Dopo essersi misurato con il più importante genere musicale del suo tempo, nel primo lavoro, cioè la Tragédie Lyrique “Hyppolite et Aricie“, per l’Académie royale de musique, il compositore francese Jean Philippe Rameau si dedicò subito dopo all’altro tipo di lavoro teatrale che veniva allestito a Parigi, come genere di intrattenimento.
Il secondo lavoro teatrale di Jean-Philippe Rameau, “Les Indes Galantes”, apparteneva al genere dell’opera-balletto, che per lungo tempo fu il più diretto concorrente, sulle scene parigine, della colta “Tragédie Lyrique”.
A differenza di quest’ultima, l’opera-balletto non attribuiva che un’importanza relativa all’azione che si svolgeva in palcoscenico.
Non era, in effetti, che un pretesto per fare del “divertissement”, in cui trionfavano la musica e, soprattutto, la danza, nel più puro stile barocco.
“Un autore che si preoccupa di piacere al pubblico ha torto se pensa che a volte si debba cercare di divertirlo senza l’aiuto di divinità e di maghi? Forse presentando a questo pubblico, indulgente verso la novità, oggetti scelti nei luoghi più remoti, esso accorderà la sua approvazione per la particolarità di uno spettacolo che offre a Erato e a Tersicore l’occasione di esercitare il proprio genio.
Sebbene gli innamorati seguano tutti la stessa legge, i loro caratteri nazionali non sono uniformi; ciò è sufficiente per diffondere in un poema lirico questa varietà tanto necessaria, ora che la fonte dei piaceri semplici e naturali sembra essersi prosciugata sul Parnaso” scriveva Louis Fuzelier.
L’opera si avvalse del testo di questo autore, Fuzelier, già collaudato sia nel campo dell’opera balletto (aveva scritto per André Campra, Les Âges, nel 1718), sia in quello degli intrecci di soggetto “turco”, all’epoca di grande successo sulle scene.
Il numero degli atti (entrées) dell’opera variarono nel tempo.
Les Indes Galantes andò in scena all’Opéra di Parigi il 23 agosto 1735 come balletto eroico in un prologo e due atti: “Le Turc généreux” e “Les Incas du Perou”, ma l’accoglienza del pubblico fu tiepida.
Rameau aggiunse quindi “Les Fleurs, fête persane”, e poi la quarta Entrée “Les Sauvages”.
In quest’ultima, riutilizzò una famosa aria scritta nel 1725 in occasione della visita a Parigi di alcuni capi pellerossa americani, inclusa nelle “Nouvelles Suites de pièces de clavecin”.
Ma il “fiasco” precedente aveva portato l’autore ad approntare una seconda versione del suo lavoro, che prevedeva una rielaborazione di quanto composto e l’aggiunta definitiva dell’ultima entrée (Les Sauvages).
In questa versione l’opera andò in scena il 10 marzo 1736: un eccezionale trionfo arrise finalmente a “Les Indes”.
Tuttavia, in occasione delle sue varie riprese, nelle rappresentazioni spesso non si tenne conto né dell’ordine né del numero di entrées progettate da Rameau, ma in alcuni casi vennero addirittura messe in scena solo delle entrées isolate.
Già dal titolo “Les Indes galantes” si propose come una risposta esotica alla celebre “Europe galante” di Campra (1697), che aveva messo in scena un raffronto tra le artes amatoriae di diverse nazioni, europee e non.
A quarant’anni di distanza, il lavoro di Rameau venne a coronare, con risultati straordinari, l’evoluzione dell’opera balletto, conferendogli una grandiosità ed un’intensità espressiva che permettevano di accostarla agli sfarzi della tragédie lyrique.
La trama dell’opera è, in sostanza, la seguente.
Prologo.
Hébé ha radunato la gioventù di tutto il mondo nella sua splendida reggia. Tra strepiti di guerra giunge Bellona, vantando i suoi diritti sulla gioventù guerriera, simboleggiata dai rappresentanti di quattro nazioni europee alleate.
Irritata, Hébé invoca Amour, che prontamente discende dal cielo: i due si accorgono però che il loro potere sta venendo meno in Europa e decidono di concentrare la loro azione su nazioni più lontane.
Atto primo. “Le Turcs généreux”.
Quasi mezzo secolo prima del “Ratto dal serraglio” di Mozart, viene presentata la magnanimità di un principe orientale.
Osman è il pascià di un’isola turca e l’europea Emilie vi si trova prigioniera dopo essere stata catturata dai pirati e a lui venduta.
Resistendo a Osman, si proclama fedele sino alla morte al suo lontano amore.
Durante una tempesta, una nave viene scaraventata sulla costa dell’isola ed Emilie ritrova proprio l’amato Valère, che dichiara di averla cercata ovunque con il permesso del suo signore, che risulta essere proprio lo stesso Osman.
La sorpresa diviene ancora maggiore quando il pascià concede che i due amanti si uniscano in matrimonio, spiegando di essere stato anch’egli uno uno schiavo liberato da Valère, e colma i due di doni così che essi possano infine ripartire per la patria.
Atto secondo. “Les Incas de Pérou”.
La giovane inca Phani è innamorata, corrisposta, del conquistatore spagnolo Don Carlos, che cerca invano di strapparla alla sua cultura. L’indigeno Huascar, innamorato a sua volta di Phani, dichiara che il dio del sole l’ha incaricato di trovare un marito alla ragazza, una scelta che fa ricadere naturalmente su sé stesso.
Durante la festa del sole avviene un terremoto a cui si aggiunge un’eruzione del vulcano: Huascar, respinto, sostiene che si tratti della prova che il dio condanna la condotta della ragazza e tenta nuovamente di insidiarla, ma viene affrontato da Don Carlos.
Questi svela come tutta la festa, e persino il lancio di pietre dal vulcano, sia stato un trucco architettato da Huascar per persuadere Phani della volontà celeste.
L’entrée si conclude con la punizione del malvagio, sepolto da una nuova eruzione, questa volta reale, del vulcano.
In questa fine però, non entra in gioco nessun potere divino, il cattivo rimane semplicemente vittima della propria ignoranza, perché ha fatto rotolare una roccia nel cratere del vulcano, provocandone l’eruzione. Anche con questo atto Rameau creò un lavoro che ancora una volta andava oltre le regole canoniche del genere.
Atto terzo. “Les Fleurs, fête persane”.
Si svolge in Persia, paese divenuto di moda a partire dalle “Lettres persianes” di Montesquieu, del 1721.
Questa entrée è famosa per i “ragionamenti sottili e artefatti sulla morale”, che con la sottile ironia e l’arte della trasformazione dei sentimenti, la rende affine ai lavori del Théátre Italien.
Il principe Tacmas si trova, sotto false spoglie, nel palazzo del protetto Alì, con l’intenzione di dichiarare il suo amore alla schiava Zaïre.
Anche Alì è innamorato, ma di una schiava di Tacmas, Fatima.
Tacmas scopre che Zaïre è innamorata e crede che il rivale sia uno schiavo, ma questi in realtà è Fatima, travestita.
Dopo diverse vicissitudini, la situazione viene felicemente chiarita e ha inizio allora una “festa dei fiori”, in cui venti e fiori ingaggiano una graziosa e simbolica schermaglia.
Atto quarto. “Les Sauvages”.
In America settentrionale, in un bosco vicino ai possedimenti francesi e spagnoli, l’indiano Adario si nasconde al sopraggiungere di Damon e Don Alvar, due ufficiali, uno francese, l’altro spagnolo, che sono alla ricerca di Zima, un’indiana di cui sono entrambi innamorati.
Arrivata in scena anche la ragazza, le viene chiesto di decidere tra i due spasimanti.
Informatasi sulle usanze erotiche di entrambi, Zima stabilisce essere lo spagnolo troppo focoso e il francese troppo freddo.
Adario allora viene allo scoperto, e Zima dichiara di preferirlo agli altri due. Sta per avere inizio la festa in cui i due indigeni possono celebrare degnamente il loro amore “di natura”, vincitore sulle lusinghe del progresso europeo.
Zima restando fedele al suo Adario rappresenta l’ideale del “bon sauvage”, dotato di un cuore puro che non è stato alterato dalla civiltà, una figura che appariva negli scritti di Rousseau e di Voltaire.
Le varie vicende sentimentali dell’opera sono ambientate nelle Indie, come venivano chiamati all’epoca i territori extraeuropei, divisi in Indie occidentali e orientali.
Con il prologo allegorico, che motivava la scelta di paesi così lontani, gli autori colsero l’occasione per coniugare l’apparato mitologico, caratteristico dell’opera francese dell’epoca, con l’interesse per l’esotismo, che costituiva il filo conduttore delle diverse entrées.
Così venivano rappresentate stravaganti vicende amorose tra indigeni ed europei, arricchite da riferimenti, storicamente fondati, a tradizioni, nomi e luoghi dei paesi in oggetto, in un disegno che riusciva a conferire alle singole ambientazioni un colore locale di una certa precisione.
Anche la disposizione verso le culture extraeuropee mostrava un atteggiamento allora insolito, come la rappresentazione del “buon selvaggio”, anticipatrice degli entusiasmi illuministi.
È inoltre rilevante la presenza di una curiosità attinta alla cronaca dell’epoca: l’incredibile storia di Osman (prima entrée), carceriere ma a sua volta ex prigioniero dei cristiani, era apparsa l’anno prima in un giornale francese.
I luoghi più pregevoli della partitura vanno rintracciati soprattutto nelle numerose pagine orchestrali: le scene dell’eruzione e delle feste sono percorse da un vigore strumentale inedito nella coeva produzione barocca. Nella seconda entrée, un’unica sezione musicale si estende per centinaia di battute, stabilendo un collegamento di alta tensione drammatica e notevole efficacia spettacolare tra l’eruzione del vulcano e il termine dell’entrée stessa.
Per le tre feste esotiche delle Indes, Rameau sperimentò soluzioni originali, come l’impiego di incisivi unisoni e di intervalli melodici allora stravaganti, per alludere, in mancanza di veri elementi di colore locale, a una diversità del tessuto musicale che si realizzerà invece solo nelle opere esotiche dell’Ottocento e del Novecento.
Proprio le soluzioni inventate da Rameau, anzi, stabiliranno il modello di un repertorio compositivo diffuso per le opere a sfondo esotico, delle quali Les Indes rappresentano uno dei primi esempi in assoluto.
Gratificata da ben sedici edizioni del libretto a stampa, Les Indes galantes tornò all’Opéra nelle trionfali riprese del 1743 e del 1751; in seguito rimase in cartellone sino al 1773.
Indice del suo successo nel corso del Settecento è anche il numero straordinario di parodie, messe in scena già a qualche mese dalla prima. Si cominciò con il vaudeville in un atto “Les Amours des Indes”, di Denis Carolet, per proseguire con “L’Ambigu de la folie, ou Le Ballet des dindons”, di Charles-Simon Favart, sulla scia della ripresa del 1743.
Favart ritornò sul soggetto con “Les Indes dansantes”, mentre Carlo Innocenzo Frugoni presentò a Parma, nel 1757, una produzione musicale dal titolo “Gli incas del Perù”.
Tra i capolavori di Jean-Philippe Rameau, “Les Indes Galantes”, opera balletto in un prologo e quattro atti, unisce nella tematica amorosa e nello spirito della “galanteria”, quattro episodi, ciascuno con una propria autonomia, collocati in una geografia esotica e immaginaria.
