Flann O’Brien: Una Pinta di Talento Irlandese


“Secondo inizio: Non c’era nulla di insolito nell’aspetto di Mr John Furriskey, ma in realtà egli possedeva un tratto distintivo piuttosto eccezionale: era nato all’età di venticinque anni ed era arrivato al mondo provvisto di una memoria ma di nessuna esperienza personale che la giustificasse. I suoi denti erano ben fatti ma sporchi di tabacco, con due molari impiombati e la minaccia di una carie nel canino sinistro. La sua conoscenza della fisica era moderata: arrivava fino alla legge di Boyle Mariotte e al Parallelogrammo delle forze…”.

Quello che avete appena letto è il secondo dei tre incipit con i quali inizia il romanzo di Flann O’Brien “At swim two birds”, tradotto in italiano col suggestivo titolo “Una pinta di inchiostro irlandese”. Tre partenze contemporanee per uno stesso romanzo, e che partenze poi! Non c’è davvero bisogno di essere critici letterari per rendersi conto, anche dalla lettura di un frammento così breve, dell’originalità e della non comune capacità inventiva di chi lo ha scritto. L’ennesimo irlandese.

Ho sempre pensato che debba esserci un qualche nesso tra l’insularità e la tendenza a produrre letteratura.
Tutti sappiamo quanto e quale spazio occupino ad esempio  gli scrittori siciliani in una letteratura come quella italiana che fin dai suoi più precoci esordi ne vide tanti operare. