Mastro Pippa, debilitato e ridotto alla vitalità di una vongola dalla sua ricaduta nell’abisso dell’autoerotismo, causata dalla sua esposizione alle grazie antiquarie della Signora Cleofe, venne rifocillato con tanto di quel cioccolato da permettergli non solo di riaversi sul momento, ma anche di veder schizzare su Marte il suo tasso di glicemia.
Sottoposto ad una seduta straordinaria di terapia psicoanalitica col Professor Cervellenstein, ore e ore di trattamento, si riprese in pochi giorni, al termine dei quali, si gettò verso la sala macchine con uno stato d’animo che sfiorava il lussurioso: il transfert di ritorno era perfettamente riuscito.
I motori delle barche riaccolsero volentieri le attenzioni della sua libido malconcia, ma, a scanso di tentazioni, per i giorni seguenti il marinaio se ne stette confinato nei suoi angusti locali in compagnia di Marzio Taruffi, col quale si aprì, raccontandogli per intero la storia della sua vita, incluse le sue fantasie ricorrenti su Nilla Pizzi.
Il cronista, gentile e sudicione, veniva ben tollerato in quell’ambiente raccolto ed operoso, perché il suo aroma, generalmente letale, in quella sede veniva perlomeno pareggiato, se non addirittura vinto, dall’odore forte dei metalli caldi, degli oli lubrificanti e dei liquidi di raffreddamento.
Dopo la ricomparsa ed il veloce restauro psichico di Mastro Pippa, tutta la truppa riprese il suo gradevole tran tran vacanziero.
Ogni volta che il Professore aveva voglia di fare una grigliata di mare a bordo, chiedeva l’assistenza di Consuelo: a lei bastava piegarsi col viso appena un po’ oltre il parapetto di prua, che la consueta pioggia di pesci in estasi, saltava a bordo felice e abbondante.
In quei giorni Omar Tressette, che costituiva sempre uno spettacolo rispettabile nel suo costume da bagno d’epoca, stava a lungo al telefono col nipote Lisippo, il grande imbalsamatore dei piccoli esseri.
L’irascibile ometto, che era pur sempre, seppure a modo suo, un nonno affettuoso, si era inorgoglito per il successo professionale del ragazzo, che gli aveva annunciato di aver ricevuto un importante premio di settore, vinto perché, come recitava la motivazione, “Lisippo Tressette per primo ha imbalsamato addirittura l’intenzione di un armadillo di mangiarsi una salamandra”.
Nonno Omar, nonostante queste soddisfazioni, si mostrava preoccupato: cercava risposte ad un suo dubbio lacerante.
Sul Fogliaccio aveva letto per giorni che un misterioso malvivente, in quel periodo, si materializzava tardi di notte nelle vie della movida cittadina e con una bomboletta di vernice spray rossa imbrattava i calzoncini corti o le canottiere degli ultimi frequentatori di birrerie, siglandoli con due lettere: L T, il cui significato era allo studio degli inquirenti.
Tressette, dopo il lavoro di Cervellenstein su di lui, era ormai conscio di aver allevato il ragazzo un po’ bizzarramente, trasmettendogli un codice di valori che, soprattutto in campo estetico, era fondato su alcuni assiomi di granito: pochi, semplici ma inamovibili.
In pratica gli aveva trasmesso tutte le sue intolleranze.
Già da piccolo, Lisippo andava in smanie, scoppiava a piangere o addirittura ringhiava di brutto, se vedeva passare qualcuno che calzava gli antiestetici sandaloni teutonici, celebri, a detta di chi aveva il fegato di indossarli, per la loro comodità e resistenza.
La stessa reazione gliela strappavano i tizi che d’estate vanno in giro in ciabatte, canottiera (qualsiasi canottiera) e calzoncini corti, ovvero una gran parte della fauna maschile italica.
Il bimbo faceva la linguaccia con aria truce se qualcuno di quegli sciattoni lo fissava sorridendo.
Omar sorrideva orgoglioso: il bambino veniva su bene!
C’era stato però, poco tempo prima, l’episodio del bucatore seriale che di notte tranciava le gomme delle Smart a toglierli dal volto quel sorriso compiaciuto: Lisippo era il colpevole e lui aveva dovuto pagare lautamente un mitomane perché si assumesse la responsabilità di quei raids sconquassagomme.
Ora temeva fortemente che le iniziali che il vendicatore estetico lasciava sui laidi panni dei verniciati, fossero una rivendicazione esplicita dell’atto: LT ovvero Lisippo Tressette!
Il Fogliaccio ogni giorno dava un resoconto dell’inchiesta in corso, che, già in partenza, vantava una novità assoluta.
Lester Pappatacio era un criminologo.
La questura di …. , sedotta da un genere di figura che molte serie televisive avevano reso quasi incontestabile, lo aveva incaricato di collaborare alle indagini come consulente.
Dopo alcuni giorni e svariati beveroni dal tasso alcolico quasi incalcolabile, Pappatacio aveva diffuso un profilo preciso del presunto colpevole, consegnandolo anche alla stampa, senza consultarsi con gli inquirenti.
Il risultato delle sue ricerche aveva destato sorpresa e acceso la gastrite del questore come una pira sotto un eretico: secondo il profiler, infatti, il verniciatore solitario era quasi certamente un maschio, bianco, dall’età variabile dai sette agli ottantuno anni, che nei giorni prefestivi si vestiva come Gloria Swanson nell’ultima scena di “Viale del tramonto”.
Il profiler ipotizzava anche che il soggetto avesse sempre detestato le caldarroste e che da quindici giorni avesse iniziato una dieta esagerata, da tredici calorie al giorno.
Il profiler vedeva in questa sfida azzardata la causa scatenante degli attacchi: la vernice rossa, secondo il criminologo Pappatacio, simboleggiava il sugo, condimento amatissimo che il delinquente maniaco si era negato, il cui consumo rinfacciava così, platealmente, a dei tizi che lui riteneva degli abboffatori seriali.
Le iniziali L e T, secondo lo stesso profilo, stavano per lasagne e tonno, o forse tartufo, cibi che l’SI, il sospetto ignoto, si era proibito, squilibrando una psiche già accostabile a quella dello smergo, l’uccelletto pazzo.
Leggendo il Fogliaccio, che con le corrispondenze del redattore Sgargarozzi, spostato da Frangiflutti alla nera, seguiva la vicenda minuto per minuto, Omar Tressette aveva respirato di sollievo: l’assunzione di quell’eminente cretino gli avrebbe concesso un bel po’ di tempo per capire se dietro quelle imprese ci fosse Lisippo.
Così, ogni volta che sentiva il nipote per telefono, Omar Tressette, con lui alludeva velatamente a quell’affare:
”Porcaccio il merengue, Lisippo, se sei stato tu a verniciare come si dovrebbe quei bruti devi dirmelo, e subito! Se davvero fossi tu l’esteta solitario, devi smetterla ora, immediatamente, finché siamo in tempo a mettere tutto a tacere: ti è chiaro?”.
Lisippo però aveva sempre negato ogni responsabilità a riguardo.
Quel tipo, affermò, chiunque fosse, aveva la sua gratitudine: togliere dalla vista delle anime sensibili quei ciavattari calzoncinati e canottieruti, era un gesto di sincera pietà per il genere umano, già provato da svariate catastrofi e calamità.
“Alla pandemia estetica nessuno pensa nonno, lo sai bene tu, sempre angustiato per via di quell’insistere della gente a mettersi ai piedi gli orrendi sandalacci alemanni.
Tutto è perso, tanto che oggi sembra normale, quasi a chiunque, che una dodicenne, magari obesa e cellulitica, vesta come una squillo, con fuseaux trasparenti e le mutande e le cicce già bucherellate in bella vista! E’ un’emergenza planetaria che non è stata mai affrontata!
Ormai, nel mondo solo gli Asaro, i cosiddetti “Uomini di fango”, dei Papua della Nuova Guinea, non seguono queste mode orripilanti: preferiscono infatti coprirsi di fango per apparire come potenti spiriti”.
Per un attimo Tressette si chiese se quel Taruffi, sempre così incrostato di sporco, non fosse un Asaro, poi tornò a riflettere.
Nonostante l’apprezzamento per quei raids dunque, il nipote negava tutto, affermando anche di avere un alibi: nelle notti delle incursioni lui frequentava un Corso di Cultura Vampira, nell’ambito del quale si portavano gli iscritti a conoscere meglio i morti viventi, il loro gergo, il loro ridotto orario di lavoro quotidiano e il loro mondo appartato, curando così il ristabilimento della verità antropologica su quella gente schiva.
