di Maria Gabriella Taboga e Stefano Vanzini
Quest’anno la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ricorsa il 25 novembre, a causa del Covid non ha visto le consuete migliaia di persone scendere nelle piazze per manifestare. L’emergenza sanitaria, però, non ha impedito lo svolgersi di numerose iniziative online, organizzate per non smettere, ancora una volta, di denunciare una delle più grandi piaghe che affligge l’umanità.
La violenza sulle donne è tristemente universale e antica quanto la civiltà stessa, ma è anche vero che la pandemia ha comportato “un’emergenza nell’emergenza”: con le persone costrette a rimanere in casa, le violenze domestiche sono più che raddoppiate. Da un’indagine dell’Istat svolta sulla base delle chiamate al numero verde antiviolenza, il 1522, e ai servizi via chat, emerge che nei mesi del lockdown (marzo-giugno 2020) le richieste di aiuto sono passate da 6.956 a 15.280 rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente, con un aumento del 119,6%.
Tutta questa violenza è figlia di una cultura profondamente patriarcale, nonché di una società che fatica ancora oggi a considerare la violenza sulle donne un problema di diritti civili o umani. È ora di iniziare a chiamarla con il suo nome e a denunciarla.
Nel nostro territorio, impegnato da oltre trent’anni nella lotta contro la violenza sulle donne, c’è il “Centro Donna Lilith” di Latina, un’eccellenza a livello nazionale. Per questo, abbiamo incontrato Francesca Innocenti, presidente dell’Associazione, in modo da ripercorrere la storia, il ruolo e l’operato del Centro in questi anni: a febbraio 2021 saranno 35 anni che il Centro Donna Lilith è presente e opera sul territorio di Latina e Provincia.
Nasce allo scopo di essere un supporto ed un sostegno per le donne che subiscono violenza, e dal 1991 (anno in cui ha aperto il centro antiviolenza a Latina) ad oggi, ha accolto circa 5-6 mila le donne che hanno fatto un percorso di uscita da quella realtà.
Il Centro Donna Lilith gestisce inoltre altre due strutture antiviolenza: dal 2003, sempre a Latina, la Casa rifugio “Emily”, che con 7 posti letto dà rifugio sicuro alle donne con o senza figli/e, che si devono allontanare dalle proprie abitazioni e, dal 2018, il centro ad Aprilia, nato proprio perché un terzo delle donne che frequentavano la Casa Rifugio proveniva da quel comune.
Solo nel primo anno di apertura si sono recate al Centro antiviolenza di Aprilia circa 60 donne, mentre per Latina si parla in media di 150 donne l’anno.
La Provincia di Latina da anni presenta tuttavia un problema: disponendo la Casa rifugio di solo 7 posti letto, non è sempre detto ci sia subito posto per le donne che devono essere messe in protezione. Di conseguenza ogni anno, il Centro Donna si impegna nel ricollocamento nel territorio regionale, o inter-regionale, dei nuclei che non trovano spazio.
Un altro problema è dato dal fatto che tutto il sud pontino è “scoperto” dalla presenza di Centri anti violenza. Sono circa 200 i nuclei che la Casa Rifugio “Emily” ha accolto dal 2003 ad oggi, e più di 215 le bambine e bambini coinvolti.
Il numero è decisamente importante se si considera che le donne vi dimorano per periodi che vanno dai 6 ai 12 mesi. Durante questo periodo infatti, spiega Francesca Innocenti, le donne fanno un percorso di rielaborazione del proprio vissuto e di rinascita, anche attraverso laboratori ludico-ricreativi rivolti ai bambini:
“Serve che le donne vittime di violenza si riscoprano capaci di fare e capiscano di valere molto di più rispetto quello che si è voluto loro far credere. È fondamentale lavorare sulle loro capacità, sensazioni, propensioni e passioni che spesso sono state offuscate dallo stesso maltrattante. È inoltre importante inserire nel percorso figure maschili di riferimento, per mostrare a donne e bambini che gli uomini sono anche altro, non soltanto gli autori di violenze”.
Si inserisce in questo contesto l’iniziativa di creare un laboratorio di pelletteria, “La B”, nato non solo per aggregare donne provenienti da una condizione di isolazionismo, ma soprattutto per trasmettere loro il senso di solidarietà e fiducia reciproca. Per fare in modo che l’una possa vedere nell’altra il riscatto dalla violenza e dire.
“se ce l’ha fatta lei posso farcela anche io”.
Mi chiamo Stefano Vanzini. Ho 23 e sono uno studente universitario. Divido la mia settimana tra Latina e Roma, dove studio scienze politiche. Sono di sinistra, romanista e ferrarista; in poche parole sono un esteta della sconfitta.
Mi chiamo Maria Gabriella Taboga, ho 22 anni e mi sono laureata in scienze politiche e relazioni internazionali. Nella vita leggo, molto; mangio, decisamente; studio, abbastanza; sono gattara, assai; sono femminista, sempre. Una escalation confusionaria di cose.
Pensieri per la Città – Un’Agorà per Latina è la nuova rubrica-contenitore della nostra rivista blog, LatinaCittà Aperta.
Abbiamo, infatti, voluto affiancare al nostro settimanale, che come sapete tratta di argomenti che potremmo un po’ pomposamente definire di “cultura generale”, uno spazio, un’agorà di riflessione e di approfondimento intergenerazionale su temi della città che ci ospita, Latina, non limitandoci ad essa.
Ci si propone di istituire qualcosa di vivo, un luogo di confronto e di approfondimento, gestito da giovani, donne e uomini, forze fresche e consolidate intelligenze, persuase che la partecipazione e il confronto siano i cardini della buona politica.