La prima cosa che gli occhi di Don Oronzo Sardanapali videro, quando, nonostante le sberle di Donaldo Ducco, riuscì a rinvenire, furono altri occhi, quelli, incredibili ed iridescenti, di Consuelo, china su di lui, ancora sdraiato sul pavimento freddo della Chiesa di Santa Abbondanziana Martire.
Con Tarallo ed il sagrestano, la fotografa stava appunto controllando le condizioni del parroco dopo che il religioso aveva subito il secondo, violento spavento a causa della sovrannaturale indisciplina dei martiri dipinti, santi che sembravano improvvisamente essersi stancati di rimanere in eterno nelle pose in cui erano stati ritratti.
Il viso celestiale di Consuelo, fisso sul suo, diede per un attimo al prete la certezza di essere morto, di essersi trasferito in Paradiso.
Perso in quella bellezza, e del tutto ammaliato, trovò comunque modo di pensare, in un rapido balenìo della coscienza, che mai si sarebbe aspettato di essere ammesso così, subito, alla gloria del Signore.
Era stato sempre certo che un suo mezzo infortunio amoroso, verificatosi anni prima in combutta con Addoloratina, la villosissima perpetua che a quel tempo gli avevano messo in canonica per svolgere i servizi, gli avrebbe procurato qualche millennio di barbosissima permanenza in Purgatorio.
“Oh Santa Madre… Madre bellissima..”, cominciò dunque a sussurrare il prete, in un mezzo bofonchio, prima che Consuelo lo interrompesse: “Stia tranquillo padre, non mi faccia troppo onore, non sono chi lei ha appena immaginato che io sia: lei era semplicemente svenuto e siamo lieti che ora vada riprendendosi”:
Il parroco continuò ad osservarla inebetito, ma ancora incredulo, poi cominciò a scuotersi un po’: più prendeva contatto col mondo, più si sentiva strano, quasi fuori posto.
Un calore, del quale non capiva la natura, un bruciore quasi insopportabile, gli arroventava le gote, e il mezzo ricordo, fumoso e dolente, di qualcosa di tremendo, quasi il presagio di futuri disastri, gli galleggiava in mente, ancora indefinito.
Sollevandosi infine, e gettando lo sguardo verso la cappella oltre le sagome di Ducco e di Lallo che gli si paravano innanzi, ricordò tutto.
Rivide Santo Odoacrino con in mano la sua testa, con l’occhio pesto ed il cerotto, ovvero quei segni che erano comparsi di botto a testimoniare il rimescolamento paranormale che aveva colpito le cose della sua parrocchia, indizi di una probabile rivolta dei martiri.
Ebbe un ulteriore capogiro e gli occhi nuovamente gli si persero nel vuoto.
Il sorriso incoraggiante di Consuelo lo riportò tuttavia al mondo.
Riuscì faticosamente ad alzarsi da terra.
“Ma cosa… ma come… ma che…che succede ai miei santi, ai miei bei quadri… Che cosa vuole dirmi Nostro Signore con questi folli segni? Eh Signore mio, eh, che Vuoi dirmi? Non lo capisco proprio…Che devo fare?”.
Ducco, che aveva letteralmente stampato l’impronta delle sue manacce sul faccione malconcio del parroco, fece a Tarallo un rapido segno di intesa perché mantenesse con Don Oronzo una totale omertà sui suoi metodi di soccorso.
Lallo, non appena vide il prete rizzarsi in piedi, gli si presentò ufficialmente nella sua qualità di giornalista, venuto a Strappoli di Sotto per scrivere un’inchiesta sui misteriosi fenomeni che stavano avvenendo a Santa Abbondanziana, casi dei quali cominciava a filtrare notizia anche al di fuori del paesino.
Il parroco lo guardò col medesimo sguardo che un razzista del Partito Vichingo rivolgerebbe in questi giorni ad un cantante neomelodico di ritorno da una tournee da cento concerti a Wuhan, in Cina.
Don Oronzo dapprima si rifugiò in una serie di gesticolamenti nervosi, rifiutandosi di parlare nel dettaglio di quella storia calda, ma poi, tirando fuori a stento un po’ di fiato, lo usò solo per dire a Tarallo che lui, povero prete, non aveva sufficienti nozioni teologiche per spiegare le cause dello stato di agitazione dei martiri nei quadri della sua chiesa.
Piuttosto seccamente, lo pregò subito dopo, di non fare assolutamente cenno alla misteriosa vicenda sul suo giornale, almeno non prima che lui avesse ricevuto una risposta pastorale dal loro Reverendissimo Vescovo.
Trascorso un momento in assoluto silenzio, il parroco si piazzò davanti al quadro trasformato, e tenne una sorta di discorso all’immagine del martire pesto, borbottandolo così sottovoce che chi gli stava intorno non riuscì a sentirne nemmeno un frammento.
“Non me l’aspettavo da te Odoacrino – disse addolorato – buttarsi in una rissa!
E in quelle condizioni poi: come pensavi di non buscarle se da secoli e secoli non hai più gli occhi montati nel punto giusto! Che pensavi di fare, eh? Come contavi di schivare i cazzotti?
Passi per Sebastiano, da lui potevo anche attendermelo perché negli ultimi tempi mi pareva un po’ nervoso, affaticato, stanco di stare ancora legato a quel ciocco con tutte le frecce addosso.
Ma da te Odoacrino che hai sempre tenuto, (non fraintendermi, ti prego, lo dico senza offesa, senza davvero voler far battute) la testa a posto, non pensavo proprio che potessero arrivare delle belle novità come questa!”.
Amareggiato, tirò un lunghissimo sospiro e con passo incerto si avviò verso la sacrestia, seguito dagli sguardi interdetti di Tarallo e Consuelo che decisero allora di farsi un giro in paese, curiosando per sondare se ci fossero persone al corrente di quello che stava accadendo.
Il piccolo centro ormai era pienamente in funzione, e tanta era la gente in strada, ma i nostri due amici notarono ugualmente che accanto alle tradizionali attività mattutine, quelle istituzionali di scuole, municipio e uffici vari, e a quelle private dei tanti negozietti e bottegucce, si erano frammiste strane forme di piccola imprenditoria istantanea.
Si trattava di almeno un paio di negozi carichi di t shirt, tazze e portachiavi con impressa la figura di San Sebastiano, ridente e beato dopo la trasformazione del suo quadro, e di altre merci paradevozionali.
Fatto qualche passo, i due innamorati furono accostati da un tipo dall’aria compresa tra il losco e l’estatico, una specie di fusione tra il cattivissimo e mellifluo Stavrogin de “I demòni” di Dostoevskij ed il Senatore Pippon, il mistico e farfalluto esponente ultraconservatore del Partito Vichingo.
Quel tale, aprendo alla vista di Tarallo e Consuelo la falda del suo vasto pastrano, offrì loro, mettendoglieli letteralmente in mano, una serie di santini modificati: non si capiva bene se si trattasse di una collezione di figurine di un album che alludeva alle bizzarrie artistico-religiose del momento, o di un giochino di ruolo a base di santi martiri supereroi.
“Ciò San Lorenzo trattato uno a dieci ca se ne esce da ‘a graticola, ma teniamo anche l’outsidero, Sant’Asteio di Durazzo: magara è proprio lui ca se muoverà, e schiaccerà le vespe co ‘na paletta. Chissà…Giocate, giocate ca ve conviene, pecchè se azzeccate a botta….ve sistemate buono”
Così parlò l’individuo, lasciandoli a bocca aperta, indicando a Lallo un santino illustrato con la scena horror del martirio di un poveretto che si rivelò essere, per l’appunto, Sant’Asteio di Durazzo.
Le scritte che accompagnavano l’impressionante immaginetta, raccontavano che, per non aver abiurato alla propria fede, il santo fu legato ad una croce, cosparso di miele e abbandonato ad un sole feroce e alle punture, altrettanto feroci, degli insetti richiamati in quel terribile modo.
Tarallo, guardando la figurina, spalancò la bocca, allibito dalla rivelazione: quella era una cedolina ed il tizio che li aveva bloccati, in pratica, gestiva un’attività di scommesse, nemmeno troppo clandestine, che vertevano su quali sarebbero stati, in un futuro ordine cronologico, i successivi ritratti insofferenti alla disciplina pittorica:
Si scommetteva, insomma, su quelli che si sarebbero agitati per primi, che avrebbero fatto qualcosa di eclatante!
Schifati, lui e Consuelo piantarono in asso lo Stavrogin/Pippon, tornando alla “Pensione La Rossa”.
Un’occhiata al menù del pranzo, una ai tre tavoli della fatiscente sala da pranzo e a quello che vi gravava sopra, e quasi quasi ringraziarono la tirchieria di Frangiflutti che non gli aveva pagato la pensione completa.
Il tavolo piazzato più distante dall’ingresso della sala era sormontato da un televisore di marca sconosciuta, sintonizzato su un programma di televendite ed era occupato da un uomo anonimo, totalmente rapito dalle immagini che movimentavano lo schermo.
Un materasso di ghisa imbottito con foglie di vite, una sedia ergonomica con sagoma di cavalluccio al quale appendersi ( “Sfrenatevi Nonni!!”, strillava lo squallidissimo testimonial), più un annientatore di calli elettronico: nel programma che era in onda il tutto veniva proposto al prezzo speciale di 49,99 Euro, con ampia possibilità di rateazione.
L’uomo continuava a guardare fisso la tivvù e senza assolutamente rendersene conto, portava alla bocca, con cadenza tanto precisa da sembrare cronometrata, grandi forchettate di una pasta dall’aspetto indocile ed inquietante.
Sopito dalla voce mitragliante dell’imbonitore televisivo, il signore spento non ci badava, ma gli spaghetti di cui temerariamente stava cibandosi, parevano dotati di vita propria e si contorcevano come lombrichi, ed erano immersi in una salsa dall’aria salmastra, l’unica che Tarallo avesse mai visto di color turchese.
I restanti tavoli in quel momento erano vuoti e solo la patinella di briciole non ancora rimosse, che li ricopriva, dava l’impressione che essi avessero ospitato altre forme di vita masochista.
Consuelo e Tarallo, dopo essersi velocemente rinfrescati, uscirono come razzi dalla loro miseranda camera e, con piena soddisfazione, pranzarono da “Zia Sofronia” un allegro ristorante casereccio, specializzato nella preparazione dei “truccugli”.
Questo era il nome di una tipica pasta di Strappoli di Sotto, modellata per ore e ripiena di ricotta, di bove finemente tritato, di spezie segrete e di fagioli piccantissimi.
In paese tutti sapevano che i truccugli erano riservati a momenti particolari perchè procuravano una certa euforia pruriginosa, tant’è vero che non mancavano mai nei ricevimenti di nozze.
In quelle occasioni ci si rideva sotto i baffI, si dava di gomito agli sposi, e si facevano salaci allusioni alla loro micidiale funzione fertilizzante:
“Doppo i truccugli, i figli!” dice un famoso proverbio strappolese.
Tarallo e Consuelo li trovarono buonissimi e ne mangiarono un bel piattone a testa.
Li prese subito una immotivata smania di andarsene.
In preda ad una fretta che nemmeno loro seppero spiegare in un primo momento, vollero subito saldare il conto: non presero nemmeno il caffè.
Si trovarono a correre verso la loro orribile pensione, rapidi ed esaltati come se veleggiassero verso una delle stupefacenti stanze arabescate del Taj Mahal.
Per svariate ore nessuno li vide più circolare in paese.
Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.
Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti