Del padre di Omar Tressette, come di tutti i trapassati del resto, invariabilmente buoni, dicono che fosse una pasta d’uomo.
Lo era, a sentire i suoi più stretti dipendenti, malgrado avesse messo su dal niente un gran numero di imprese e che fosse una smentita al luogo comune che vorrebbe gli industriali come gente senza sentimenti, decisa solo ad ottenere profitti senza stare a guardare troppo per il sottile.
Emilio “Miglio” Tressette, infatti, quando, dopo aver fondato, diretto per un cinquantennio e fatto prosperare aziende di diversissima natura, era ormai in procinto di cedere ai suoi figli il suo impero industriale, ancora si commuoveva, e gli si inumidivano gli occhi, quando mostrava agli amici che venivano a trovarlo alla “Troiona”, la sua grandissima villa in riva al mare, un suo ritratto fotografico che lo mostrava con Vaclav Peronazzi, il decano dei suoi operai.
La magnifica foto, opera del celebre Duncan Duncan, era di quelle per le quali metter su spocchia: Tressette padre vi appariva al massimo del suo fulgore imprenditoriale, orgoglioso, dritto come un fuso, mentre, a gamba alzata, teneva uno dei suoi stivali sulla testa di Peronazzi, sdraiato ai suoi piedi.
Quando mostrava ai visitatori ed amici quell’immagine di apoteosi, “Miglio”, tutto frignante per l’intensità di quel ricordo, finiva per farfugliare: “Eh, il povero Peronazzi! Uno dei miei primi operai, poverino, era così affezionato ….”.
La fabbrica di pellami la sua prima azienda, fondata quando aveva ventisette anni, fu decisiva per dare l’avvio ad una carriera industriale tra le più inarrestabili che si fossero viste nel paese: a tre anni dalla sua fondazione, le donne in grado di resistere ai seducenti modelli delle sue borsette in pelle di opossum, si potevano contare sulle dita di una sola mano.
Fu un boom, un successo internazionale: le “opussettes” si vendevano a milioni, ovunque!
Sì, è vero, c’erano state anche le proteste dei soliti animalisti che lo accusavano di aver deopossumizzato il Messico, e che avevano attirato su “Miglio” l’attenzione di qualche giudice, ma Tressette aveva potuto dimostrare che tutto il processo iniziale di lavorazione avveniva in quel lontano paese e che la sua era solo una industria di traformazione.
Il suo matrimonio con Euridice Trotti Bellandi era stato un altro capolavoro di quell’uomo dalla multiforme intelligenza: la ragazza, cattivissima di carattere e brutta al punto che al suo passaggio appassivano le piante, vantava però un pedigree da premio Nobel per l’Eugenetica Sociale.
Suo padre, il Conte Serse Trotti Bellandi, erede di una stirpe dai lombi selezionati che possedeva più terre che peli superflui, era infatti ricco a miliardi, e se era verissimo che quell’industrialotto schiattaopossum non avrebbe potuto piacergli nemmeno sotto l’effetto di un cocktail di allucinogeni, sapeva però che Euridice, la sua unica, amatissima figlia, si distingueva per la scarsa avvenenza fisica e per le sue maniere al fiele.
Così, il Conte si arrese e acconsentì all’unione.
Con “l’operazione nozze” Tressette si ritrovò in possesso di una decina di terreni grandi come province, amabilmente cosparsi di castelloni e dimore nobiliari.
Non ci volle molto quindi, perché decidesse di tramutare quel patrimonio in un mondo di esclusivo turismo elitario: soggiornare nel Castello di Trombodibosco rimirando l’immenso e curatissimo parco, vanto del Duca Lasagno Prontalforno che lo aveva tirato su nel XVI secolo, poteva costare anche trecentomila lire a notte.
In tarda età, introducendo in questa offerta una nota un po’ volgare, “Miglio” ideò anche la possibilità per i clienti di affittare armature antiche,così che, in tal modo, essi avrebbero potuto farsi dei clamorosi selfie, bardati come cavalieri in un torneo e magari (supplemento di duecento euro) di farseli a cavallo, sfruttando la mansuetudine proverbiale di un gruppo di amabili equini che si dividevano tra quella fastidiosa attività turistica e la composizione di testi di retorica.
Emilio ed Euridice impostarono il loro menage su un piano di assoluta estraneità, dedicandosi uno al lavoro, l’altra a piccole e creative perfidie quotidiane, e organizzarono alla perfezione un efficace distanziamento reciproco che in base ad una tabella precedentemente concordata, venne annullato, a fini riproduttivi, in sole quattro circostanze, occasioni che infatti portarono ciascuna alla nascita di uno dei loro quattro figli.
Entrambi gli sposi per il resto della loro vita tentarono di dimenticare quelle terribili quattro notti, ma la vista dei ragazzi, prodotto tangibile di tanto orrore, stette sempre a ricordargliele e fu per questo che i rampolli, per gran parte del loro tempo, vennero tolti dalla vista dei genitori e affidati alle cure del personale domestico.
Baldassarre, Plinio, Clodovea e Omar crebbero così in compagnia di quattro diversi precettori che, in assenza di controllo da parte dei loro datori di lavoro, esercitarono una influenza decisiva sul carattere dei loro protetti.
Karl Ulrich Popolwolf, unno di origine ed incline ad un certo sadismo militare, si occupò dell’educazione di Baldassarre così invasivamente che il ragazzo, lungi dall’arruolarsi nel Turk Odusu, l’esercito turco, come avrebbe sperato il suo istitutore, divenuto maggiorenne, aveva preferito scappare con uno dei cuochi anziani della villa, per poi scialacquare le sue cospicue rendite finanziando costantemente le poco esaltanti imprese teatrali del “Théâtre de figues féminines”, Teatro del fico femmina, una compagnia en travesti nelle cui messe in scena Baldassarre interpretava immancabilmente la parte della scollacciata e promiscua Délphine.
Il secondogenito dei Tressette, Plinio, fu spedito fuori di casa e affidato alle inflessibili cure di Padre Odoacre Dell’Ovo, rettore del “Divina Fulgur”, un collegio religioso nel quale si incoraggiava l’uso quotidiano del cilicio e delle canzoni dei Negramaro a fini di espiazione.
Il ragazzo crebbe equilibrato quanto un trapezista tossicomane, ma si convinse comunque di avere la vocazione, di essere stato chiamato da Dio in persona, per cui, nonostante la sua imponente collezione di stranezze e di tic nervosi, riuscì a prendere i voti e divenne sacerdote.
Tuttora la gente di Collocotto sull’Adige, alla cui parrocchia dei Santi Gino e Latilla è stato assegnato, non perderebbe per nulla al mondo una delle celebri omelie di Don Plinio che, nemmeno fosse una rockstar, richiamano anche notevoli folle dal circondario.
Tra quelle pronunciate nelle ultime messe domenicali, spiccavano le prediche a cui Don Tressette aveva dato per titolo: “Gesù e la immorale opera delle scope da curling” e l’altra su “L’immortalità dei santi e le inestinguibili rate dei mutui”.
Clodovea, la terzogenita ed unica femmina, aveva purtroppo ereditato dalla madre la faccia irregolare e gli occhi spiritati e se pure non poteva decisamente definirsi una bellezza, suppliva a questo handicap con l’intelligenza, in lei acutissima.
Sollecitata da Madame Camille Cerveau-Eveillé, alle cui cure precettorie era stata affidata, si sottopose ad un severo allenamento della mente, rivelando una certa propensione per l’astrofisica.
Si applicò a studiare formule matematiche che avessero riscontri pratici nello spazio siderale, e al culmine di quel periodo fecondo, si rivelò capace di formulare minuziosamente l’ipotesi di uno stanziamento umano su Marte e, dato ciò, dell’apertura di un esercizio di street food su quel pianeta, e precisamente alle pendici dell’inaudito Monte Olimpo (27 km di altezza).
Partendo da questa premessa, fu in grado di calcolare quanto tempo potesse occorrere ad un cliente, preso dal bisogno, per raggiungere i servizi igienici del locale, situati per ragioni ecologiche a svariati chilometri di distanza, nelle Valles Marineris, il grand canyon di quella zona del pianeta rosso.
Il resto della sua carriera di astrofisica lo svolse dalle lussuose camere della CCDMR, la Casa di Cura per Disturbi Mentali dei Ricchi, dove era stata ricoverata in seguito alla sua aggressione a graffi nei confronti del Prof Alfio Lunotti, Titolare della Cattedra di Astrofisica presso l’Ateneo di Brisbane, colpevole ai suoi occhi di aver definito il suo studio sui possibili locali di ristorazione marziani “Un sontuoso esempio di impiego lassativo dei neuroni umani”.