Il Prologo introduce l’argomento di fondo: il trionfo universale dell’Amore nel conflitto delle passioni umane; seguono le quattro Entrées i cui titoli fanno riferimento a quei luoghi fantastici, vagheggiati dalla cultura francese ed europea del tempo, poi l’opera si conclude con una elaborata ciaccona in forma di rondeau, che con la sua complessa struttura, si basa su un basso ostinato, sulla contrapposizione di tonalità maggiori e minori e sulle sonorità di archi e fiati.
Con il genere opéra-ballet si celebrava il ‘ballet à entrées’, un genere tanto amato nel secolo XVII.
Alla sua base vi è uno schema semplicissimo: diverse vicende, ciascuna a sé stante e messe in successione, vengono collegate tra loro da un tema comune, come paesi, stagioni, ecc.
Qui il compositore disponeva della più grande libertà nella struttura musicale, perché la musica era la parte più importante in questo genere, mentre il testo perlopiù serviva soltanto a schizzare gli eventi più importanti e a fornire versi per i numeri cantati.
La parte principale erano i divertissements, in cui la musica in quanto tale trionfava con danze, ariettes e symphonies.
Lo sviluppo psicologico dei personaggi non era necessario né richiesto, ma il contenuto delle entrées poteva essere costituito anche da temi seri, come ad esempio “l’entrée des Incas”, nelle Indes di Rameau, un breve dramma paragonabile alla tragédie e degno di esse, in cui dal punto di vista musicale dominano tonalità cupe.
Nel tragico “acte des Incas”, l’occasione di esprimere questi nuovi contenuti consisteva anche nell’includere spettacoli naturali prodigiosi, come l’eruzione di un vulcano!
Ogni entrée conteneva scene costituite da recitativi dialogati e arie, in cui si svolgeva un conflitto simbolico che sfociava in un grande divertissement, a cui prendeva parte la collettività in forma di coro.
Dedicandosi a un genere che dominava all’Opéra, l’autore volle rivendicare il suo dominio come compositore operistico, offrendo una qualità di contenuto e musicale ben superiore rispetto al livello a cui sino ad allora si era abituati.
Rameau scelse come librettista lo specialista per eccellenza, e creatore del ballet héroïque, Louis Fuzelier.
Nella scelta dell’argomento, il librettista non ricorse volutamente a una favola, bensì alla storia, per conferire al suo lavoro una maggior seriosità.
Con Les Indes, Fuzelier rivendicò addirittura il diritto di rispondere all’esigenza di naturale “verosimiglianza”.
Egli, inoltre, si intendeva di etnologia e geografia e presentò delle prove per dimostrare il realismo dell’argomento.
Fuzelier mise lo straordinario al posto del meraviglioso in quanto l’esotismo non era soltanto espressione della moda dei viaggi e della fuga dalla civiltà, ma una categoria poetica che corrispondeva pure all’incantesimo prodotto dall’argomento mitologico.
Come afferma Catherine Kintzler: “l’esotismo offre una via d’uscita dal mondo comune, in cui una realtà poco conosciuta e molto lontana viene ornata con i colori del possibile. Nel teatro musicale l’esotismo crea l’effetto dell’eccezionale, dello straordinario”.
La complessa storia di questo lavoro, con la diversa disposizione degli atti (entrées) risulta evidente anche dallo studio assai problematico delle fonti, costituite da partiture manoscritte e a stampa.
Purtroppo Rameau stesso non fissò nessuna versione definitiva, per cui agli interpreti sono ancora oggi aperte diverse possibilità di scelta.
In questa opera-balletto, spesso allestita con grande successo anche ai nostri tempi, Rameau ha messo in luce tutti gli aspetti del suo ricco linguaggio compositivo e orchestrale facendo brillare la sua inesauribile inventiva melodica.
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.