Scene di vita quotidiana a Tarallopolis

Un sole accecante, quasi una promessa d’estate, abbagliava la gente che dai corridoi del supermercato, illuminati ad arte per rivelare al meglio le merci esposte, passava al parcheggio, spingendo carrelli pieni di cose che si sarebbero presto rivelate oggetto di spreco.
Auto cariche di bramosi consumatori mordevano il freno col motore acceso, in attesa che qualche cliente scaricasse il mal comprato nel proprio bagagliaio per poterne occupare il posto macchina, e nell’attesa faceva ascoltare al mondo una letale selezione di neomelodici.

Capita però a volte di puntare sul cavallo sbagliato, e così l’impazienza del tizio che incombeva rombando su uno spazio che stava per liberarsi, non di rado incappava in braditipi, in gente cioè  metodica e lentissima che non si limitava a piazzare le buste con la spesa nel vano della propria auto, ma che nel farlo seguiva un rituale preciso ed invariabile, disponendo buste e prodotti secondo un ordine prestabilito, meticoloso ed ineluttabile come il disturbo nevrotico ossessivo che evidentemente l’affliggeva.
Naturalmente questo genere di atteggiamento produceva un effetto devastante sul tizio che aspettava di occupare quel parcheggio, il quale, ingombrando spazi percorribili, era a sua volta incalzato da autisti sopravvenuti e anch’essi in fregola di sosta, gente irosa e pronta a menare il clackson.
Inutile precisare che il clima giocava un ruolo complementare, che talora risultava decisivo nelle questioni di ordine pubblico del parcheggio del supermercato, come pure nelle relazioni tra i membri di quella variabile comunità.

Gli estremi climatici: pioggia,  freddo e vento da un canto, sole cocente e caldo intenso dall’altro, erano in grado di esasperare gli animi dei pellegrini in cerca di un posto dove piazzare la propria auto, amplificandone le reazioni fino a renderle frequentemente belluine.
Abdhulafiah, ad esempio, che da anni aveva fatto di quel parcheggio una sorta di personale ufficio di consulenza finanziario-filosofica, ricordava battaglie feroci che vi erano esplose di colpo, tumultuosamente, per quelli che i colleghi cronisti di Tarallo avrebbero immancabilmente etichettato come “futili motivi”.

Era ancora vivissimo in lui un ricordo dell’anno precedente. Si era nel mese di luglio e l’estate afosa che da tempo stava tormentando gli abitanti della città, fasciandola d’un caldo umido esagerato anche per zone tropicali, aveva allestito un sabato dalla temperatura quasi surreale: un caldo criminale stordiva annichilente uomini e armenti.

Sudavano le strade, smocciolando asfalto, sudavano i pali della luce dal metallo arroventato e cotto, sbuffavano fumando i tombini, sollevandosi a prendere un filo d’aria, ronzavano esausti i condizionatori, sputando acque termali da motori rugginosi e impolverati.
Il parcheggio era completamente occupato, per quanto grande fosse, e alle rarissime partenze di consumatori dalle brame già soddisfatte, facevano riscontro i troppi arrivi di altre macchine, auto che tentavano vanamente di inserirsi nel circuito infernale di coloro che giravano senza sosta, vagheggiando un posto.
L’aria condizionata, tenuta al massimo negli abitacoli aggrediti  dal morso del sole, situazione costosa la cui somma energetica aveva già causato il distacco di un cospicuo costone di ghiaccio nella lontana Terra di Baffin, non bastava più a tenere in  fresco il temperamento  dei conducenti, un’ indole che in breve tempo stava rivelando in moltissimi un inedito versante di brutalità.

Uno di essi, Omar Tressette, uomo dalle mirabolanti intolleranze personali, quel giorno era stato spedito da sua moglie al supermercato: avevano ospiti a pranzo e mancavano diversi ingredienti per realizzare il menù che la signora aveva in testa.
Al secondo giro di ricognizione alla ricerca di un parcheggio, Tressette, che da tempo era in cura presso il Professor Cervellenstein per sedare le sue mille intemperanze, mostrava già i primi sintomi di insofferenza.
Cosette da nulla, per il momento: l’arrossamento innaturale delle orecchie e la tendenza a fischiettare ossessivamente“Granada” tra i denti.
All’uomo non parve vero notare prima di chiunque altro un tizio con gli occhiali spessi, da talpa delle caricature, un tale dall’aria anonima, con un cappelletto qualsiasi in testa, che caracollava dal supermercato al parcheggio con due buste cariche di roba in una mano ed una chiave a penzolare in modo promettente dall’altra.
“E’ mio!”, pensò immediatamente Tressette, piazzando le gomme della sua macchina dietro i polpaccetti pensosi di quel tizio e tenendogli dietro piano piano finché quello non si fermò davanti al bagagliaio di una Fiat Tipo color verdastro, auto dall’aspetto dimesso e depresso.

Omar Tressette
Omar Tressette

Omar Tressette si pose ad aspettare, certo ormai di aver stanato la preda, proprio come fa un collezionista di stecche accingendosi ad ascoltare un pezzo di Jovanotti.
Era tanto eccitato dalla sicurezza di piombare su quel posto auto che si accorse che la salivazione gli era aumentata.
Quello che non poteva sapere era che il proprietario dell’auto in procinto di sgombrare, il cliente appena uscito dal supermercato, era Ermete Soufflè, un uomo così metodico e lento da guadagnarsi il soprannome di “Bradipo Morto”, quasi un nome da pellerossa, presso quei pochi che avevano avuto a disposizione tutto il tempo del mondo per diventargli amici.

Soufflè, insomma, era uno di quei tipi che programmava con cura anche i suoi singoli atti respiratori.
Tressette lo vide piazzarsi davanti al bagagliaio aperto e portare subito la mano al mento con aria dubbiosa.
Stette in quella posa per più di un minuto, picchiettando in terra con la punta di un piede.

Allungò infine una mano verso l’interno e la riestrasse tenendo tra le dita un microscopico pezzettino di carta che, scuotendo la testa con aria di disapprovazione rivolta a chissà chi, buttò poi in terra.
E mentre Tressette in agguato con la sua auto, da “Granada” passava a fischiettare nervosamente “ Pietre”, Bradipo Morto tornò ad osservare il vano vuoto del bagagliaio.
Fu a quel punto che dall’angolo in cui svolgeva il suo lavoro di consulenza volante, Abdhulafiah, che aveva appena congedato un cliente, rivelandogli in anticipo i termini del prossimo gigantesco accordo economico tra USA e Cina, notò un filo di fumo levarsi da una macchina che sembrava incombere su un’altra regolarmente parcheggiata.

Si avvicinò preoccupato, ma si accorse che non si trattava di fumo, ma di vapore, sudore surriscaldato che proveniva dal tipo all’interno dell’auto, quello che stava aspettando impaziente che l’altra macchina si levasse di torno. Soufflé in cinque minuti aveva disposto all’estremità destra del bagagliaio una confezione con sei barattoli di conserva di pomodoro, che dopo un altrettanto lungo periodo di riflessione, aveva deciso infine di spostare nell’angolo sinistro, emettendo un impercettibile grugnito di soddisfazione.

Ermete Soufflè detto “Bradipo Morto”

Tressette, sempre più esasperato, fumando come il comignolo della baita di Heidi a dicembre, fischiettava ormai pezzi dei Metallica.
Alle sue spalle intanto, una signora anziana al volante di una vecchia Uno, si era bloccata: non riusciva a passare nell’ampio tratto di spazio lasciato da Tressette, mentre questi, in doppia fila, attendeva di piazzarsi al posto di Soufflè.
Onestamente era uno spazio attraverso il quale si sarebbe potuta infilare agevolmente una portaerei, ma la signora era un tipo poco convinto dei suoi mezzi e, paralizzata e tentennante, non trovò di meglio che attaccarsi al clackson riversandone i poderosi guaiti nelle orecchie di Tressette.
Dicono che l’effetto di molti tipi di gas nervino è quello di aumentare a dismisura l’eccitazione di chi ne viene investito, portandolo a scoppiare in una risata nervosa, tremenda e sentirsi e irrefrenabile.

Non è infrequente che prima di rantolare negli spasimi di morte, la vittima abbia nel frattempo compiuto, ridendo come un pazzo, la strage completa di ogni essere ad essa limitrofo.
Su Omar Tressette, noto alla comunità scientifica per le sue idiosincrasie ed intolleranze, una delle collezioni più sontuose d’Europa, il clackson della signora produsse un effetto analogo e fulminante.
L’ometto uscì d’un balzo dalla sua auto, raggiunse Bradipo Morto che da sette minuti, concentratissimo, stava studiando dove piazzare una confezione di carta igienica triplo velo, e levandogliela dalle mani e aprendola, gliene strofinò energicamente una bella striscia sulla faccia, strillando a pieni polmoni:”

E’ qui che la devi usare! E’ qui!”.

Estrasse poi dal bagagliaio di Ermete Soufflè un barattolo di pelati e lo lanciò contro la Uno della signora che continuava a suonare il clackson.
La mira di un uomo esasperato, in molti casi si rivela fallace, così il barattolo, invece di sedare la vis suonatoria della signora, si stampò sul grugno di un tizio assai spazioso, appena sceso a fatica dalla sua esigua Smart.
L’uomo, ripresosi dal dolore acuminato che lo aveva paralizzato per qualche istante, e rivelatosi di indole poco accomodante, senza nemmeno perdere tempo per stabilire chi lo aveva colpito, si diede a pestare ogni essere respirante che si aggirasse nei suoi dintorni.

Abdhulafiah, sempre lesto di mente, previde subito che per contagio spontaneo sarebbe scoppiata una rissa gigantesca, un marasma tremendo in stile Vecchio West, e rapidamente prese a svignarsela. Fu facile profeta: in pochi minuti l’enorme parcheggio si era tramutato in un unico, multiforme ring di pugilato.

Scappando, Abdhulafiah incrociò un tizio con un taccuino in mano che gli diede un’occhiata penetrante. 

Due giorni dopo, nella quieta penombra del suo studio, il Professor Cervellenstein ascoltava pensoso il racconto di un Omar Tressette, ancora sovraeccitato, pesto come una vongola sbattuta e steso dolorante sul suo divano mordace.

Sul tavolino stava poggiata una copia del Fogliaccio quotidiano. Titolava:

“Migranti questuanti: si accende una rissa al Supermercato!”.

Abdhulafiah ricorda ancora che per via di quel titolo bufala i suoi affari, nel mese successivo, ebbero una contrazione del 16%.            

Il professor Cervellenstein
Il professor Cervellenstein

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *