Strange Fruit 

“Gli alberi del sud hanno uno strano frutto,
Sangue sulle foglie e sangue alle radici,

Corpi neri oscillano nella brezza del sud,
Uno strano frutto appeso dagli alberi di pioppo.
Scena pastorale del prode sud,
Gli occhi sporgenti e le bocche contorte,
Profumo di magnolia, dolce e fresco,
Nell’improvviso odore di carne che brucia.
Ecco il frutto che i corvi beccano,
Che la pioggia coglie, che il vento succhia,
Che il sole fa marcire, che gli alberi fanno cadere,
Ecco un raccolto strano e amaro”.

La guerra di secessione non aveva cambiato di molto la situazione dei neri, soprattutto nel profondo sud dove le angherie e i soprusi e perfino i linciaggi non facevano nemmeno più notizia.

La Corte Suprema degli Stati Uniti aveva ammesso la segregazione razziale in base al principio “Separati, ma uguali”, ma nella realtà delle cose quasi mai il “ma uguali” veniva accettato e praticato.

Secondo una stima del Tuskegee Institute, negli anni fra il 1889 e il 1940 vennero linciate complessivamente 3.833 persone; l’80% delle vittime erano afroamericani. Spesso non era neppure necessario un crimine commesso dalla vittima per giustificare il delitto: come nel caso di Emmett Till, accadeva anche che l’unica motivazione adottata fosse di questo tenore: “Così i negri non diventano troppo spavaldi’’.

Una pagina del “Chicago Defender” con un articolo sul terribile linciaggio di Emmett Till del 10 Settembre 1955

“Strange Fruit” era, ed è tuttora, una canzone durissima e coraggiosa: allora le tragedie del razzismo e i crimini del Ku Klux Klan non erano i migliori temi da mettere in musica. Questo, al contrario, era un brano di denuncia sociale, scritto quando le battaglie per i diritti civili non erano neanche all’orizzonte.

Nessuna casa discografica, infatti, all’inizio accettò di pubblicarlo. Ma la straordinaria cantante Billie Holiday credeva moltissimo in quel pezzo e continuava comunque a cantarlo.

Così, lentamente, il brano finì per sconfiggere censure e paure.

Billie Holiday

La prima incisione di “Strange fruit” da parte della Holiday ebbe luogo a New York il 21 marzo 1939 grazie alla Commodore records, una piccola etichetta discografica.

Abel Meeropol

L’autore della canzone era Abel Meeropol, un insegnante ebreo-russo di New York che nel 1953 adottò i figli di Ethel e Julius Rosenberg, dopo che i due coniugi accusati di essere spie dell’Unione Sovietica furono giustiziati.
Meeropol scrisse “Strange Fruit” dopo aver visto una fotografia del linciaggio, avvenuto in un paese dell’Indiana, di Thomas Shipp ed Abraham Smith, due neri che lavoravano nelle piantagioni.
Quella visione lo scosse a lungo, ne aveva ricavato una commozione talmente forte che non potè fare a meno di ripensarci per giorni. Sulla spinta di questi sentimenti scrisse dapprima la poesia “Bitter Fruit” (Frutto amaro) con lo pseudonimo di Lewis Allan, che riuniva i nomi dei suoi figli morti in tenera età, e la pubblicò sulla rivista New York Teacher.
Più tardi mise lui stesso il testo in musica, componendo la canzone di cui si parla. Il brano fu eseguito per la prima volta da sua moglie durante una riunione del sindacato degli insegnanti.
Barney Josephson, il proprietario del Cafe Society che era stato il primo locale pubblico ad aver eliminato la segregazione razziale a New York, l’ascoltò e fu lui a far incontrare Meeropol con Billie Holiday.

La cantante in quei giorni si esibiva appunto al Cafe Society. Quel posto era speciale. Oltre al fatto che la gente di colore poteva entrarvi dall’entrata principale, vi si potevano incontrare intellettuali e musicisti.

Era il locale dove si vedeva Langston Hughes seduto allo stesso tavolo di Kurt Weill e Lillian Hellman.

Interno del Cafe Society durante un’esibizione

Il giornalista David Margolick  così descriveva quel posto: “L’orientamento politico del locale si poteva definire a sinistra del New Deal. Quando Eleanor Roosevelt fece quella che forse fu la sua unica sortita in un nightclub, andò al Cafe Society”.

L’entrata del Cafe Society a New York

Nel 1971 Meeropol, nel corso di un intervista, disse:

“Ho scritto Strange Fruit perché odio il linciaggio e odio l’ingiustizia e odio le persone che la perpetuano”.

La canzone ha rappresentato un momento importante, se non fondamentale, perchè combinava elementi di protesta e di resistenza ponendoli al centro della cultura musicale dei neri, e avviando un processo di riappropriazione delle origini africane che si rese manifesto anni dopo col be bop e successivamente, negli anni ’60, col free jazz.

Pochi si sarebbero azzardati a cantare Strange Fruit prima che la Holiday facendola propria la trasformasse in una palese denuncia.
Charles Mingus, il grande jazzista, a tale proposito disse:

“Cambiò la mia idea su come una canzone possa raccontare una storia.
Quella canzone è lì per dire ai bianchi cosa fanno di sbagliato riguardo la razza”.

All’inizio, Billie Holiday non era del tutto convinta di inserire Strange Fruit nel suo repertorio, la canzone era piuttosto distante da quanto aveva fino ad allora cantato, o forse, chissà, temeva possibili conseguenze. Alla fine vinse il coraggio e il brano entrò nella Storia.

Billie Holiday col suo cane Mister fotografata a New York nel 1947 da William P. Gottlieb

La prima esecuzione al Café Society venne accolta inizialmente da un grande silenzio, da secondi di sospensione e di sorpresa.
Poi iniziò l’applauso, prima esitante, che crebbe fino a diventare fragoroso.

Disse un testimone:  “L’assolo di tromba iniziale è come un urlo disperato che gela il sangue, mentre il resto, scandito da accordi secchi del piano, fa pensare a una dolorosa veglia funebre… E poi c’è il colpo secco della cassa della batteria che chiude il brano come un colpo di scure…’’.

Cantata da Billie Holiday la canzone acquistava un’immediatezza e un’urgenza inaudite. Come afferma uno studioso della cantante:
“Ascoltando molte delle varie cover della canzone, si ha spesso l’impressione di ascoltare una bella versione di una stupenda canzone; ascoltando Billie, si ha l’impressione di stare esattamente ai piedi dell’albero”.

“Strange Fruit” era l’ultima canzone nello spettacolo di Billie Holiday al Café Society. I camerieri smettevano di servire ai tavoli, tutte le luci, eccetto un faretto puntato sulla cantante, venivano spente, e lei stessa teneva gli occhi chiusi durante l’introduzione, come se fosse stata in preghiera. Subito dopo l’esibizione lasciava il palcoscenico, e generalmente a questo seguiva silenzio, senza nessun’altra musica, chiaro segnale che lo spettacolo era terminato.

Nella sua stupenda autobiografia “Lady sings the blues” la cantante scrisse:

“Questa canzone aiuta a distinguere le persone a posto dagli idioti e dai cretini”.

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

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