Poscia più che ‘l dolor potè il digiuno. La caduta del Fogliaccio

Il problema dell’approvvigionamento stava facendosi serio per il Direttore Frangiflutti e per la sua truppa di preti incursori, giunti al terzo giorno della loro condizione di assediati.
Le scorte delle terribili merendine di Taruffi erano state completamente saccheggiate, forse imprudentemente, visto che i sacerdoti militarizzati, impreparati a reggere l’urto di certi additivi da codice penale, erano incappati nello stesso inconveniente intestinale toccato ai questurini che costituivano il nerbo del piccolo esercito degli assedianti.
In quella situazione stagnante, erano dunque di gran lunga maggiori i movimenti peristaltici che quelli militari: insomma, più che le truppe potevan le trippe.

I servizi igienici del giornale si trovavano di conseguenza a subire un assedio nell’assedio: riportati di forza alla miseria della loro condizione umana, i pretini fanatici si erano dati ad assaltare i bagni del giornale, naturalmente solo quel paio di locali diroccati destinati ai redattori, perché la porta del meraviglioso bagno dirigenziale rimaneva comunque chiusa alla truppaglia clericale.
La chiave di quel paradiso orientale, ricco di frasche, sorgenti e di aromi, se ne restava infatti ben occultata nei calzoni di Frangiflutti, pantaloni la cui ottima fattura era testimoniata anche dalla taschina segreta in cui la teneva, unitamente ad alcuni biglietti autografi del Sen. Ciccibon, ai quali il Direttore era particolarmente legato.

Il bagno del Direttore del Fogliaccio

Perfino un olimpionico del carrierismo come Frangiflutti di tanto in tanto aveva qualche debolezza emotiva, e quello era uno di quei casi: era molto legato a quei pizzini, scritti a mano, con mille difficoltà, in un buffo vernacolo romanoveneto, perché essi contenevano infatti i primi ordini che il voluminoso politico del Partito Vichingo gli avesse mai impartito in merito alla linea politica che il Fogliaccio avrebbe dovuto seguire.
Il direttore li aveva legati con un nastrino rosa per portarli a casa e metterli nello stesso contenitore, la bella scatola in latta istoriata dei biscotti “Pappafichi”, in cui, ordinatie in pacchetti del tutto simili, Frangiflutti conservava le istruzioni a lui indirizzate dai politici che per decenni erano stati i signori delle locali maggioranze, tutte a senso unico, i padroni della città e suoi.
Anche le massime affaristico-littorie del suo indimenticato mentore Cicciafico, riposavano in quel sacro scatolo, insieme con la sua ricetta autografa dei rigatoni con la pajata.

Era tutta carta di devozione, documenti che si erano accumulati in tempi felici, ben prima del malaugurato incidente politico di qualche anno prima, ovvero l’apocalittica vittoria alle elezioni amministrative di un usurpatore civico, che aveva addosso un disgustoso odore di onestà e sinistrismo.
Era stata una vittoria raggelante, sovversiva, che Frangiflutti, dal giorno successivo alla tragedia, col suo giornalismo, prono e rotto ad ogni trucchetto, aveva prontamente cercato di scardinare.
Ora, però, braccato dai tamponatori, tendeva l’orecchio ai minimi rumori, ma la strada sottostante gli rimandava solo il silenzio di chi a quell’ora stava certamente attrippandosi di robaccia al ristorante.
Un primo, doloroso morso della fame gli serrò lo stomaco.

Quei maledetti dovevano immaginare che loro, gli assediati, si sarebbero trovati a corto di viveri, tant’è che l’ultima gracchiante comunicazione, via megafono, di quell’irritante virologo, pareva costruita su quella certezza, e ancora gli girava per la testa:

“Direttore, sono ancora io a parlarle, Giangiovargio Bassezza, il virologo.
Sia ragionevole, dia retta al suo corpo, faccia questo benedetto tampone e si tolga il pensiero: in tutti i casi le andrà bene.
Se risulterà positivo potrà permettersi il lusso di vivere una quarantena dorata in una stanza a cinque stelle della clinica “Santa Perifrastica Martire Straziata” il cui ultimo menù, quest’oggi prevedeva:

Mi ha sentito Direttore?
Se poi risulterà negativo, ancora meglio: sarà libero di proseguire il suo stimabile lavoro e, magari, fare un salto al “Tralcio Appetitoso”, dove oggi ai fedeli clienti propongono:

