La noia mi annoia

La noia mi annoia, nel senso che mi annoia tremendamente chi si annoia.
Io non posso proprio soffrire la gente noiosa, che per lo più è gente annoiata, sempre intenta ad ammazzare il tempo, e che neanche si rende conto di essere così spaventosamente noiosa, mentre si industria a disegnare giorni scoppiettanti e ameni, pieni di tutto, troppo, che passa in fretta e si sottrae.
La noia si infila negli interstizi, tra uno sbadiglio e l’altro; alcuni credono sia necessario combatterla e si affannano a riempire ogni spiraglio nel quale possa infilarsi uno sbadiglio.

Non devi rallentare, altrimenti la noia ti prende, e se ti prende potresti trovare pure il tempo per pensare, non sia mai ti facesse male; i filosofi, i pensatori, sono strane creature, non aggrediscono la realtà, mentre la realtà si morde e poi… fugge, se ti fermi a pensare, gli altri ti battono sul tempo. È meglio non perdere mai il ritmo.

Poi questa noia diventa virale, una pandemia di noia, e la monotonia del tempo che non scorre si inceppa nel vuoto, diventa un virus che si attiva, sconvolge, e infine costringe tutti a casa, circoscrive il nostro perimetro, forma l’ingorgo che obbliga a rallentare il tempo, quel tempo che noi abbiamo da rincorrere ovunque per fare in tempo a fare tutto, arrivare in ritardo ma soddisfatti di averci messo tutto in quel ritardo, di essere stati ovunque, onnipresenti, macinato chilometri di noia, tritata nel tritatutto. Ma tutto cosa? Cos’è questo tutto che non basta mai?
Riempire interstizi, ogni spazio minuto per arrivare a tempo di record, per essere immortalati dal selfie come “quelli che battono la noia”.
Che si fa domani? Si va un po’ qui un po’ là… si corre: lavoro scuola casa chiesa festicciole e party, non in pigiama, che se ci si addormenta il tempo fugge.

Tutta questa farneticazione mentre sono ferma in coda davanti al supermercato, siamo tanti in un parcheggio, a un metro di distanza uno dall’altro, siamo una catena di anelli, che improvvisamente non hanno più il problema di sconfiggere la noia, non si chiedono cosa sia, da quando il tempo col suo scorrimento è divenuto lento dietro questa fila… siamo vivi e in fila, finalmente consapevoli, fuori dall’illusione che nulla possa inceppare il ritmo della “normalità”; e ci vediamo per la prima volta, mentre correvamo non ci eravamo propriamente visti, eravamo sagome indistinte, e ora, a un metro di distanza, piacere di fare la vostra conoscenza.  

Il tempo si è fermato, non è più denaro, è il passo incerto che ci fa capire chi siamo, tanto fragili che se restiamo soli non andiamo; capiamo ora che ciascuno ha la storia dell’altro nelle proprie mani, da soli la storia si ferma. 
Forse il nemico è altrove, mai dove ce lo hanno indicato, non è nel tempo né nella noia che ci prende perché niente più ci sorprende, non nel trovare un nemico a ogni costo, costi quel che costi. Spesso il nostro nemico siamo noi stessi, quando vogliamo sensazioni e sensazionalismi, afflitti dalla mania di superarci e di piacerci, da questa “onnipotenza” che viaggia nella rete, ma non imbriglia che l’effimero.
Siamo noi quando non ci riconosciamo, non ci sentiamo insieme, ma in corsa uno contro l’altro, senza sapere neanche verso dove, senza capire che siamo padroni di nulla.
Oggi siamo stati sorpresi, appesi agli attimi che non scorrono più via.
Non esiste il mito della velocità che copre ogni distanza, è la velocità che ci si ritorce contro, eppure ancora possiamo dirci: “fermati e pensa… un gesto conta”. Siamo in quel gesto, tutti legati al gesto dell’altro.
E…

Dobbiamo scoprirci diversi da come ci siamo pensati, sentirci finalmente fragili, per diventare insieme migliori; non forti di illusioni, ma di consapevolezza.

Fino a poco tempo fa mi sono nascosta dietro l’eteronimo di Nota Stonata, una introversa creatura nata in una piccola isola non segnata sulle carte geografiche che per una certa parte mi somiglia.
Sin da bambina si era dedicata alla collezione di messaggi in bottiglia che rinveniva sulla spiaggia dopo le mareggiate, molti dei quali contenevano proprio lettere d’amore disperate, confessioni appassionate o evocazioni visionarie.
Oggi torno a riprendere la parte di me che mancava, non per negazione o per bisogno di celarla, un po’ era per gioco un po’ perché a volte viene più facile non essere completamente sé o scegliere di sé quella parte che si vuole, alla bisogna.
Ci sono amici che hanno compreso questa scelta, chiamandola col nome proprio, una scelta identitaria, e io in fin dei conti ho deciso: mi tengo la scomodità di me e la nota stonata che sono, comunque, non si scappa, tentando di intonarmi almeno attraverso le parole che a volte mi vengono congeniali, e altre invece stanno pure strette, si indossano a fatica.
Nasco poeta, o forse no, non l’ho mai capito davvero, proseguo inventrice di mondi, ora invento sogni, come ebbe a dire qualcuno di più grande, ma a volte dentro ci sono verità; innegabilmente potranno corrispondervi o non corrispondervi affatto, ma si scrive per scrivere… e io scrivo, bene, male…
… forse.
Francesca Suale

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