Parte quarta
Chi ha avuto la perseveranza di leggere fin quì (leggendo prima, seconda e terza parte), converrà con l’autore che sarebbe impossibile giustificare l’enorme importanza di Pitagora e del suo insegnamento, se ci si fermasse all’affermazione retorica che «tutto è numero» o ad alcuni precetti e/o restrizioni che, fuori dal loro contesto storico e teorico, suonerebbero come curiosità se non addirittura come stramberie.
E’ soltanto dopo un attento approfondimento dell’aritmogeometria insegnata da Pitagora che si può cominciare ad intravedere la struttura delle sue idee e la profondità del suo pensiero.
Pitagora insegnò che i numeri naturali si distinguono in primi (divisibili solo per il numero 1 e per sé stessi) e composti (divisibili per 2 o più numeri primi).
I primi sono più rari dei composti, essendo i mattoni fondamentali costituenti tutti i numeri naturali.
A loro volta i numeri composti si dividono in eccedenti, difettivi e perfetti.
Nella scala dei numeri naturali s’incontrano quasi sempre numeri composti (difettivi ed eccedenti), raramente s’incontrano i perfetti, dal momento che la loro peculiarità appartiene a pochissimi numeri.
A conclusione della scorsa puntata si accennava appunto ai numeri amici (o amicabili) e ai numeri perfetti.
Si narra che alla domanda: «Chi è un amico?», Pitagora rispose: «Colui che è come un altro me stesso», portando come esempio i numeri 220 e 284, che sono 2 numeri amici perché ciascuno dei due è uguale alla somma dei divisori propri dell’altro.
Divisori di 220 {1,2,4,5,10,11,20,22,44,55,110} e 1 + 2 + 4 + 5 + 10 + 11 + 20 + 22 + 44 + 55 + 110 = 284
Divisori di 284 {1,2,4,71,142} e 1 + 2 + 4 +71 + 142 = 220
Nell’antichità non venne scoperta nessuna altra coppia con queste caratteristiche e perciò 220 e 284 assunsero significati particolari, ben oltre i confini della matematica.
Nel Medioevo un patto di amicizia fra due persone veniva siglato con questi due numeri: uno dei due amici portava inciso su un medaglione il numero 220 e l’altro il 284.
Ritroviamo la stessa coppia di numeri anche nella Bibbia [1]e, nell’antichità, incisi su un talismano, si riteneva che rafforzassero l’amore in una coppia. Secondo un’antica usanza araba due innamorati si scambiavano dolci, sui quali erano segnati questi due numeri magici che, mangiati insieme, garantivano amore eterno.
Soltanto nel Medioevo un matematico arabo [2]ne scoprì una seconda coppia (17.296 e 18.416), applicando una regola proposta da un altro grande matematico arabo. [3]
Stessa coppia che venne riproposta, prima da Fermat e poi da Descartes, il quale riuscì a trovare anche una terza coppia (9.363.584 e 9.437.056), fino alle ricerche di Euler che nel 1750 scoprì altre 62 coppie di numeri amici, ma soltanto oggi, dopo l’avvento del computer, è stato possibile trovarne in gran numero. [4]
Ai giganti della matematica era però stranamente sfuggita per tanti secoli una coppia di numeri amici, la seconda più piccola (1.184 e 1.210), che fu scoperta da Nicolò Paganini [5] nel 1867.
Se un numero è amico di sé stesso, cioè se la somma dei suoi divisori propri è uguale al numero stesso, allora è chiamato numero perfetto.
Il numero 6 (divisori propri 1, 2 e 3; 1+2+3=6) è il primo numero perfetto, il più piccolo.
Il successivo è il numero 28 (divisori propri 1, 2, 4, 7 e 14; 1+2+4+7+14=28).
Inoltre, i pitagorici scoprirono anche i due successivi numeri perfetti (496 e 8.128), avviando pure due filoni di ricerca che, a tutt’oggi, sono noti come «i più antichi problemi aperti nella matematica»: [6]
1. esiste un numero perfetto dispari?
2. esistono infiniti numeri perfetti?
Esemplare dimostrazione che esistono problemi molto facili da enunciare ma difficilissimi da risolvere.
Un teorema già enunciato da Pitagora e poi dimostrato da Euclide rivelò che:
se 2n-1 è un numero primo, allora 2(n-1)(2n-1) è un numero perfetto.
Solamente nel XVIII secolo EV, Euler dimostrò che tutti i numeri perfetti pari devono essere di tale forma, mentre è ancora un problema aperto della matematica l’eventuale esistenza di numeri perfetti dispari.
I numeri della forma 2n-1 che risultano primi sono detti primi di Mersenne [7] e si può dimostrare che:
se n non è primo, allora 2n-1 non è primo;
se invece n è primo (n=p), Mp= 2p-1 allora Mp può essere primo.
Quindi, essendo ben nota (e da tempo) questa formula generatrice dei numeri perfetti (almeno quelli pari), è evidente che la difficoltà a trovarne risiede solo ed esclusivamente nella difficoltà a trovare i numeri primi.
Difficoltà che rende perciò sicuri gli attuali sistemi di crittografia, l’e-commerce e le transazioni bancarie.
A gennaio 2019, si conoscevano soltanto 51 primi di Mersenne e quindi soltanto 51 numeri perfetti, il più grande dei quali è un numero colossale con 49.724.095 cifre che, per scriverle tutte, ci vorrebbe un volume con diverse centinaia di pagine, mentre in notazione esponenziale, si può compattamente scrivere:
(282.589.932)(282.589.933-1)
Già Teone di Smirne,[8] avendo notato che i primi quattro numeri perfetti avevano alternativamente 6 e 8 come ultima cifra, suppose che ogni numero perfetto avesse sempre tale caratteristica e, benché s’è poi scoperto che 6 e 8 non si alternino con regolarità, in effetti non vi sono altre cifre finali.
Insomma, dovrebbe essere ormai evidente la grande confidenza riposta dai pitagorici nelle proprietà dei numeri naturali e nella razionalità dei loro rapporti, che sembravano regolare tutti i fenomeni fisici.
E proprio Pitagora, all’inizio delle sue ricerche, aveva prima scoperto e poi verificato sperimentalmente che, sottoponendo alla stessa tensione due corde di identico materiale e spessore ma di diversa lunghezza, la più corta vibrava ad una frequenza più alta della più lunga: ad esempio, una corda lunga la metà vibra ad una frequenza doppia. Ne aveva quindi dedotto due conseguenze:
- l’altezza di una nota dipende dalla lunghezza della corda;
- gli accordi armonici e consonanti sono ordinati da rapporti numerici semplici (ottava 2:1, quinta 3:2, quarta 4:3, etc.).
E cioè la «gamma pitagorica» (do, re, mib, sol, la, sib, re) e la terminologia musicale (armonia, tono, etc.) che sono ancora oggi in auge.
Si noti, per inciso, che si trattava della prima volta che un fenomeno naturale veniva descritto tramite una forma quantitativa precisa, cioè con una formula di fisica-matematica.
E con un salto ardito del pensiero, prolungando fino alle stelle ciò che era soggetto a legge e regola universale e pertanto poteva essere oggetto d’indagine da parte dell’uomo, il maestro insegnava ai suoi adepti che il movimento degli astri celesti avveniva seguendo una precisa «armonia delle sfere».
A proposito dell’armonia, è a Pitagora ed alla sua cerchia che risale pure la scoperta della sezione aurea e del numero d’oro[9], come testimonia il celebre dialogo di Platone in cui Timeo, un pitagorico di Locri, illustrando a Socrate l’origine ed il funzionamento del cosmo (κόσμος), gliene rivela la struttura, fondata sui 5 solidi regolari, e l’esistenza di una proporzione meravigliosa, «che [lega] tre numeri o pesi o potenze qualunque, [in modo tale che] il medio sta all’ultimo come il primo sta al medio […] che, comportandosi allo stesso modo gli uni rispetto agli altri, formano realmente una unità». [10]
Nell’ambito delle arti figurative e della matematica, si parla di sezione aurea[11]o numero d’oro (o costante di Fidia[12]o proporzione divina[13]), a proposito di due grandezze diseguali (a e b), in cui la maggiore (a) è media proporzionale tra la somma delle due (a + b) e la minore (b), verificando così la proporzione:
(a +b) : a = a : b
e cioè:
La sezione aurea pare apparire ovunque: nelle architetture di Fidia, Vitruvio e Le Corbusier; nei quadri di Leonardo, Burne-Jones, Seurat e Dalì; nella disposizione dei semi di un fiore di girasole o dei petali di una rosa; nell’elegante spirale della conchiglia del nautilus o nei bracci delle galassie come la Via Lattea; nelle dimensioni delle carte di credito e nel calcolo della progenie dei conigli, in cui quasi magicamente saltano fuori i numeri di Fibonacci[15] a permetterne il conto.
Il numero d’oro ϕ risulta essere un numero particolare, della stessa categoria di radice quadrata di 2 (√2) e – sembra paradossale ma non lo è – furono proprio i pitagorici, così convinti che le proporzioni numeriche regolassero ogni realtà fisica, a scoprire quelli che oggi sono chiamati numeri irrazionali; un termine poco indovinato, dando l’idea che siano numeri irragionevoli, mentre si tratta piuttosto di numeri incommensurabili (αλóγον) oppure numeri innominabili (άρρητος), come erano infatti chiamati dai pitagorici, confidenti che tutte le misure si potessero esprimere tramite i numeri naturali (interi) o loro rapporti (razionali, frazioni con numeratore e denominatore interi).
Ed invece scoprirono che già la semplice diagonale (d) del quadrato di lato unitario, essendo l’ipotenusa costruita sui 2 cateti di misura 1, per il teorema di Pitagora deve misurare:
che non può essere un numero naturale, dovendo essere maggiore di 1 e minore di 2 (1<√2<2) ma che potrebbe essere il rapporto di 2 interi, entrambi quadrati e l’uno doppio dell’altro, di modo che la divisione tra di loro sia uguale a 2; ad esempio 72=49 che è quasi il doppio di 52=25; oppure 172=289, che è quasi il doppio di 122=144, e infatti sia 7/5 che 17/12 sono 2 frazioni che approssimano √2.
Si poteva quindi ragionevolmente sperare che, andando abbastanza avanti nella ricerca, si riuscisse infine a trovare gli agognati 2 numeri (p e q), per cui risulti:
Beh, nonostante la loro convinzione e buona fiducia, in realtà non è così. Anzi! Secondo alcuni autori [16]sarebbe questo il «vero teorema di Pitagora», visto che l’altro era già risaputo da secoli… [17]
E’ facile tracciare con la riga la diagonale del quadrato unitario ma non se ne può cifrare la lunghezza, cioè non si può «contare» il numero di punti che contiene, sembrando pari e dispari contemporaneamente.
Supponga il lettore che √2 sia una frazione, quindi esprimibile come rapporto tra 2 numeri interi (p e q) primi tra di loro, cioè privi di fattori comuni e non entrambi pari (altrimenti avrebbero 2 a fattore comune):
da cui si ricava
quindi p è pari, poniamo perciò p=2r e sostituendo in p si avrebbe che
2q² = (2r)² ⇒ 2q²=4r²
espressione che si può semplificare, dividendo entrambi i termini per 2, da cui si ricava che:
q² = 2r² ma allora anche q è pari, diciamo perciò che q = 2s
Ciò però contraddice l’ipotesi iniziale che fossero primi tra di loro e non entrambi pari ed è proprio questa contraddizione a dimostrare l’impossibilità che possa essere una frazione: qed! [18]
Quella che il lettore paziente ha appena finito di leggere è forse la più antica dimostrazione per assurdo.
Nota come «reductio ad absurdum è una delle più belle armi di un matematico, un gambetto molto più raffinato di qualsiasi gambetto degli scacchi: un giocatore di scacchi può offrire in sacrificio un pedone o anche qualche altro pezzo ma il matematico offre l’intera partita». [19]
Svelando per la prima volta una dimensione nuova ed inquietante del mondo dei numeri, queste ricerche furono tenute riservate, poiché mettevano in crisi quella aritmo-geometria su cui era fondata l’unità di pensiero dei pitagorici, mostrando che la matematizzazione del mondo per mezzo di punti fosse una scorciatoia ancora prematura.
Allo stesso tempo, si aprirono così nuovi filoni di ricerca, come narrato da Platone a proposito del suo maestro di matematica, il pitagorico Teodoro di Cirene (456-? AEV), che per primo dimostrò l’irrazionalità delle successive radici quadrate da 3 fino a 17 (ad esclusione di 4, 9 e 16, che sono quadrati perfetti).
Qual è il retaggio pitagorico dalla morte di Pitagora al giorno d’oggi?
La dissoluzione della confraternita non coincise però con la fine della scuola, favorendo anzi la formazione della più importante scuola del mondo antico: l’Accademia di Platone.
Parafrasando, si potrebbe dire che la fine della comunità fu l’inizio dell’immortalità per le idee di Pitagora, che influenzò tutto il pensiero occidentale tramite le sue teorie sull’anima, sulla creazione e sul mondo delle idee, che confluirono prima nel misticismo cristiano, e poi nei primordi della scienza europea.
Nella celebre e assai citata frase di Galileo, «il libro della natura è scritto in linguaggio matematico», è difficile non udire l’eco del pensiero di Pitagora, che altrettanta influenza avrà pure sull’attività intellettuale di Kopernik, Leibniz e Newton.
Addirittura emblematico sarà il caso di Kepler che, mistico e pitagorico fino al midollo, trascorse trent’anni della sua vita cercando di scoprire le leggi del moto planetario, guidato come un sonnambulo dalla suggestione dell’armonia delle sfere.
Per non parlare poi di grandi scienziati moderni, fisici teorici quali Einstein, Heisenberg, Schrödinger, Dirac, che hanno rivoluzionato il nostro modo di guardare la realtà che ci circonda, guidati a loro volta quasi esclusivamente dal fascino e dalla bellezza delle idee matematiche.
Un altro grande fisico moderno, Eugene P. Wigner, si chiedeva perché proprio la matematica, forse la più astratta creazione della mente umana, risultasse così efficace nella descrizione della realtà. [21]
L’enorme utilità della matematica nelle scienze naturali è qualcosa che rasenta il misterioso e non c’è per essa una spiegazione razionale ma ciò nonostante rimane la più affidabile compagna di strada per qualunque ricercatore serio, e proprio a partire dalla consapevolezza e misurabilità della sua incompletezza e indeterminazione.
Nessuno prima di Pitagora aveva mai pensato che i rapporti matematici potessero contenere la cifra dell’universo e, dopo venticinque secoli, l’Europa è ancora favorita ed afflitta da questo retaggio.
Le civiltà non europee non hanno mai avuto l’idea che i numeri fossero la chiave del sapere e del potere.
Platone ed Aristotele, Euclide ed Archimede, sono state le pietre miliari sulla strada maestra della cultura occidentale ma Pitagora è al punto di partenza, nel luogo dove si decise la direzione.
Prima di lui l’orientamento era ancora indeciso, in quell’alba del VI secolo AEV, l’Europa avrebbe potuto imboccare la direzione cinese o indiana.
Chissà cosa sarebbe accaduto se Buddha e Pitagora avessero scambiato il loro luogo di nascita? L’India avrebbe imboccato la via della scienza e della tecnica e l’Europa sarebbe diventata una terra di bonzi e yogi?
Le interazioni di clima, cultura, società e l’influenza degli individui eccezionali sul corso della storia sono così complesse e oscure che nessuna previsione è possibile, neanche se fatta a ritroso.
I «se» riguardo al passato sono incerti quanto le profezie riguardo al futuro.
Se Alessandro Magno o Gengis Khan sono i «macchinisti» sul treno della storia, i pensatori come Pitagora sono coloro che manovrano gli scambi dei binari e, benché siano meno visibili ai passeggeri, da dietro le quinte, sono loro che decidono la direzione del viaggio. [22]
Una chiusa dell’autore, un commiato al lettore.
Questo viaggio alla (ri)scoperta di Pitagora non può che concludersi alla quarta puntata, che è la somma dei primi quattro numeri: 1 + 2 + 3 + 4 = 10, la sacra Tetraktys (τετρακτύς) simbolo esoterico dei pitagorici.
A sua volta il dieci rimanda all’unità (10=1+0=1); inoltre nella «decade» sono contenuti egualmente il pari (2, 4, 6, 8) e il dispari (3, 5, 7, 9); risultano uguali i numeri primi (2, 3, 5, 7) e i numeri composti (4, 6, 8, 9); e sono uguali i sottomultipli (2, 3, 5) e tre multipli di questi (6, 8, 9); e poi, 1 è punto, 2 è linea, 3 è triangolo, 4 è piramide.
Infine, forse fu così che nacque la teorizzazione del «sistema decimale», la familiare «tavola pitagorica».
Vaffa il gurū, va… e uno (εἷς), due (δύο), tre (τρεῖς) e quattro (τέσσαρες)!
Note
[1]In Genesi (XXXII, 14) si dice che le pecore date da Giacobbe ad Esaù erano 220.
[2]Ibn al-Banna’ al-Marrākushī al-Azdi (1256-1321 EV) è stato un matematico e astronomo arabo maghrebino.
[3]Tha’bit ibn Qurra, nato ad Harran in Turchia e morto a Bagdad in Iraq (836-901 EV).
[4]Ad aprile 2018 erano noti circa 1 miliardo e 100 milioni di coppie di numeri amici.
[5]Si tratta di un omonimo del celebre violinista, un prodigioso calcolatore mentale, che la scoprì a sedici anni.
[6]«Oldest open problem in mathematics».
[7]In onore di Marin Mersenne (1588-1648 EV), matematico e teologo appartenente all’Ordine dei Minimi.
[8]Matematico ed astronomo pitagorico (70-135 EV), vissuto ai tempi dell’imperatore Adriano.
[9]La moglie e la figlia di Pitagora portarono avanti questo filone di ricerca (vedi la prima parte).
[10]Platone, Timeo (a cura di F. Fronterotta, Rizzoli, 2003)
[11]Il primo ad usare il termine «sezione aurea» sembra sia stato, nel 1835, il matematico tedesco Martin Ohm, il fratello del più noto Georg Simon Ohm, che ha dato il nome alla legge fisica riguardante i circuiti elettrici.
[12]In onore di Fidia, grande scultore e architetto greco (490-430 AEV), che pare abbia utilizzato spesso il rapporto aureo nei suoi capolavori, come ad esempio l’Athena Parthenoso lo Zeus del tempio di Olimpia.
[13]Nel 1400, il matematico italiano fra’ Luca Pacioli, aveva dedicato un libro alla «divisione di un segmento in estrema e media ragione» intitolandolo «De Divina Proporzione».
[14]È stato il matematico americano Mark Barr ad introurre il simbolo phi (ϕ), la lettera iniziale di Fidia, all’inizio del XX secolo.
[15]Leonardo Fibonacci, matematico pisano del 1200 e primo matematico europeo degno di nota ma oggi noto quasi esclusivamente per il suo problema dei conigli, da cui origina la serie dei numeri che prendono il suo nome.
[16]Cfr. Hardy-Wright, 1938
[17]Leggi la seconda parte.
[18]Abbreviazione che sta per quod erat demonstrandum: «ciò che era da dimostrare»; si usa porla al termine della dimostrazione di un teorema di matematica, dopo aver provato la correttezza dell’enunciato del teorema stesso.
[19]Godfrey Harold Hardy, Apologia di un matematico (Garzanti, 2002).
[20]Platone ci narra di queste ricerche di Teodoro di Cirene (456-? AEV) nel dialogo Teeteto.
[21]The Unreasonable Effectiveness of Mathematics in the Natural Sciences (Princeton University, 1960).
[22]Arthur Koestler, I sonnambuli. Storia delle concezioni dell’universo (Jaca Book, 1982)
Fine
Sotto l’eteronimo di Gyro Gearloose si cela un uomo rustico, a volte ruvido, fervido praticante di un libero pensiero, che sconfina in direzioni ostinatamente contrarie all’opinione comune.
Afflitto fin dalla nascita da una forma inguaribile di pensiero debole, simile all’agnosìa, prova a curarla con l’applicazione assidua di scienze dure.
E’ cultore di matematiche che, non capendo appieno, si limita ad amare da dilettante appassionato, sebbene poco ricambiato.
Si consola perlustrando sentieri poco battuti, per campagne e colline dove, tra le rovine del passato, resistono ancora bene l’ulivo e la vite.
Bellissimo racconto!
Il piacere è anche dell’autore, quando dona piacere almeno ad un lettore 😃