Gli automobilisti che parcheggiano nelle apposite aree dei supermercati, sempre così tumultuose, vi giungono in preda a diversissimi stati d’animo. Portano in giro storie a volte simili a volte singolari, ed è diverso l’approccio che hanno col tempio del consumo quotidiano.
Alcuni sono inspiegabilmente felici, magari accompagnano le loro donne in un rito che sentono intimo come un bacio, altri si dilungano con piacere a sfilare tra le corsie, spalancandosi alle profferte amorose di tanti prodotti, lasciandosi stupire da qualche novità a prezzo imperdibile.
Alcuni genitori di bambini orfani si perdono nella luce abbacinante degli scaffali e lasciano imperversare in ogni corsia la loro vivacissima prole, tramutando gli altri clienti in fervidi ammiratori di Erode.
Altri soggetti, segnati dal luttuoso marchio della fretta, sono i clienti peggiori, quelli più sfortunati, dei grandi patitori.
Respirano tutti male, stretti probabilmente, fino a soffocare, da orari di lavoro da robot, così ciascuno di essi, rimedia col coltello tra i denti una minuscola porzione di tempo per provvedere alle proprie necessità di brevissimo termine.
Sono i più pronti nell’attaccar briga per i posti auto: chiunque tra loro sarebbe disposto a mordere i malleoli del nemico competitore e gustarne il sangue.
Se tuttavia trova un giorno felice in cui il parcheggio è sgombro, lasciata l’auto nel primo posto che gli capita, il cliente senza tempo vola verso l’ingresso del supermercato come un centometrista alla finale olimpica.
Ansima, accelera, si infuoca d’impazienza.
La cosa che lo tradisce come malato d’ansia è che si comporta come un disperato anche se sa già cosa cercare: tutti i giorni, infatti, va invariabilmente a prendere gli stessi prodotti.
Sono sempre quelli perché i suoi ritmi di vita forsennati gli hanno bloccato il formarsi del gusto, incatenandolo a due o tre cose al massimo: le scatolette di tonno, la pasta pronta surgelata, nelle sue svariate incarnazioni, e le buste di verdura già tagliata e lavata.
Nelle corsie, quindi, lui va a memoria, troverebbe quel che gli serve anche se fosse cieco, eppure corre come un indemoniato, afferra il malloppo, e in pochi minuti è già alla cassa, quella prescelta perché è sgombra mentre tutte le altre sono intasatissime, assaltate da un battaglione di umanità che se ne sta rassegnata in fila, gente che si intuisce piegata dalla vita.
Di solito dopo venti secondi il poveraccio si rende conto perfettamente del perché, rispetto alle altre, in quella cassa non si è formata la fila: si deve tutto ad una cassiera, celeberrima per avere i bioritmi di un’alga.
In genere è la decana del supermercato, quella nota a tutti per la sua atroce lentezza, a tutti tranne che a lui, che nella sua eterna fretta non alza mai la testa ad osservare il mondo.
In quella cassa, più che un essere umano alligna un’escrezione muffosa, un bradipo umano nel quale, per pura fortuna, non è mai incappato in precedenza.
“Marisa”, le vede scritto nel tesserino appuntato sull’uniforme rossa, comune a tutti i dipendenti.
Di lei, della sua vita, delle sue parentele, dei suoi gusti, se volesse potrebbe sapere molto di più: potrebbe scoprire ogni particolare della sua esistenza mentre la osserva operare con l’alacrità di un cadavere, visto il tempo che ci mette a svolgere il suo lavoro, sempre uguale.
Il tale, roso dall’impazienza, in pochi minuti si trasfigura: quasi salta, trema di spasmi come un febbricitante, suda e si dispera pensando al ritardo che sta accumulando e alle sue conseguenze.
Atterrito, vede Marisa osservare uno per uno, i pochi prodotti che lui ha scelto, proprio come faremmo noi se ci dessero in mano una pietra lunare o una tibia di mammuth, strizzare gli occhi esaminandoli, e rigirarli dubbiosa per trovargli una collocazione nella grande armonia del cosmo e, solo accessoriamente, per individuarne i codici a barre prima di scaricarli, finalmente, con la pistola scanner.
Ormai dalla bocca del poveretto esce una bassa litania sbrodolata, un trito di insulti e proteste, mentre va un po’ fuori di testa, folgorato da fantasie fulminee: pensa, ad esempio, a come sarebbe bello essere Tex Willer e sfidarla a duello: lui con le colt, lei con le pistole a scanner.
Sa bene che sarebbe il più lesto in quel caso.
Di questi tipi ai quali l’assenza di tempo toglie ossigeno, ne circolavano molti nel parcheggio del mostruoso supermercato Carreconad, ma quella specifica area era frequentata anche da un altro e insolito, genere di persone: i clienti di Abdhulafiah, quelli cioè che vi si recavano espressamente per consultare il miracoloso consulente ambulante, allo scopo di sfruttarne la incredibile conoscenza dei mercati finanziari e di tutti i loro retroscena, e di ricevere da lui consigli che nel novantanove per cento dei casi si rivelavano fruttuosi.
Piazzato in un angolo del parcheggio, ormai Abdhulafiah si era organizzato una specie di studio, anche se essenziale.
In realtà l’unica cosa che gli occorresse era una sedia, il resto dell’attrezzatura da lavoro era tutta contenuta nei suoi robusti ed affidabili neuroni, in sinapsi scintillanti, capaci di fornirlo di una memoria da elefante e di una brillante intelligenza finanziaria.
In molti lo avevano scoperto per caso, uscendo dal supermercato carichi di spesa, e quelli di loro che avvicinandolo con curiosità, avevano poi constatato l’efficienza delle sue soffiate, erano tornati a consultarlo, parlando di lui con amici e conoscenti.
La voce, insomma, si era sparsa e Abdhulafiah si era così costruito un portafoglio clienti tutt’altro che disprezzabile.
Lallo Tarallo lo aveva conosciuto molti anni prima, nel 2004.
Il giornalista, che allora faceva parte della ristretta ma bellicosa redazione di Radiocazzotto, era cliente affezionato di un piccolo negozio di alimentari sito nella periferia cittadina, ma quella domenica si era trovato senza nulla, ma proprio nulla, da mangiare in casa, così aveva dovuto ricorrere di malavoglia all’aiuto del grande supermercato.
Aveva comprato viveri per una settimana, uscendo rigorosamente senza carrello e senza buste della spesa, rifiutate per motivi ecologici perché a quei tempi venivano ricavate dagli idrocarburi e prodotte direttamente nei pressi dei pozzi di Bahr Essalam in Libia.
Portava dunque in braccio la sua spesa, in equilibrio precario, tanto che dopo appena qualche passo, tutto quel che aveva comprato gli era sfuggito, cadendo scompostamente sull’asfalto del parcheggio.
Nulla di grave perché si trattava per lo più di scatolame vario e confezioni di pasta.
Chinandosi a raccattare la roba che si era sparsa intorno, si era accorto che una mano gentile era venuta intanto ad aiutarlo a prenderla.
Era un signore dai lineamenti arabi e dall’atteggiamento gentile e simpatico.
Lui lo aveva ringraziato e quello, mentre gli porgeva una confezione di fusilli della celebre ditta Gioie d’Italia, gli aveva detto:
“Io non mi fiderei a comprare pasta di quella marca”.
Tarallo, un po’ stupito aveva chiesto:
“Perché? E’ una ditta molto conosciuta!”
E l’altro:
“Guardi, si fidi, so che acquistano dalla Cina un grano molto anziano, anzi, stagionatissimo: non è così invecchiato nemmeno un “Sauternes di Château d’Yquem”, e sì che venne prodotto nel 1787!!
“!!??”
La notizia è certa e so che sta per spargersi: quella ditta ha al massimo altri tre mesi di vita, e i bene informati sanno che il suo presidente ha già acquistato una specie di castellone kitch nel deserto del Nevada, a un paio di chilometri da Las Vegas e dalla sala da gioco “Fox Trot” , di cui è cliente da tempo.
Il guaio è che nel frattempo, in decine di anni, quella pasta dal grano vegliardo ha provocato un festival di coliche intestinali a centinaia di migliaia di clienti, in Italia, e altrove.
Se per caso lei fosse in possesso di loro azioni, sappia che può usarle anche come carta da appunti”.
Lallo rimase talmente colpito da quel tale che dimenticò del tutto il motivo per il quale si trovava in quel luogo: proseguì la discussione e finì per trascorrere un paio d’ore a parlare con quel tipo interessante.
Tra le altre cose che distinsero quella conversazione a ruota libera, lui gli aveva raccontato i retroscena del passaggio di un sostanzioso pacchetto di azioni della Mondialvomit dall’azionista di maggioranza al faccendiere Rutilio Porcomondo, che ne tentava la scalata.
Il mascalzone in guanti bianchi, infatti, aveva presentato una formale richiesta di acquisto, corredata da un bel servizio fotografico il cui involontario protagonista era l’Amministratore Delegato della finanziaria, Damocle Spazzoni, ripreso mentre, completamente nudo ma con un cappello da bersagliere in testa ed una trombetta in bocca, se la spassava con Orgia Fianchidifiaba, la celebre accompagnatrice dei vip.
Spazzoni, che non si era mai ritenuto fotogenico, aveva ritenuto opportuno cedere tutto, riparare in Bolivia e mettersi a capo di un gruppo locale di musica klezmer.
Solo prima di separarsi, in un clima di festosa cordialità, Lallo e Abdhul, rimasti ormai soli nel parcheggio, fecero le presentazioni e si diedero appuntamento il giorno dopo per mangiare una pizza assieme.
Così iniziò la salda amicizia di Tarallo con Abdhulafiah, sentimento che si estese presto agli altri membri di quello stravagante gruppo, a vantaggio di ciascuno di essi.
Il consulente ambulante aveva una storia travagliata alle spalle.
Era nato, circa una quarantina di anni prima, a El-Mahalla El Kubra, in Egitto, una città all’interno del delta del Nilo, ad una ottantina di chilometri di distanza dal Cairo.
Era una località famosa per la sua industria tessile e il padre di Abdhulafiah, Abdul-majid, lavorava infatti nella fabbrica di El-Ghazl, uno stabilimento che impiegava ben 25.000 lavoratori.
Era un tipo tranquillo di natura, suo padre, ma quando le condizioni di lavoro divennero gradualmente più dure ed inique, lui si unì ad altri che operavano per migliorare la situazione.
Abdhulafiah, dopo un’infanzia serena e i primi, proficui studi, si iscrisse alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università ‘Ayn Shams, al Cairo.
In quella sede spiccò tra tutti gli iscritti del suo gruppo, laureandosi a pieni voti con qualche mese di anticipo sulla normale scadenza del corso di studi.
Il nostro amico, individuato subito come un vero talento, fu chiamato a far pratica professionale in uno dei più grandi e agganciati studi commercialistici della capitale, quello del celebre Ahmad Muhammad Abdullah, detto “Mano sudata”, un professionista con più peli che stomaco, in stretta relazione con le maggiori aziende e i politici di vertice del paese.
La sua lussuosa “tana” professionale era quindi frequentata da molti funzionari del governo di allora, tutta gente la cui coscienza avrebbe avuto bisogno di un bel po’ di detersivo e di parecchi giretti in lavatrice.
Abdhulafiah, operando per qualche anno in quel sancta santorum di segreti incoffessabili, se da una parte divenne sempre più bravo nel suo lavoro, dall’altra si rese conto progressivamente di quanto il regime fosse coinvolto in un’infinità di affari loschi.
Vedeva germinare e prosperare ovunque la corruzione di un’intera classe dirigente, proprio nel momento in cui suoi padre e compagni avevano iniziato una serie di scioperi di protesta per avere condizioni di lavoro più umane e paghe adeguate.
Il giovane commercialista, che teneva sempre rizzate le orecchie e reattivo il cervello, un giorno scoprì un traffico illecitissimo ad opera della Egyptian Cotton Bubblegum company, un’azienda colossale che produceva sia capi di abbigliamento per cani viziati, che involucri in carta riciclata, destinata alla confezione delle pestilenziali sigarette Al Nikhotone, e quelle delle famose gomme da masticare “Al Mohlar”.
Abdhulafiah, intercettando una conversazione tra il suo superiore Kalhuf Al Alah con Dieter Krauten, detto “L’uomo Tonnellata”, amministratore delegato di una delle più grandi industrie tedesche di würstel, si rese conto che il suo capo, Mano sudata, avrebbe ricevuto una grassa mazzetta per preparare, con la complicità di funzionari governativi amici, tutte le carte occorrenti per far passare un impressionante carico di prosciutti e salumi vari, per materiale tessile finito.
Il prosciutto di contrabbando, proibitissimo nel paese per ragioni religiose, sarebbe finito sulle tavole di alcuni signori potenti, in banchetti chiusi, riservati solo ad una cerchia ristretta e selezionata di crapuloni eccellenti.
La coscienza, destatasi vivace, come sempre, per un improvviso squillo di trombetta, impose ad Abdhulafiah di intervenire, così fece una soffiata al commissariato più vicino, denunciando quel traffico sporco.
La polizia fece così irruzione in casa del potente industriale, Khaled Al Assalt, e vi sorprese una decina di commensali sovrappeso, persi in un’indegna orgia alimentare.
Furono beccati a gingillarsi con decine di vietatissimi spiedini alla mortadella con dadini di guanciale e con giganteschi hot dog appesantiti dai colossali e vermiformi würstel di Dieter Krauten.
In seguito alla denuncia di Abdhulafiah ci fu un repulisti più di facciata che reale: pochi pesci piccoli furono piazzati in galere che sembravano degli hotel a cinque stelle, mentre i vertici governativi coinvolti nello scandalo rimasero al loro posto, e pensarono subito alla vendetta.
Per mesi Abdhulafiah subì ogni genere di vessazioni, fino a quelle più atroci: fu, ad esempio, costretto ad ascoltare i brani melodici di Jovanotti.
Semiragliati, zeppi di difetti di pronuncia e straziati dalla improbabile intonazione, quei cd, venivano esportati dall’Italia verso aree depresse, confezionati in spessi fusti di cemento perché considerati materiale potenzialmente letale.
Quando Abdhulafiah apprese di un suo prossimo arresto da un amico informato della faccenda, ebbe pochissimo tempo per organizzare la sua fuga.
Partì di notte, con poche cose essenziali, imbarcandosi sulla petroliera ucraina “Sputok”, agli ordini del Comandante Persikov, e arrivò così in Italia, a Napoli, pensando di proseguire quanto prima il suo viaggio.
Sappiamo ora che non andò così e che finì per rimanere nel nostro paese.
Dopo qualche vagabondaggio nelle principali città italiane, si stabilì nella cittadina di provincia di …… dove si decise a risiedere.
Nel frattempo, in Egitto, le lotte e gli scioperi delle fabbriche tessili, come quella di suo padre, avevano contribuito alla fine del potere del Rais Mubarak, che venne così rovesciato.
Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.
Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti