Il falsario Afid era un uomo di cuore: non si peritava di spacciare per un affarone le azioni della “Flying Mortadella’s Corporation Group”, fresche della tipografia del suo amico Bazzani, ma le piazzava esclusivamente a quel tipo di balordi che, fatti i soldi con attività inquinate da collusioni con malaffare e brutta politica, si davano pure un tono da imprenditori di razza, in perenne smania di ulteriore arricchimento.
Asso del travestimento, era stato capace di presentarsi negli uffici amministrativi del Tribunale di Vattelappesca spacciandosi per il Prof. Augusto Bronazzi Delle Case, docente di Economia Aziendale, specializzato in fiscalità delle imprese turche di segheria, nominato perito dal giudice nella causa Taglialegno-Segantini contro Truciolati Anatolici Spa, e di ritirare la sua pingue parcella cinque minuti prima della comparsa del vero professionista.
Da parecchi mesi ormai, Afid girava i paesini sparsi tra le varie Italie.
In quelli più piccoli si presentava sotto le mentite spoglie del Dott. Trullo Bismuti e vendeva nelle piazze dei test per l’accertamento della positività al covid 19 fatti in casa, esami rapidi in grado, secondo quanto affermava, di scoprire non solo la presenza del virus nell’organismo, ma anche eventuali tracce di avvelenamento da FdI.
Spiegava alla gente, terrorizzandola, che il velenosissimo FdI emanava radiazioni altrettanto perniciose del bitorzoluto fetente, raggi che causavano negli infelici che vi erano stati esposti, una riduzione della statura fisica accompagnata da una incoercibile tendenza al latrato.
Nelle città di provincia Afid prendeva invece in affitto degli eleganti studi professionali in centro, piazzando all’esterno dei loro portoni una targa di metallo dorato sufficientemente vistosa:
Professor Gismondo Spumabianca, Virologo: Si eseguono tamponi su richiesta”.
In quattro e quattr’otto lo studio gli si riempiva di una folla di persone che lui affidava al malgarbo di un soggetto nerboruto, assoldato sul posto, una specie di Lotar addetto a far rispettare fila e distanziamento.
Dopo tre o quattro mesi, nonostante avesse fatto un cospicuo investimento in affitti vari, cotton fiok, sciroppo di ribes nel quale imbeverli, e negli smilzi stipendi che dava ai buttafuori nerboruti, Afid si era ben bene riempito le tasche, realizzando guadagni più che soddisfacenti.
Per non correre il rischio di sbagliare diagnosi, lasciando in giro dei positivi convinti di non esserlo, Afid aveva comunque allertato tutti, ma proprio tutti, consegnando loro referti di positività che li costringevano in ogni caso alla quarantena, sempre.
Aveva pure elaborato una scala di risposte terapeutiche a diversa gradazione di gravità, basate unicamente sulla maggiore o minore simpatia che i suoi “pazienti” gli ispiravano, rifilando a quelli decisamente antipatici prescrizioni piuttosto pesantucce .
Primo step: soggetti asintomatici moderatamente positivi.
A questo tipo di pazienti, quelli simpaticissimi, veniva raccomandato l’isolamento per due settimane in una stanza munita di tutti i comfort possibili: tv, bagno privato, sauna, biblioteca di classici e stereo con scelta di cd di rock classico, roba tipo Beatles, The Who, Procol Harum ecc ecc. Come nell’avanzatissimo stabilimento penale di Sbrindellano a Mare, i pasti sarebbero stati preparati dai migliori chef, quelli pluristellati e possibilmente in possesso di una dizione perfetta. Sempre prendendo a modello quel magnifico carcere, se si era sposati con donne belle e intelligenti o con uomini dello stesso valore, venivano permesse tre visite coniugali nei quindici giorni, oppure quelle di avvenenti fidanzate.
Era prescritto l’assoluto distanziamento di suocere, creditori o di altre entità moleste.
Secondo step: soggetti discretamente simpatici ma niente di che, asintomatici con positività a discreta carica virale.
Alla condizione isolamento di due settimane, Afid, a questi positivi toglieva il benefit della sauna e sostituiva una decina di giornaletti porno degli anni Sessanta alla biblioteca di classici. La scelta dei cd prevedeva inoltre la comparsa di titoli dei Rolling Stones e di Tom Jones.
Si raccomandava che i pasti fossero curati dalle cuoche di ottimi ristoranti caserecci il cui nome fosse preceduto dalla confidenziale abbreviazione “sora”, come ad esempio Sora Eufemia. Veniva mantenuta la prescrizione di distanziamento assoluto delle suocere, ma non quella di creditori di lungo corso, quelli cioè che rincorrendo pagamenti da molti anni, avevano sviluppato malattie nervose o dermatiti d’assalto.
Le visite coniugali scendevano a due, sempre che si trattasse di compagne belle e di buon carattere o di mariti di pari requisiti.
Terzo step: soggetti a bassa antipatia o incolori, con positività ballerina, a picchi improvvisi di viralità.
L’isolamento veniva prolungato di un giorno, giorno da dedicare alla lettura di pagine scelte dall’opera omnia di Federico Moccia.
La dotazione di comfort si faceva più spartana: bagno con wc, lavandino e bidet; scelta di libri ridotta a tre o quattro di argomento strettamente biografico ( “Vita, opere e solarium di Carlo Conti” o “Gli anni ruggenti di Lando Buzzanca”, ad esempio) e selezione di cd comprendente le compilation dei festival di Sanremo degli ultimi anni o titoli di Biagio Antonacci.
I pasti sarebbero stati preparati da cuochi militari, come ad esempio il famigerato Maresciallo Uallera, del Terzo Battaglione Assaltatori di Brioche di Bergamo Bassa, capaci di produrre solo una cucina di discreta grassezza.
Le visite coniugali avrebbero dovuto essere annullate nel caso che questo tipo di positivi avessero mogli o mariti belli e intelligenti.
Nel caso contrario, quello cioè di unioni con soggetti brutti, stupidi o molesti, l’isolamento prevedeva eccezioni di almeno una settimana, permettendone non solo la visita, ma prescrivendone la permanenza obbligatoria in quei sette giorni.
Quarto step: soggetti fortemente antipatici con positività a decisa carica virale.
Venti giorni di isolamento in una specie di bicocca erano la prima misura caldeggiata per questi soggetti dal sedicente Professor Spumabianca.
Niente bagno né doccia: i comfort del luogo dovevano essere ridotti ad un bugliolo usato, proveniente dal quarto braccio dell’antico carcere di Santubossulu, l’infernale settore affollato un tempo dai colpevoli di reati contro la pubblica decenza.
Il bugliolo era in metallo rugginoso, perfetto da usare per necessità fisiologiche di tipo espiatorio.
I pasti sarebbero stati limitati ad una sola pietanza, un po’ esotica ma amatissima in Oriente: il famoso pene di yak, meglio noto anche come “Il Dragone nella Fiamma del Desiderio”, cucinato per l’occasione dal cuoco Mai Piùng, cinese, da anni trapiantato in Europa.
Una cassa di gassose di marca “Fritzer”, sarebbe stata utilizzata in sostituzione dell’acqua come liquido per lavarsi. L’isolamento di questi positivi sarebbe peraltro stato tutt’altro che assoluto, visto che si prevedeva che questi contagiati dovessero forzatamente godere della compagnia di un certo numero di persone, quali ad esempio: A) mogli, mariti e suoceri purchè di brutto carattere; B) tre o quattro minorenni problematici ed un paio di adolescenti di entrambi i sessi con una brufolosi in stadio avanzato; C) i loro datori di lavoro, trascinati contro la loro volontà e maleducatamente, nel luogo di detenz…. pardon, di isolamento, dei loro dipendenti; D) un barzellettiere loquacissimo, ma dalla scarsissima verve e, infine, E) il principale dei loro creditori, persona nota per avere un pessimo carattere, pessimi modi e forti amicizie nel mondo dei serial killers.
Il televisore sarebbe stato sintonizzato su un solo programma: “Il meglio di Uomini e Donne”, con Maria De Filippi, e la selezione letteraria sarebbe stata limitata alle sole opere di Alessandro Baricco.
Per quanto riguardava la musica, il falso virologo raccomandava che non mancassero per nessun motivo grandi quantità di cd di Jovanotti, Vasco Rossi e Fedez. Un inferno, insomma.
Per mesi le cose ad Afid erano andate alla grande: i suoi erano tamponi rapidi quanto costosi, ma il falso virologo Gismondo Spumabianca si faceva pagar bene anche le visite di controllo successive ai periodi di quarantena.
La disgrazia, ovvero la faccenda che mise fine a quel periodo di vacche grasse, accadde nella centralissima Via Righeira, proprio nella città in cui abitavano Lallo Tarallo e la maggior parte dei suoi amici, esclusi solo lo stesso Afid e Abdhulafiah, che stavano in due appartamenti sullo stesso pianerottolo in un palazzo situato in uno dei borghetti della periferia cittadina.
Il falsario era sceso dallo studio che aveva preso in affitto, col pretesto di una commissione, pretesto usato per liberarsi finalmente, dopo la visita di controllo, dalla compagnia di uno dei suoi “pazienti” ex positivi del quarto step.
Questi, Anatolio Guardalà, un tizio talmente antipatico da stare sui coglioni anche a sua madre, era un uomo uscito malissimo dal suo periodo di quarantena.
Soprattutto i venti giorni con la colonna sonora di Jovanotti, Rossi e Fedez, avevano minato seriamente il suo equilibrio psichico, oltre ad avergli diroccato per sempre le orecchie.
Mentre cercava in tutti i modi di congedarsi dal tetro Guardalà, Afid, che dandogli le spalle non lo aveva visto arrivare, era stato travolto dall’abbraccio inaspettato del cronista puzzolente Marzio Taruffi, che senza minimamente far caso al fatto che il suo amico fosse accompagnato, gli esplose contro tutta la sua cordialità:
“AFIIDD! VECCHIO IMPOSTORE, COME TE LA PASSI? HO SENTITO DA ABDHULAFIAH DELLA TUA TRUFFA DEI TAMPONI: E’ MERAVIGLIOOSAA! UN CAPOLAVOROO! MA DOVE LI TROVI TUTTI QUEI COGLIONI AMICO MIOOO??”
…………………..
Ora era Afid ad essere costretto all’isolamento.
Si trovava a ……….. , una lontana località montana tenuta segreta a tutti, nella quale era stato spedito da Lallo per proteggerlo dopo l’incidente con Guardalà.
Il suo amico giornalista, per via di una sua vecchia inchiesta, conosceva parecchi degli abitanti del posto, della brava gente.
Per un tragico contrappasso, trovandosi un un paese di montagnardi, silenziosi al limite del mutismo, Afid il falsario si ritrovava ora affittuario di una camera in casa dell’unico barzellettiere del luogo, una persona dalla furiosa, inarrestabile loquacità…
Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.
Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti