“La gioia fa parecchio rumore”, un romanzo d’amore

“La gioia fa parecchio rumore”… è vero. 

La gioia non si può trattenere, deflagra, contamina tutto e si contagia. La gioia è un canto corale che si propaga di nota in nota, che attraversa lo spazio che divide le persone, lo colma e lo accorcia.
Altro è la tristezza. 

Sandro Bonvissuto

Scrive Sandro Bonvissuto che la tristezza è muta.  Dico io, muta perché fa tanto rumore trattenuto, si tiene dentro; resta sospesa come una bolla inesplosa, sta tra le cose e le deforma, non permette a nessun altro di entrare.
La tristezza è un fatto intimo e schivo, non ne dividi che briciole, è pudore del pianto e della fragilità, che qualcuno vuole non sia mai troppo esposta, o peggio che non si esponga mai. Invece la gioia, quella sì, fa parecchio rumore, perché non si contiene, anzi, trascina.   

Mai titolo fu più indovinato per il secondo libro di Bonvissuto, che non è un romanzo sul calcio, è un libro che parla d’amore, ma non di un amore scontato, stereotipato: questa è la storia di una iniziazione all’amore, di quello spartiacque che sancisce il nostro stare al mondo e che divide di netto il momento nel quale eravamo esclusivamente oggetto di un amore, che ci colmava e definiva, manna improvvisa piovuta al primo vagito, dall’abbraccio materno, nutrimento del calore familiare, sino al giorno in cui improvvisamente diveniamo soggetti attivi di tutto questo amore, ci risvegliamo trasformati in esseri capaci di amare, così che proprio attraverso questo sentimento finalmente ci sentiamo vivi.

È una folgorazione, l’attimo che squarcia in due la nostra vita, tra il prima e il dopo, quando individuiamo il nostro oggetto d’amore lo ricolmiamo di tutto ciò che abbiamo conservato dentro di noi sino a quel momento.
Siamo talmente pieni che non possiamo trattenere, dobbiamo fare posto a quell’amore, allora siamo noi a scegliere, incondizionatamente e con dedizione, doniamo noi stessi, senza avere a pretendere altro in cambio.
Non c’è contrattazione, calcolo, nessuna convenienza, l’amore non ammette intromissioni. L’amore ama, non sa fare altro, e ama di più quando sente il bisogno di sostenere e curare chi ama, perché

“ad amare quando si vince sono capaci tutti…”

l’amore vero invece richiede sacrificio, non ammette deroghe, tanto meno consente scorciatoie.

Sandro Bonvissuto durante la presentazione del suo libro a Latina

Sin dall’incipit del romanzo Bonvissuto ci dice che:

“La vita non inizia quando uno nasce, la vita inizia nel momento in cui si comincia ad amare.”

L’iniziazione all’amore del ragazzino romano protagonista della storia, è proprio l’innamoramento per la sua squadra di calcio, per la Roma che perde sempre; un amore che sta dentro la saga familiare di un culto che ha la sacralità dell’appartenenza. Ma il suo amore, dalla purezza dell’infanzia, si spinge molto oltre, lo rende diverso nelle sue espressioni, lo distingue dagli altri, egli ama con tutto se stesso, nel modo in cui solo l’amore sa trasformare pensieri e emozioni, fa compiere scelte, sa fare soffrire di gioia. E la gioia fa parecchio rumore.
Anche se siamo seduti sul sedile posteriore di “un’autoimmobile” che non partirà mai più per alcun viaggio, fermi ad ascoltare il rumore della pioggia sulla lamiera, l’orizzonte ci appare una linea lontana, eppure si avvicina; probabilmente perché l’amore può tutto e tutto rende vivo.
Il romanzo è un inno alla vita e culmina nell’esplosione della vittoria che, finché dura, cambia prospettiva al mondo, ma non all’amore, quello resta, comunque e ovunque. 

Quando si impara ad amare si nasce… finché si ama si resta vivi.

Qui potete leggere la nostra intervista a Sandro Bonvissuto

Fino a poco tempo fa mi sono nascosta dietro l’eteronimo di Nota Stonata, una introversa creatura nata in una piccola isola non segnata sulle carte geografiche che per una certa parte mi somiglia.
Sin da bambina si era dedicata alla collezione di messaggi in bottiglia che rinveniva sulla spiaggia dopo le mareggiate, molti dei quali contenevano proprio lettere d’amore disperate, confessioni appassionate o evocazioni visionarie.
Oggi torno a riprendere la parte di me che mancava, non per negazione o per bisogno di celarla, un po’ era per gioco un po’ perché a volte viene più facile non essere completamente sé o scegliere di sé quella parte che si vuole, alla bisogna.
Ci sono amici che hanno compreso questa scelta, chiamandola col nome proprio, una scelta identitaria, e io in fin dei conti ho deciso: mi tengo la scomodità di me e la nota stonata che sono, comunque, non si scappa, tentando di intonarmi almeno attraverso le parole che a volte mi vengono congeniali, e altre invece stanno pure strette, si indossano a fatica.
Nasco poeta, o forse no, non l’ho mai capito davvero, proseguo inventrice di mondi, ora invento sogni, come ebbe a dire qualcuno di più grande, ma a volte dentro ci sono verità; innegabilmente potranno corrispondervi o non corrispondervi affatto, ma si scrive per scrivere… e io scrivo, bene, male…
… forse.
Francesca Suale

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