The Age of The Quarantine in Taralloland

In apparenza non si poteva eccepire alcunché sul conto della “Clinica Santa Perifrastica Martire Straziata”, una struttura modernissima, gestita dalla “Congregazione di Vita per la Santa Imprenditoria Cinica”, posta nella periferia nord della Capitale, in una zona selvaggia, ma stranamente servitissima.

La bella e imponente costruzione era circondata da un bosco di quattro ettari che si apriva armonicamente in tre radure attrezzate, sulle quali sorgevano il Teatro Autodafé”, il “Ciclomartir”, ovvero il velodromo per guardie svizzere cicliste, e l’Auditorium “Santa Perifrastica Scomposta”, progettato per ospitare circa milleduecento spettatori, duemila dei quali paganti.
Nonostante la zona in cui sorgeva fosse in parte ancora inesplorata e circolassero alcune inverosimili leggende su bestie feroci e sconosciute che l’avrebbero infestata, sul piano dei collegamenti la clinica era a postissimo.

Sei linee urbane di bus avevano il loro capolinea nel piazzale antistante il grande fabbricato; un ramo nuovissimo e diretto della metropolitana, la Linea 3 Eur-Perifrastica, giungeva proprio dinanzi all’ingresso della clinica, ed infine i malati e i parenti potevano raggiungerla comodamente anche con l’aereo, atterrando nel piccolo scalo aeroportuale “Rome-PerifrAir”.
Dopo la conferma del suo avvenuto contagio, ed in seguito al personale e premuroso interessamento di Monsignor Angiolo Missitalia, Il D.T.P., Direttore Temporaneamente Positivo, Ognissanti Frangiflutti, era stato trasportato e ricoverato in quella struttura modello per vivervi al meglio il periodo della sua quarantena.
La camera che gli era stata assegnata era grande, luminosa e molto ben attrezzata, ideale per chi si trovasse nella condizione di dover stare forzatamente lontano dai contatti umani quotidiani e che dovesse quindi far trascorrere il tempo in serenità e letizia.
Innanzitutto nella stanza aleggiava un delicatissimo profumo di violetta dell’Oceania, che certamente doveva essere di gran conforto per chi era giunto in quell’ambiente sotto la spinta del micidiale afrore di Taruffi.

La stanza del Direttore Frangiflutti presso la clinica

Una tivvù a circuito chiuso trasmetteva a ciclo continuo fantastiche agiografie, tra le quali, a parere della critica, risultava indimenticabile il docufilm sul viaggio da Damasco a Bellinzona delle spoglie di San Bitter e sulla loro moltiplicazione miracolosa: all’arrivo del corpo in Svizzera, furono infatti omologate sette tibie; tre clavicole, quattro malleoli e cinque orecchie, nonostante la leggenda parlasse della forte sordità del santo.
Nella grande stanza Frangiflutti aveva a disposizione anche tutti gli episodi della vecchia serie “Zorro”, ed ogni mattino, sempre nella tivvù interna, era in programmazione una incredibile, accuratissima, rassegna stampa, curata da Padre Telesio Ondacorta, che riportava le prime pagine e le notizie di quasi tutti i quotidiani nazionali ed internazionali.

Padre Telesio Ondacorta

Il frigobar interno era stipato con ogni genere di bibita, incluse alcune ormai rare, come la spuma ed il tamarindo, e conteneva anche una ottima selezione di snacks, qualcosa di così eccitante che avrebbe fatto saltare in aria dall’entusiasmo lo specialista Taruffi, che ne era ghiotto.
Tutte quelle comodità potevano tuttavia rallegrare poco il Direttore del Fogliaccio che era giunto in quella benemerita struttura in condizioni psicologiche precarie, soprattutto a causa della sua momentanea, almeno così sperava, caduta professionale.
Certamente lo angustiava, e non poco, il verdetto inappellabile di positività pronunciato a suo carico, un evento che per diversi giorni si era sforzato di snobbare, aiutato dalla feroce volontà di resistere al suo posto di comando del giornale.
Ora, invece, caduta ogni resistenza, con la certezza del male, i miasmi della paura e una vecchia ipocondria repressa, avevano iniziato ad infettarlo, quasi più del virus.
In questo stato d’animo estremamente apprensivo, il peso di certe vecchie letture scolastiche, soprattutto di notte, veniva a turbarlo: si svegliava in un lago di sudore e spesso alzava il braccio, scrutandosi affannato l’ascella, come per terrore di trovarvi spuntato qualcosa di orribile.