RAVIOLONI ALLA CREMA “DIO NE SCAMPI” DI SORRENTO
FRITTURONA IMPERIALE MISTA DI GAMBERI E CALAMARISSIMI IN ODORE DI BERGAMOTTO
SCOMPOSTA DI ZUPPA INGLESE CON PRESUNZIONE DI SAVOIARDI ECCITATI”

Frangiflutti si teneva lo stomaco, che ormai urlava come una gatta in calore, maledicendo il virologo.
Ma quello non mollava e riprese:

“Si conceda un po’ di riposo dopo tanto lecch… lavoro, Direttore, e preservi la sua salute, che ci sta a cuore.
A questo proposito consideri anche che le verrà messo a disposizione, per generosa volontà dell’Amministratore Delegato della Pia Opera del Divino Rancore, Dott. Armido Strabattona, un affermato psicologo, per affiancarla psicologicamente, in caso di una sua eventuale positività.

Rapallo, a quel punto fece un fischio espressivo e chiese a Lallo: Nientemento! Pure lo psicologo gli darebbero!!
Ma se nemmeno sua madre ha trovato tracce di psiche in Frangiflutti!
Sai anche chi dovrebbe essere questo temerario esploratore, Tarà?”

Lo psicologo, il Dottor Magnesio Abisurato

“Bah, -rispose Lallo- sembra che questo tizio, il Dottor Magnesio Abisurato, non sia un professionista di primo piano, e tra i colleghi psicologi non gode neppure di particolare stima.
Cervellenstein, che, naturalmente, lo conosce, mi ha detto che è una mezza cartuccia che prende un po’ quel che trova: ha uno studio dove va qualche raro disperato, ma accetta anche lavori esterni scartati da tutti i colleghi.
Pensa che uno dei suoi ultimi incarichi è stato il far parte di un gruppo di supporto psicologico per calzini spaiati, figurati tu!”

“Mah, su quel fatto lo capisco pure – replicò Rapallo con aria pensosa – in effetti poche cose sono più tristi di un calzino spaiato”.

Una scia di dense, malinconiche suggestioni viaggiò brevemente tra loro , evocata dalle parole di Rapallo, ma, appena un paio di minuti dopo, i due giornalisti spalancarono spasmodicamente la bocca e strabuzzarono gli occhi, proprio come un sordo penetrato, nonostante tutto, dalle stecche di Jovanotti.
Erano stati di botto investiti da una sorta di uragano chimico, che gli aveva rovesciato le narici, appunto come dei calzini, facendoli sbandare: un Marzio Taruffi, molto arricchito nel suo bouquet di lezzi, da un intenso periodo festivo, materializzatosi improvvisamente, si diede a fare le feste ai colleghi, come un cagnone affettuoso.

“Accidenti Tarù! Potevi avvisare!”,

gli strillò contro Rapallo, al quale per il terrore si erano addirittura seccate le ascelle.
Marzio non ebbe neanche modo di replicare perché venne subito preso in consegna da Giangiovargio Bassezza, il virologo, che prudentemente si era calato il casco in testa, e da un paio di celerini che erano stati risparmiati dai borborigmi intestinali.
Taruffi, così sballottato, un po’ si smarrì per quella accoglienza inaspettata.

“Perfetto – constatò Bassezza– vedo che lei è finalmente arrivato e, dall’accartocciamento della mia visiera, mi accorgo anche che lei è davvero all’altezza della sua fama, caro signor Taruffi.

Marzio Taruffi

Ora dovrebbe solo salire in redazione e star lì per un po’ di tempo: potrebbe scrivere un pezzo o, magari sistemare la sua scrivania.
In sostanza, non ha importanza cosa farà, cerchi solo di trattenersi il più a lungo possibile, anzi, faccia una cosa ora: butti giù un tramezzino prima di muoversi, perché poi non deve assolutamente portare su nulla di commestibile!”

“Ma io ho i miei snack di sopra!”,

disse Taruffi, perplesso.

Io non ci conterei troppo, quei disperati li avranno già disintegrati.
Mi dia retta: si mangi il tramezzino e corra in redazione”.

Il portico intanto si era parecchio animato, tutti attendevano che Marzio Taruffi finisse di mangiare il suo tramezzino al prosciutto, maionese, insalata, cetriolini, salmone, uova, mozzarella di bufala e salame.

Edo e Dado, i due infermieri energumeni, alla vista del tramezzino scelto dal cronista più sporco del pianeta, si erano allertati per una eventuale ed ineccepibile lavanda gastrica; Padre Cienfuegos, data la sua avversione per Gladio Maria e i suoi accoliti, sotto sotto sperava in un fallimento del tentativo Taruffi e in una conseguente risoluzione a botte della questione; Tarallo e Consuelo si guardavano con piena soddisfazione negli occhi, mentre il virologo controllava la lunghezza e la muscolatura dei suoi tamponi.
Il dottore rimuginava sull’effetto omerico dell’idea di quella ragazza: non si era mai visto un cavallo di Troia altrettanto supermaleodorantissimo.

“Funzionerà, pensava: se quel Direttore così ostile ai doveri civici, fosse stato davvero positivo avrebbe perduto i sapori, vero, ma non certo la capacità di percepire gli odori, e poi, che odori!!

Venne davvero, infine, il momento di Taruffi, che, dopo un breve saluto a Tarallo e Rapallo, entrò nel portone, sparendo in breve alla vista degli astanti.
A quel punto, come dal nulla, si materializzò un sacerdote dall’aria svelta e sorridente.
Senza considerare nessun altro, si presentò a Rapallo:

“Caro Direttore in pectore, sono Don Plinio Spirito e mi manda Monsignor Missitalia: sono il negoziatore”.

Don Plinio Spirito

“Oh, sì, certo, il negoziatore! –
esclamò Lello, impressionato, mentre un nuovo fiotto di sudore, impetuoso, come da sorgente, gli scorreva per le ascelle – non l’aspettavamo padre, ma siamo felici della sua presenza.
Posso anticiparle, però, che secondo le nostre previsioni non sarà necessario ricorrere alle sue preziose doti”.

“Benone- rispose Don Plinio – se così fosse, sarei comunque soddisfatto, e con me il monsignore”.

Cinque minuti trascorsero in un silenzio irreale, poi, dapprima lontano, poi sempre più vicino, si fece largo un suono lungo, che venne infine qualificato come un gemito raccapricciante e subito dopo, in una delle finestre del primo piano, si vide spuntare il lembo di una tonaca, poi una gamba impegnata a debordare e la faccia sofferente di uno dei preti assaltatori ultraintegralisti di Don Lidio.
Ci fu un generale mormorio di paura: l’effetto Taruffi era stato evidentemente esagerato: in pochi attimi tutte le finestre vennero occupate da pretini, mezzo gasati dal cronista, che si contendevano il sollievo di buttarsi giù per primi.
Fu allora che le doti di negoziatore di Don Plinio tornarono inaspettatamente utili: la promessa di una punizione moderata, consistente in un periodo di soli otto anni di esercizi spirituali a Ganja, in Azerbaijan, condusse ad una resa incondizionata e completa di quel gruppo di religiosi fanatici.
Ultimo ad arrendersi al tanfo palestrato di Taruffi fu il Direttore del Fogliaccio, Ognissanti Frangiflutti che uscì a testa china.
Aveva ancora l’elmo vichingo in capo, con le corna ripiegate in giù dalla mestizia e l’espressione depressa di una belva appena stanata.
Preso in consegna da Edo e Dado, rilasciò una sola, scarna dichiarazione:

“Datemi da mangiare, accidenti! Ho una fame così tremenda che nemmeno la puzza di Taruffi me l’ha tolta: datemi qualcosa da mettere sotto i denti, fosse pure la pajata!”.

Questo suo desiderio doveva tuttavia restare ancora per un po’ inappagato.
In mezzo secondo, infatti, le sue narici vennero affrontate ed esplorate dal voglioso cottonfioccone del virologo Giangiovargio Bassezza, che, eccitatissimo, promise a quel relitto umano un referto celere.
Lallo Tarallo e Lello Rapallo si accinsero allora a salire in sede, in compagnia di Consuelo e di Don Plinio Spirito, che stando al suo fianco guadagnò dieci centimetri in altezza.
I due giornalisti, giusto pregarono a strilli Taruffi, di tenere ancora aperte le finestre fino a data da destinarsi, freddo o non freddo.

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

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