Omar, l’ultimogenito, era stato l’unico a dimostrare lo stesso senso degli affari di suo padre Miglio, seppure ben temperato da una escrescenza morale che non aveva mai afflitto quell’uomo: la coscienza. L’ultimo dei Tressette, in un’epoca nella quale non era ancora di moda, usò le cospicue risorse di cui disponeva per finanziare studi approfonditi sull’economia verde, ascoltando attentamente le proposte di menti brillanti che ne avevano portato avanti alcune geniali applicazioni pratiche.
Fu la sua società Ecomusic, ad esempio, che brevettò e mise in produzione gli strumenti musicali ecocompatibili.
Alcune famose star della musica fecero così da testimonial agli ottoni in carota pressata, dai quali erano esclusi però i gastrosassofoni, fatti con una pappa compressa ottenuta dalle verdure miste, o alle percussioni ghiotte, ricavate da cocomeri, zucche e ananas.
L’invenzione, oltre che brillante, aveva anche la capacità simbolica di corroborare la dignità di una professione spesso ritenuta tipica dei “morti di fame”: se pure fosse stato vero, anche se messi alle strette dalla povertà, i musicisti avrebbero avuto almeno di che sfamarsi, gustandosi il proprio strumento!
L’unico esperimento non riuscito fu quello legato alla produzione di chitarre elettriche derivate dalla mummificazione delle melanzane alla parmigiana: pur pagato profumatamente per la consulenza, l’allora chitarra solista dei Beatles, George Harrison, spiegò a Tressette senza mezzi termini che da quelle chitarre, al di la del fatto, già penalizzante in inverno, che in ambienti riscaldati si scioglieva la mozzarella, non si riusciva a cavare un assolo decente.
Purtroppo, nonostante il suo successo indiscutibile negli affari, Omar, sin da ragazzino si dimostrò incline a subire il peso di più di una idiosincrasia.
Tutte le cose e le persone che lui riusciva a tollerare, le sole che non gli causassero indignazione e rabbie, potevano essere annotate al completo sul libretto degli assegni di un colibrì.
Probabilmente il fatto di avere avuto tra le scatole durante l’infanzia e la prima giovinezza, scelto da sua madre in qualità di precettore, Raffaele “Foffo” Sportingclub, ovvero l’uomo più nauseantemente alla moda di tutto il circondario, aveva segnato per sempre il carattere di Omar, oltre naturalmente a procurargli una collezione di fenomeni allergici così spettacolari da destare l’interesse eccitato dei maggiori dermatologi del mondo.
Quando Foffo arrivò in casa Tressette con una delle troppo famose polo coccodrillate, tenendone il bavero rialzato, e portando un corposo bracciale d’oro a placche al polso, sulle gote del giovane Omar fiorì all’istante una esotica eruzione cutanea di un bel rosso-sangue, che per via della sua forma, ai più ricordò la Grossa Berta, il mitico supercannone tedesco del primo conflitto mondiale.
Su consiglio del medico, Sportingclub pensò allora di invertire esteticamente il suo stile per sfiammare gli eritemi del giovinotto, che tra l’altro, sembrava star sempre sul punto di saltargli addosso.
Così una volta, si presentò ad impartirgli le sue lezioni di filologia romanza in canottiera (quella dei Minnesota Stranglers, per l’esattezza), calzoncini corti giallo cangiante e con i piedi infilati nel primo paio della famosa marca di sandalacci teutonici che si fosse mai visto nel Belpaese.
Fu il classico esempio di cura peggiorativa: dopo un lungo ricovero presso la clinica “Pecunia Salutaris” durante il quale gli fu amputata una cisti grande quanto un coniglio albino, Omar Tressette, perennemente incazzatissimo per qualcosa, e preoccupato per il suo “quoziente di sdegno”, che figurava in testa alle classifiche del Guinness e gli avvelenava vita e rapporti sociali, si presentò una mattina del giugno del 1998 presso lo studio di uno Psicologo del quale aveva sentito parlar bene, un tal Professor Samuele Cervellenstein…
Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.
Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti