratto che concedeva ad esso un diritto di prelazione su tutti i suoi futuri lavori: fu un contratto del quale lo scrittore fu soddisfatto perché in quell’ambito i suoi racconti non correvano, come presso altri editori, il rischio di essere modificati dai “furbastri”, come lui li definiva.

Quello non fu tuttavia il primo contatto tra le due parti, visto che in precedenza, nel 1942, un suo racconto, pure accolto dalla rivista, non era stato pubblicato per via della guerra.
In quel racconto, intitolato “Slight Rebellion off Madison”, compariva un personaggio parzialmente autobiografico che si chiamava Holden Caulfield, e che era collegato ad altre storie della sua famiglia.
Questo esordio mancato conteneva la premessa per l’esplosione di quella stessa figura in qualità di protagonista del romanzo destinato ad essere considerato uno dei capolavori assoluti del Novecento.

Una delle prime edizioni

Nel 1951 uscì infatti “Il giovane Holden” (“Catcher in the Rye”), l’opera nella quale quel personaggio diventava protagonista assoluto e perentorio, rendendosi memorabile.
In un’intervista del 1953 Salinger ammise la natura autobiografica di Holden Caulfield, e spiegò: ”La mia adolescenza fu molto simile a quella del ragazzo del libro….è stato un grande sollievo parlarne alla gente”.
La trama del romanzo è semplice e lo spessore dell’opera si deve quindi interamente alla figura del protagonista.
Holden, sedicenne newyorkese, ipersensibile, nervoso, sincero ed insofferente, che è stato appena espulso dal suo college, è un personaggio complesso e ricco di sfumature, capace di mutare velocemente stato d’animo e passare da istanti di esaltazione a momenti di intensa tristezza, da una pungente ironia alla disperazione.
La grande città, New York, che fa da sfondo alle peripezie di Holden, rispecchia in qualche modo le caratteristiche della personalità del ragazzo, riflettendole come se fosse un immenso specchio, mostrando quindi atmosfere esaltanti o tristi, frizzanti o disperate, umori resi magistralmente dalle descrizioni di Salinger.
Alcune delle considerazioni che il protagonista disperde in cima ai suoi pensieri, sono divenute celebri, un incredibile mix di freschezza e di impietosa maturità, che premono entrambe per rivelarsi, stipate dentro un’età troppo precoce:

“Guardate la maggior parte della gente, impazziscono per le macchine… e se si comprano una macchina nuova già cominciano a pensare di “darla dentro” per una ancora più nuova. A me non piacciono neanche le macchine vecchie. Non mi interessano. Preferirei un dannato cavallo.
Un cavallo per lo meno è umano”.

“Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue, vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”. 

Salinger pretese che la prima edizione de Il giovane Holden avesse una copertina interamente bianca: voleva che i lettori lo acquistassero esclusivamente per il suo contenuto, senza farsi influenzare da immagini accattivanti…

Il successo del libro fu immediato e clamoroso, ma non mancarono naturalmente polemiche legate al linguaggio disinvolto usato dal protagonista, alla maniera dissacratoria con la quale si trattava la religione ed alla disinvoltura con la quale veniva affrontato il tema della sessualità adolescenziale. In alcune scuole statunitensi ne venne bandita la lettura ed in qualche paese estero venne censurato.

Due anni dopo l’uscita del Giovane Holden Salinger pubblicò una raccolta di racconti, intitolata sobriamente “Nove racconti”, materiale già pubblicato dal New Yorker al quale si aggiungevano due inediti.
Anche questo libro ebbe un largo successo.

Arrivato ad ottenere una grande popolarità, Salinger iniziò tuttavia a mostrare una inarrestabile e progressiva tendenza a rinchiudersi in se stesso.
Nel 1953 si trasferì in una cittadina del New Hampshire, Cornish.
Nei primi tempi del suo soggiorno, che era destinato ad essere definitivo, lo scrittore si mostrò ancora sufficientemente socievole, non rifiutando incontri con gli studenti delle scuole locali, ma dopo un’intervista concessa ad un giornale scolastico, Salinger cessò senza dare mai spiegazioni questo tipo di contatti.

Anche in città si fece vedere sempre meno, mantenendo rapporti solo con un giurista amico, Learned Hand. 

Ad onta di una vita sempre più solitaria, nel 1955 Salinger sposò la studentessa Claire Douglas. Subito dopo nacque la figlia Margaret, e nel 1960 il secondogenito Matt.

Claire Douglas

Lo scrittore costringeva la moglie a lunghissimi periodi di tempo senza mai vedere nessuno: per Claire la vita con Salinger si fece sempre più difficile.
La donna meditò di suicidarsi poi tentò di fuggire con la figlia, ma Salinger la convinse a tornare con lui a Cornish.
Nel 1961 pubblicò “Franny e Zooey” e due anni dopo “Alzate l’architrave, carpentieri e Seymour: Introduzione”.

Si trattava di due lunghi racconti per ciascun volume in cui si proseguiva la saga dei fratelli Seymour, Buddy, Walter, Waker, Franny, Zooey e Boo Boo Glass, il primo dei quali compariva già nel racconto “Un giorno ideale per i pescibanana”.
La condizione di isolamento in cui intanto Salinger costringeva la moglie spinse infine Claire a separarsi. Il divorzio tra i due fu sancito nel 1967.
Una successiva relazione con la diciottenne scrittrice Joyce Maynard si concluse dopo alcuni mesi di convivenza e la donna descrisse in seguito lo scrittore come una persona egoista ed incapace di sentimenti.

Joyce Maynard

Pur continuando a scrivere con regolarità Salinger non pubblicava nulla, mentre voci sulla pubblicazione di sue nuove fatiche letterarie si rincorrevano periodicamente, dimostrandosi sempre infondate.
Newsweek riferì una presunta dichiarazione dello scrittore, fatta ad una cena con dei commilitoni, in cui preannunciava la pubblicazione di “un libro lungo e romantico ambientato durante la seconda guerra mondiale”, ma anche di quel progetto non si seppe più nulla.
Il desiderio di sfuggire ad ogni visibilità si mantenne costante come costante fu la sua lotta per evitare attenzioni indesiderate.

J. D. Salinger all’uscita di un supermercato a Cornish

Tantissimi studenti appassionati della sua opera, lettori che lo apprezzavano o semplici curiosi, si recavano a Cornish nella speranza di vederlo, magari per un solo istante.
Un suo vicino di casa, suo complice, si prendeva addirittura la briga di sviare puntualmente questi turisti della letteratura, indirizzandoli per stradine secondarie e sterrate o in cittadine circostanti.
Con tutto ciò alcuni fotografi, sfidando le ire dello scrittore, riuscirono a scattare delle foto non autorizzate.
Celebre in particolare è la sequenza di immagini prese da un’automobile nel 1990, che lo mostra, arrabbiatissimo contro il fotografo che lo aveva “beccato”, mentre picchia il pugno sul finestrino.

La sua lotta contro il mondo incluse anche diverse azioni legali per bloccare la pubblicazione di sue biografie o di alcune delle lettere che aveva scritto.
Una volta, durante una sua deposizione in tribunale, alla domanda del giudice che gli chiedeva quale fosse la sua professione, Salinger rispose: “Mi occupo di narrativa, non saprei come meglio definire il mio lavoro. Seguo i miei personaggi nella loro naturale evoluzione. È quello il mio punto di partenza”.
Verso la fine degli anni Ottanta, dopo una relazione con un’attrice televisiva, lo scrittore sposò Colleen O’Neil, di quarant’anni più giovane di lui.

Salinger con la moglie Colleen

La pubblicazione di un suo racconto ”Hapworth 16, 1924”, concessa a sorpresa ad un piccolo editore, fu rinviata più volte e mai realizzata: l’unica versione dell’opera restò quella uscita sul New Yorker nel 1965.
Da quell’anno in poi, dunque, lo scrittore non pubblicò più nulla.
J. D. Salinger, da tempo affetto da un male incurabile, morì nel gennaio del 2010.

In perfetta coerenza con la ritrosia pubblica dello scrittore, della sua scomparsa si seppe diversi mesi dopo l’evento.
Personalità particolarissima, chiusa, tendente all’autoesilio ed all’isolamento, Salinger nutrì tuttavia forti passioni spirituali ed intellettuali, aprendosi volta per volta alle loro suggestioni.
Seguace delle filosofie orientali, del buddhismo e successivamente dell’induismo, si avvicinò anche a Scientology, alla Chiesa Scientista, interessandosi alle pratiche mediche alternative, dall’omeopatia all’agopuntura, dalla macrobiotica al digiuno.
Arrivò a fare sedute all’interno di un “accumulatore di orgone” per trarne energia, in ossequio alle teorie reichiane.
La citazione di Epitteto in “Franny e Zooey” rivelava tuttavia altrettanta curiosità verso la filosofia antica classica.

L’amore per il cinema, che in lui fu intenso (collezionava centinaia di pellicole), non si tradusse mai in un suo coinvolgimento come sceneggiatore o soggettista, perchè cassò di netto questa possibilità dopo che un film ispirato al suo racconto “Uncle Wiggily in Connecticut”, gli si rivelò del tutto infedele al testo. 
Naturalmente nel corso della sua vita gli arrivarono centinaia di proposte per realizzare adattamenti cinematografici de ”Il giovane Holden” e tra questi tentativi ci furono anche quelli di attori del calibro di Jerry Lewis e Jack Nicholson.
Salinger oppose sempre altrettanti rifiuti.
Joyce Maynard, sua vecchia fiamma, concluse che

“L’unica persona ad aver potuto interpretare Holden Caulfield è stato
J. D. Salinger”.

Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.

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