C’è da aggiungere a questo quadro d’ambiente, che il personale della Clinica “Santa Perifrastica Martire Straziata” era puntuale e garbatissimo, dal primario del reparto Malattie Infettive, Prof. Erzinio Eboloni, fino all’ultimo dei portantini, l’oriundo giavanese Tammaro Tartan.
Ogni giorno Frangiflutti veniva rigirato come un calzino nel corso di visite estremamente approfondite, e ormai si era abituato ad essere maneggiato, tamponato ed analizzato di continuo da torme di sanitari in tuta spaziale, trattato con cura maniacale, come se fosse l’unico positivo al mondo!
“Il Monsignore si è tanto raccomandato: dovrebbe vedere come ci tiene a lei, Direttore!”,
gli dicevano i professoroni sorridenti per spiegare l’esagerata attenzione nei suoi confronti.
Così lui schiumava:
“Altro che tenere a me: quel verme con la tonaca vuole solo assicurarsi che io resti fuorigioco per tutto il tempo che gli è necessario a farmi fuori definitivamente”.
E subito gli si inacidiva lo stomaco per la rabbia.
In un primo momento, diciamo nella prima settimana di quarantena, l’illustre ricoverato non ebbe sintomi particolari, se si eccettua la già riscontrata difficoltà a distinguere il sapore di una Chocroute alsacienne da quello di un panino al polistirolo, ma col passar dei giorni, Frangiflutti mostrò qualche altro tratto strano, qualcosa che gli stessi medici non sapevano bene se attribuire al covid 19 o a qualche altra patologia.

La Chocroute Alsacienne

Intanto un insolito colorito verde brillante gli stazionava in volto, la stessa tinta che avrebbe entusiasmato uno studioso immerso nelle acque dell’Orinoco, vedendola addosso ad una Sphaenorhynchus caramaschii, una ranocchia comune nei bacini amazzonici.
Non era ancora chiaro se quel colore, malsano in chiunque non fosse quell’anuro, si dovesse ad uno scherzo del dannatissimo virus o se dipendesse dai malumori di un fegato, scosso da troppe disavventure.
Quelle, peraltro, non erano le uniche manifestazioni anomale che lo affliggevano.
Ad esempio, se gli veniva richiesto di farlo, gli riusciva difficilissimo pronunciare con scioltezzza la parola “parallelepipedo”, impuntandovisi puntualmente, ma era in grado di cantare per intero la canzoncina “Supercalifragilistichespiralidoso”, tratta dal musical “Mary Poppins”, senza un inciampo o una stecca, interpretandola, anzi, con uno slancio stridente con una natura gretta come la sua.

L’equipe medica, intanto, seguiva con attenzione il fiorire di questi sintomi ancora inediti della malattia, chiedendosi se si trattasse di una variante hollywoodiana del virus.
Così non appena Frangiflutti iniziava a cantare a tutto polmone la famosa canzone scioglilingua, la direzione sanitaria, ovvero il Professor Eboloni, aveva dato istruzioni di provare a comunicare col paziente anche su quel piano, ed ecco spiegato il motivo per il quale quel suo vezzo canoro trovava una adeguata e pronta risposta da parte di Bartolomeo (Bart) Monobloch, l’infermiere più esteso dell’emisfero occidentale, un omaccione dall’aspetto raggelante, che a quel punto, mentre gli porgeva una muscolosa pasticca di antibiotico Ursus da 600 mg, in un sorprendente falsetto, gli cantava di rimando l’altrettanto celebre brano “Basta un poco di zucchero e la pillola va giù”.

Lo staff aveva anche notato che Frangiflutti girava spesso inquieto per la sua stanza, con aria febbrile, tanto che si misurava frequentemente la temperatura con lo sparotermometro che aveva in dotazione.
Era agitato come chi sta concependo un qualche piano, o seguendo un’idea folle.
Di tanto in tanto mormorava a fior di labbra strane parole, poco comprensibili, forse sigle di organismi immaginari: infermieri e medici si rompevano la testa nel cercare di capirle, ma il paziente, non appena si accorgeva di essere osservato, smetteva immediatamente quel sommesso parlarsi addosso.
Quelle sigle oscure, pronunciate come un mantra, non testimoniavano in realtà alcunché di neurologicamente scorretto, tutt’altro.
Chi avesse buona memoria delle vicende taralliane, ricorderebbe, infatti, che qualche anno prima Lallo e i suoi amici avevano scoperto che Ognissanti Frangiflutti era iscritto ad una associazione dal carattere sfuggente, la SNTSFDC, ovvero la Società Non Troppo Segreta Facce Di Chiappa, venendo a sapere anche che essa intratteneva traffici sotterranei, nazionali e internazionali, e che aveva solidi agganci col mondo che contava, alcuni dei quali tenuti davvero nascostissimi.
Erano collegamenti inconfessabili con una parte dell’universo politico conservatore e ultraconservatore: erano molto stretti e riservati, ma la banda Tarallo, attraverso vari pedinamenti notturni, era riuscita a individuarne uno, piuttosto scottante: quello con l’ex Ministro degli Interni Mattia Rozzini.

Il Direttore Temporaneamente Positivo, che invocava a labbra strette il suo acronimo, ora cullava il proposito di chiamare in suo aiuto la SNTSFDC: aveva un dannato bisogno dell’intervento della società per togliersi da quella situazione.
Avrebbero dovuto intervenire, subito, ancor prima che scadessero i termini della sua quarantena, sempre che, Dio non volesse, lui non dovesse incappare in qualche peggioramento clinico.
La loro missione stava nel porre le premesse per il suo veloce e indiscusso reinsediamento al timone del Fogliaccio Quotidiano in seguito alla sua dimissione dalla clinica.

Il guaio era che in quella prigione dorata non aveva modo di comunicare con l’esterno.
Non aveva con chi parlare e i cellulari erano proibitissimi: si stava consumando nella noia e nell’impotenza, per quanto la cucina del posto fosse di qualità sensazionale.
Ormai aveva visto e rivisto decine di volte i vecchi telefilm di Zorro, affezionandosi teneramente al servitore di quest’ultimo, il muto Bernardo, soprattutto perché il silenzio al quale era stato ridotto, gli faceva sentire una certa affinità con lui.
Anche sul versante agiografico Frangiflutti, col tempo, si era rivelato sempre più fragile, debole al punto che era scoppiato in singhiozzi a metà del pur meraviglioso documentario su San Bacolo di Sorrento.

Luca Giordano- I santi protettori di Napoli adoranti il crocifisso.
(San Bacolo è sulla sinistra nelle sue vesti da vescovo)

La sua condizione psicologica era dunque destinata a precipitare.
La cosa, immancabilmente, avvenne la mattina in cui, sbirciando fuori della sua camera, si accorse che uno degli infermieri aveva lasciato su una sedia una copia del SUO giornale!

Il SUO Fogliaccio!!

Il Direttore, con gli occhi fuor di orbita, si appostò, attese il momento adatto, poi sgattaiolò fuori arraffando il quotidiano. Una volta che fu al sicuro in camera sua, lo aprì, lesse il vistoso titolo, e perse i sensi:

E il sottotitolo recitava:
Inchiesta del nostro Tarallo sul business dello smaltimento dei rifiuti in città e in provincia.
Gli enormi affari e la capillare corruzione che quel settore implica.
Per quanto resteranno in ombra gli insospettabili protettori politici e i loro complici nel mondo dei media?

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

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