
In pieno centro della città, all’apice della mattinata, la residuale vita d’epoca pandemica scorreva apparentemente immutata, o meglio, non troppo alterata.
Le auto giravano quasi come prima, trovando giusto qualche parcheggio in più, e la gente percorreva i marciapiedi senza più scrutare, come faceva all’inizio dell’incubo, chi la sfiorava, per decifrarne il potenziale di contagio.
Solo alcuni tra i cittadini badavano ancora molto a chi incrociavano: erano i più attenti alle questioni sanitarie e, di conseguenza, apparivano perfettamente in linea con le raccomandazioni degli organi preposti allo studio ed al contenimento del virus.
Atteggiamento cauto, camminata svelta e ben accorta nel mantenersi a distanza da chi aveva avuto il cattivo gusto di occupare lo stesso marciapiede: questo tipo di soggetti mostrava di possedere soprattutto un occhio sveglio, vivissimo e vigile al di sopra della inevitabile mascherina FFP2.

Nulla gli sfuggiva del panorama quotidiano circostante.
Era la tipologia di persona che, informatissima sull’andamento della pandemia, era la più incazzata col virus ed i suoi sostenitori umani: negazionisti, complottisti, no mask, anti tuttisti ecc.
Ritenendoli dei collaborazionisti del bitorzoluto, quel tipo di cittadino si mostrava sempre pronto ad annientare con la forza dello sguardo quei rinnegati, quando, come puntualmente accadeva, ne beccava folle intere.
E non bastava ancora.
Stanco di portare sulle spalle tutto il peso della prudenza di lunghissimi mesi, era naturalmente collerico, pronto seriamente ad attaccar briga con chi, in tutta evidenza, girellava in divisa negazionista o minimizzatrice.
Sottogolari, messe a pezza sulla fronte, stagnanti sotto nasi colanti a riceverne e diffonderne gli umori, tenute oblique a benda di pirata: le mascherine dei covid boys erano, insomma, l’ossessione dell’uomo giusto in tempi pandemici.
I suoi sferzanti inviti a mettersi in regola con quelle protezioni, spesso risultavano sgraditi a chi ne era fatto segno e più di una volta da accesi scambi verbali potevano scaturire perfino delle colluttazioni.

Niente paura, il tipo prudente aveva sempre una scorta di “guanti da rissa”, generalmente in gomma, per potersele dare in serenità con il negazionista arrogante, senza venire a contatto con la sua persona e con la sua epidermide, cose che in sostanza lo assimilavano ad una sorta di coronavirus bipede di taglia anomala.
Intanto, con grande allarme del cittadino coscienzioso, i caffè, i bar e quei locali che nell’urgenza un po’ isterica di farsi notare, non sapevano essi stessi cosa fossero, richiamavano un bel po’ di clienti.
La smania di riprendersi, tutto e subito, della quotidianità perduta, spingeva moltissimi a sbracare in una mezza movida che semplificava le cose al contagio e non mancavano del resto i diffusori di fake e scetticismo:
“Ma davvero credete a tutto quello che vi dicono su questo virus? Lo sapete che la mascherina fa malissimo?
Sapete che una ricerca della Facoltà di Storia del Trenino Elettrico dell’Università di Cinisello Balsamo, ha provato che usarla più di due minuti e ventisei secondi fa collassare i polmoni, tanto da farvi passare da Pavarotti a Tom Waits in meno di un mese?”

Poteva anche arroventarsi come una lampadina il nostro tipo ligio, ma alle sue rimostranze all’umanoide che in piena emergenza virale aveva organizzato una festicciola per suo figlio presso una catena di paninoteche, impalloncinate per l’occasione, si sarebbe sentito rispondere a brutto muso:
“Embè, perché me stai a rompe li cojoni? Fatte li cazzi tua: che je voi toje puro er compleanno co l’amichetti sua, ar pupo?”
Quel che era assodato era che il tempo da regalare a quel genere di persone doveva essere ancora necessariamente limitato e gli orari di chiusura delle attività di ristoro e sollazzo piuttosto stringenti.
In effetti, tra tanti contagi e qualche lutto, anche in quella città di provincia non si intravedeva una prospettiva vicina di normalità.

Intanto, negli uffici del Fogliaccio, un uomo solo, il Direttore Frangiflutti, terrorizzato più da un possibile golpe redazionale, pilotato dalla fazione progressista della Chiesa, che dal covid 19, se ne stava rintanato nell’oscurità dei bagni, deciso a vendere cara la pelle all’arrivo del furgone dell’App “Pensa Positivo” che stava per prelevarlo.
Non poteva permettersi una quarantena – ragionava il Direttore mimetizzato – lasciando così campo libero alle manovre nemiche, tanto più che conosceva il peso di certe gerarchie ecclesiastiche nella Proprietà del giornale, proprietà che aveva in altre e più maleodoranti attività, il principale oggetto della sua gestione.
C’era da capirlo il punto di vista dei suoi capi.
Occuparsi dello smaltimento dei rifiuti era il business più redditizio del paese, ma ci si muoveva in un campo minato, nel quale erano decisive le relazioni coi vari poteri, quelli ufficiali e quelli ufficiosi, decisamente più sbrigativi nei modi, e non c’era dubbio che rapportarsi con le autorità religiose permettesse una navigazione meno pericolosa in quelle acque agitate.

Il fatto che da qualche tempo aveva reso la situazione incerta e infida per tutti, anche per il Fogliaccio, era dipeso però da un impiccio della Storia, quella con la S maiuscola, ovvero dall’elezione al soglio pontificio di un personaggio eccentrico e nello scontro che ne era derivato, più politico che teologico, tra due chiese, quella tradizionale, sorniona e manovriera della Curia, e quella più spirituale e rivoluzionaria del Papa strano.
Se il deposto Monsignore Verafé, suo tradizionale sostenitore, era un esponente di spicco della componente conservatrice e affaristica, Monsignor Missitalia, che invece lo aveva in somma antipatia, era notoriamente un uomo fedele alla linea dell’esuberante Papa latino, pronto a sostenerne gli ideali pur essendo anche un tipo maledettamente concreto.
Frangiflutti, mentre la mente passeggiava libera tra quelle riflessioni, tendeva comunque l’orecchio ad ogni rumore che gli poteva giungere, preoccupato che la truppa dell’app Pensa Positivo potesse arrivare prima dei rinforzi che aveva chiesto a Don Lidio Balzani di Gladio Maria.
Non ci contava molto, ma sapeva che quel prete, più integralista di un ayatollah, se avesse voluto, sarebbe stato in grado di catapultare ovunque un manipolo di preti o frati ninja, maneschi, dei gurka coi sandali, in un tempo minore dell’arrivo di un turbospazzolone per pavimenti spedito da Amazon.

Il direttore, accovacciato nel buio amico, accanto al bidet, era in ogni caso irrequieto.
Sarebbe stato ben più tranquillo se avesse potuto sapere di avere a disposizione molto più tempo per organizzare la resistenza, ma, standosene nel suo covo, non seppe per un bel po’ che il furgone con la squadra dell’app, quello che lo cercava, aveva nel frattempo sbagliato indirizzo.
Non era qualcosa di totalmente inedito veder commettere errori vari e clamorosi nella confusione di quell’epoca pandemica: anche l’app che aveva preceduto la Penso Positivo, la “Immunizzati da solo”, in realtà abbastanza snobbata, non era riuscita a mettere al corrente di un qualche contagio nemmeno la zia del suo stesso programmatore, Zelinda Cartadazucchero, che si era buscata per intero il pacchetto covid, positività + polmonite, nella quiete cinguettata della sua RSA “Vita serena”.
Ora, indirizzato addirittura in un’altra città, per via di una svista del cervellone centrale, e dirottato nella sede dell’Associazione Dopolavoristica per ex Dipendenti Orfani delle Manifatture Tabacchiere Comasche, il commando della Penso Positivo, in quegli ambienti immensi e anneriti, trovò solo un custode ottuagenario che, pur messo duramente sotto torchio, rifiutò di qualificarsi come Ognissanti Frangiflutti.
Tenne duro sul punto e fece resistenza attiva al suo prelevamento:
“Vi ribadisco che sono Catello Catelli, ex portiere di questa fabbrica, e vi dico inoltre che io di giornali e giornalisti non ne so un beato nulla, accidenti a voi: nemmeno guardo più il telegiornale! Se non ve ne andrete subito chiamerò il mio legale e amico Federicoalberto De Tritonis, uno che va a pranzo in latitanza con Messina Denaro, tanto per dire, e nel tardo pomeriggio dello stesso giorno ti organizza una apericena a base di assaggini di carne di squalo, invitando mezzo parlamento. Mi spiego?”

“Cavolo, è un duro ‘sto giornalista, pensa de fregacce – sussurrò Edo uno dei due infermieri energumeni all’altro, che si chiamava Dado – non molla mica, e guarda che look dimesso si è trovato per spacciarsi per un altro!
Fai caso, ad esempio, allo stanco cappelletto di lana azzurrina antisinusite: lui sa benissimo che un direttore di giornale non si farebbe trovare con quel coso in zucca o con quella giacca da camera coi risvolti, roba da fine Ottocento! Per non parlare delle bretelle rosse sulla maglia di salute: Dio se la sa lunga ‘sto Frangiflutti!”.
E mentre il virologo televisivo eseguiva un rapido tampone alla sciarpa malmessa ed infeltrita di Catelli ed i celerini si piazzavano lungo tutto il perimetro dello stabile, i due ripresero con pazienza l’interrogatorio.
E mentre nel lontano comasco, il commando Pensa Positivo, composto dai due infermieri energumeni, dal virologo televisivo, un ibrido da laboratorio di nuova concezione (mezzo corazziere e mezzo crocerossina) ed un intero reparto della celere, torchiava vanamente il falso Frangiflutti, il vero Direttore, distante centinaia di chilometri, nascosto nel bagno del suo giornale, rivestito da una tuta mimetica ed un elmo vichingo, sentì armeggiare con la serratura della porta della redazione.
Si rannicchiò col fiato mozzo aspettandosi un’irruzione clamorosa come quelle delle serie televisive poliziesche americane, in cui tutti passano all’azione sparando all’impazzata con ogni tipo di arma inventata dal genere umano, ma strillando contemporaneamente:”Non sparate! Non sparate!!”
Invece si sentirono un respiro un po’ affannato e due colpetti di tosse, ma soprattutto sentì l’ambiente invaso da un odoraccio disgustoso, il padre di tutti i malodori, il puzzo che tutti li conteneva e che tutti, in modo infernale, li diffondeva.
Capì subito che senza che ce ne fosse un motivo comprensibile, il cronista Taruffi, si era presentato in redazione.

Allora, così come stava combinato, in mimetica, elmo e pitture di guerra, saltò fuori esasperato da suo nascondiglio, sibilando stizzito:
“Taruffi e tu che cazzo ci fai qui?”
Uno scommettitore incallito in tempi e circostanze normali, avrebbe avuto vita durissima nello scommettere con chicchessia, che un essere come Marzio Taruffi, un omaccio sporco, peloso, ingombrante ed impacciato, potesse mai eseguire un “ronde de jambe en l’air” di tale lievità e qualità da far prendere un litro di maalox per l’invidia a Roberto Bolle.
Eppure fu esattamente quello che, in quella situazione, preso alla sprovvista il cronista aromatico fece, trovandosi di colpo di fronte ad uno sgherro cornuto vestito come John Wayne in “Berretti verdi”.
Taruffi atterrò poi, non si sa come, sulle punte.
Ebbe appena il tempo di guardare il suo Direttore in assetto militare.
Il povero Marzio, con gli occhi esorbitanti, la lingua penzoloni e le braccia tenute avanti, come a proteggersi, lo scrutava senza riconoscerlo.

Poi, tutto precipitò: ci fu un lampo accecante ed un tremendo botto, così, d’istinto, Frangiflutti e Taruffi si buttarono sul pavimento, terrorizzati.
Quando il fumo si fu diradato si videro circondati da una pattuglia di giovani preti con la tradizionale tonaca nera e lunga, sul petto della quale un piccolo crocifisso andava ad incagliarsi su due cartuccere incrociate.
Erano svelti, pratici e organizzati quei pretini assaltatori: ci misero un minuto per perquisire tutti gli uffici.
“Ci manda Don Lidio”, disse quel che sembrava il pretino capo ad un Ognissanti Frangiflutti stranito, spaventato e scoperchiato.
L’elmo del partito vichingo, infatti, che gli era sbalzato via dalla testa durante l’irruzione, nel gran bailamme di quegli istanti convulsi, era finito sotto le scarpacce di Taruffi, che lo avevano distrutto, accartocciato come un Kleenex…

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.
Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti