Lo affermava con convinzione Mahler, ancor giovane studente al conservatorio viennese, riassumendo in quelle parole il progetto della sua intera vita.
Era nato nel 1860 a Kalischt, una cittadina morava nell’allora gigantesco e multietnico impero asburgico.
Nacque da una famiglia ebraica che non ostacolò mai la sua propensione per la musica, tanto che da iscritto al Conservatorio, giovane e poverissimo, lo troveremo a dividere la sua camera viennese con altri studenti nelle sue stesse condizioni.
Non era facile essere ebrei a Vienna a cavallo del secolo e anche se un terzo della popolazione della città era di origine ebraica, si può dire che in una parte non trascurabile di essa si riscontrasse uno strisciante e crescente sentimento antisemita. Siamo lontani, sia chiaro, dai pogrom zaristi e dai futuri furori nazisti, ma una certa ostilità c’era senz’altro, dovuta soprattutto a due motivi.
Il primo, che colpiva l’immaginario del popolino più ignorante e bigotto, veniva fomentato dalla Chiesa cattolica di cui gli Absburgo da secoli erano paladini e vedeva negli ebrei coloro che non solo non avevano accettato il messaggio di Gesù, ma che anzi lo avevano messo a morte.
Il secondo motivo, più concreto e meno rozzo, era quello di un sordo risentimento economico che facendo breccia nelle classi più elevate e colte suscitava in loro un’invidia livorosa.
Parecchie delle più prestigiose professioni, le banche e molti negozi erano infatti in mano a famiglie ebraiche e il loro innegabile talento in tali settori era visto con crescente fastidio da coloro che avrebbero voluto essere al loro posto. Non avendo tuttavia costoro pari capacità, era più facile per loro odiare, accusare o disprezzare gli ebrei che accettare la loro competenza in tali settori o apprezzarne la lungimiranza.
Da questo crescente antisemitismo non erano raggiunti, o per lo meno non ne erano così scossi, proprio quegli ebrei che costituivano l’alta aristocrazia del denaro nella Vienna fine ottocento, quelli che avevano acquisito persino titoli nobiliari con matrimoni misti oculatamente preparati. Per gli ebrei di basso ceto, tra i quali Mahler, era problematico, al contrario, sopravvivere in città. Il musicista infatti dovette cominciare la sua carriera di direttore d’orchestra andando lontano, prima a Ulm e Kassel, poi a Lubiana: solo dopo tanta gavetta arriverà finalmente all’Opera di Vienna.
Il giovane Mahler, pur non avendo ancora mostrato particolari interessi religiosi, era tuttavia pregno della cultura yiddish: lo testimoniano le sue letture e gli influssi musicali che già si trovano nelle prime composizioni. Per sua fortuna l’ambiente in cui lavorava, quello degli artisti e degli intellettuali, era anche il più impermeabile a sentimenti antisemiti e infatti il musicista avrà modo di conoscere e frequentare molti artisti famosi, tra i quali eccelleva Gustav Klimt di cui sposerà una delle modelle preferite: Alma. Conobbe anche Loos e Gropius, i giganti che riscrissero l’architettura moderna, ed ebbe come seguaci Schoenberg, Berg e Webern, che raccoglieranno la sua eredità, concependo un nuovo modo di far musica.
Mahler conoscerà anche Freud di cui sarà paziente per qualche seduta.
Queste sono solo alcune delle celebrità che frequentò nella Vienna fin de siecle, città nella quale finalmente approdò, reduce dalle esperienze maturate in terra tedesca ed a Lubiana, diventando direttore della prestigiosa Opera di Vienna.
Ma le rose hanno sempre delle spine, e spesso sono tante: i critici dei giornali non potendo infangare la sua capacità direttoriale, osteggiarono le sue sinfonie.
Diciamolo chiaro, probabilmente essi di queste opere non riuscirono nemmeno a comprendere i significati e le aspirazioni.
Le frecciate contro Mahler non si limitarono a colpire la sua professione: come accadde a Puskin, egli venne fatto oggetto anche di continue maldicenze, il cui il bersaglio preferito era la fedeltà della moglie Alma, una delle donne più belle e famose di Vienna. Lui l’amava alla follia ma si mormorava che ella lo tradisse proprio con l’amico di famiglia Walter Gropius. Non gli vennero risparmiate critiche crudeli nemmeno per la sua conversione al cattolicesimo, insinuando che fosse frutto solo di opportunismo. Lui, al contrario, aveva abbracciato quella confessione religiosa con vera convinzione e soprattutto lo aveva fatto molto tempo prima che divenisse famoso e importante a Vienna e che ricevesse l’incarico all’Opera.
Per tutta la sua vita, come se quello di una precarietà costante fosse un destino naturale, venne sottoposto ad una continua aggressione a tal punto che pur facendone parte per prestigio e ruolo, fu sempre emarginato dall’alta società cittadina.
Perfino comporre si dimostrò un tormento perché questo gli era concesso farlo solo d’estate quando l’Opera era chiusa e lui poteva ritirarsi sulle alpi austriache, avendo come unica compagnia la sua famigliola. Commettere errori di direzione durante la stagione invernale sarebbe stato infatti un suicidio, perciò quando non provava o dirigeva si chiudeva in casa a comporre e leggere. Questo stress infinito indebolirà sempre più la sua resistenza fisica e il suo carattere, già schivo, si chiuderà sempre di più nell’introversione.
Le sue composizioni vennero criticate sulla stampa dagli specialisti, con l’eccezione di alcuni fedelissimi che le giudicavano con obiettività, e non poteva certo dirsi casuale la circostanza che nessuno di quelli che le osteggiavano fosse un compositore.
I veri musicisti per lo più lo stimavano.
Le critiche capziose non si fermarono neppure di fronte ad alcune tragedie che lo colpirono duramente, continuarono ad inseguirlo anche quando perse una delle due figlie o quando, gravemente malato di cuore, si dimise dalla Direzione dell’Opera.
Mahler capiva bene il valore del suo lavoro e quello di ciò che componeva, ma trovare chi eseguisse le sue musiche era difficile, soprattutto a Vienna. Non fu casualmente dunque che le prime dei suoi lavori si tenessero a Praga, a Monaco e in altre città.
Nonostante la malattia cardiaca accettò una tournee in America e mai scelta fu altrettanto infelice: fu un successo economico ma il suo fisico ne uscì distrutto.
Forse il pubblico americano non era sufficientemente in grado di capire la sua musica, proiettata com’era verso il futuro ed espressione di un mondo in crisi come quello europeo, anzi mitteleuropeo. Un universo che di lì a pochi anni scomparirà, cancellato per sempre dalla catastrofe mondiale della Grande Guerra.
Mahler tornò in gravi condizioni a Vienna, giusto qualche mese prima di morire. Non poté mai ascoltare l’esecuzione dei suoi ultimi lavori e lasciò incompiuta la sua decima sinfonia perché si spense prima, nel 1911, quando aveva appena compiuto cinquantuno anni.
diceva spesso Mahler, e nessuno riferendosi a se stesso è stato così lungimirante. Il compositore sarà riscoperto infatti ma solo dopo la Seconda Guerra mondiale, dopo che il nazismo aveva messo al bando le sue opere definendo la sua musica “arte degenerata”. La stessa sorte la subiranno alcuni suoi seguaci, come Schoenberg e Berg, ebrei anch’essi, e un destino simile toccherà anche a Webern e a musicisti come Bartok e Stravinsky.
Ma cosa aveva allora di così speciale la sua musica?
Innanzitutto l’utilizzo di materiale di tutti i giorni nel comporre. Nelle sue sinfonie ascoltiamo, citate e spesso stravolte, marcette militari, temi di lieder dell’epoca, valzer stralunati e spettrali, inni sacri, musiche di triviali canti da osteria. In questo cosmo musicale rientrano perfino citazioni di altre sue composizioni, quelle di altri e i rumori della vita quotidiana, che mai erano entrati prima in una sala da concerto.
Nella sua musica Mahler ci descrive la realtà davvero per come è: cangiante e crudele, proprio come aveva detto Nietzsche, uno degli autori da lui più letti, amato al punto di musicare alcune poesie tratte dallo “Zarathustra”. Da lui trarrà ispirazione per programmi che svilupperà nella musica di alcune sinfonie. Tutto riuscirà a pervaderlo, anche le sue letture predilette, le poesie popolari del primo Ottocento, specialmente quelle del ciclo del Wunderhorn, composto da storie di bambini o di giovani vissuti e morti durante la guerra dei Trent’anni.
Questo genere di opere risvegliano in lui il ricordo dell’innocenza propria della giovinezza, una purezza che il mondo in cui vive ha perduto per sempre e di cui spesso ci si vergogna, magari solo perché si ha paura di intenerirsi, di commuoversi.
In secondo luogo la sua opera è il punto d’arrivo non solo della musica romantica ma dell’intera storia musicale che lo ha preceduto.
Prima di lui la musica mitizzava il reale rendendocelo più accettabile e consolatorio, dopo Mahler per gli artisti non sarà più possibile continuare sulla strada della distorsione mitica senza apparire falsi, in malafede. Sotto questo aspetto si può dire che egli ha aperto la strada a tutte le forme di musica contemporanea, sia essa di facile o di difficile fruizione.
Sono da considerare suoi figli artistici, oltre ai tre compositori della Scuola di Vienna, già ricordati, che distruggono il vecchio modo di creare e concepire la musica, anche Shostakovich e Prokofiev, che continueranno a usare le vecchie forme musicali stravolgendole e creando qualcosa di incredibilmente nuovo.
Da Mahler verrà influenzata anche certa straordinaria musica rock, del tipo di quella di Frank Zappa, così importante da venire diretta addirittura da Pierre Boulez, cioè da un compositore dell’avanguardia più rigorosa, e certo jazz afroamericano più sperimentale. Il jazz di Coleman o di John Coltrane che confessò di ascoltare spesso la musica mahleriana e di esserne affascinato.
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.