Data la natura particolare dei docenti, il corso si svolgeva di notte, tra le due e le cinque.
Pur perplesso, il povero Omar continuava a stare sulle spine.
Tarallo invece, stava trascorrendo dei giorni sereni con la sua Consuelo, tra lunghe concessioni all’amore e belle nuotate, diurne e anche notturne, tanto lei illuminava tutto a giorno.
Non poteva tuttavia impedirsi di seguire anche lui le vicende dell’Imbrattatore Solitario.
Una mattina, anzi, era stato chiamato da un eccitatissimo Lello Rapallo:
“Con questa storia del verniciatore di canottiere, Frangiflutti si sta giocando la testa – strillò soddisfatto – Ah ah ah: quel viscido platelminta ha sposato in toto la linea della questura, quella cazzata assurda del vendicatore a dieta stretta, ipotizzata da quell’imbecille del criminologo Pappatacio! Lui e Levalorto si consumano le dita e i pochi grammi di cervello in articoli ed editoriali spericolati: Lester Pappatacio secondo loro è un incrocio tra Hercule Poirot, Sam Spade e l’agente Hotchner di “Criminal minds”! Si sono esposti così perché Monsignor Ugo Salamandra, un religioso in apparenza legatissimo alla Proprietà, gli ha raccomandato di buttarla tutta su ‘sta storia di gastronomia, di privazionie e di invidie, capisci? Mi ha telefonato Monsignor Missitalia sulla nostra linea riservata: era gongolante: è lui, infatti, che per fregarli, si è inventato la figura di Monsignor Salamandra! In realtà, per via di alcuni suoi contatti con l’Opus Dei, il nostro monsignore sa per certo che quella pista è completamente sbagliata. Quando la verità verrà alla luce, quel servo arrogante che è Frangiflutti, affonderà insieme col questore e con quel cretino di Lester Pappatacio. Verrà la riscossa Lallo: ci metteremo lui e i suoi lecchini nelle scrivanie vicine ai cessi!”.
Un po’ smarrito, Tarallo non diede troppo credito a quella storia e tornò subito a godere l’incanto delle sue belle ferie, trascorse con gli amici e con la sua impareggiabile donna, la più bella e cara del mondo.
Di sera mangiavano tutti insieme: Cleofe finalmente si rivestiva, Cervellenstein, adorato da Pandora, teneva banco psicanalizzando anche le meduse, e qualcuno cantava sempre i successi dei Dik Dik: che volere di più da una vacanza?
Abdhulafiah, su insistenza di Trudy, aveva incantato tutti raccontando le storie di Tommy Calzetta e Al Catone e quella della dinastia dei francesi Brioches, caciari, produttori di formaggi assai aggressivi.
Tutto scorreva, proprio come sosteneva Eraclito, e quella vacanza riusciva a rendere vita e smalto ai naviganti, che si erano persi nelle spire dello stress.
Verso metà mattinata di uno di quei giorni felici, il cellulare di Tarallo squillò.
Il giornalista pensò che si trattasse ancora una volta di Lello Rapallo e che l’ex condirettore lo volesse aggiornare sulle sue ultime trame, ma, appena ebbe risposto, con grande sorpresa, sentì parlare la voce un po’ tesa di Donaldo Ducco, il sacrestano della chiesa di Santa Abbondanziana Martire, a Strappoli di Sotto, che gli chiedeva:
“Scusami tanto Lallo per la chiamata improvvisa, ti parrà forse un po’ strano quel che ho da chiederti, ma voi per caso avete notizie del martire Proto? Noo? Mannaggia, ci avevo sperato! Tientelo per te, ma il santo ha fatto perdere le sue tracce: ha lasciato nella tela il solo San Giacinto e si è volatilizzato. Non può essere scappato, come l’altra volta, per usare la poltrona magica, perché la tengo io sotto chiave e non vi si può accedere, e siamo, quindi, completamente all’oscuro dei suoi moventi e dei possibili movimenti. Che accidenti può fare in giro per il mondo il martire Proto? E dove diavolo può andarsi a cacciare? Non è che tu e la tua squadra ci dareste una mano?”
Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.
Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti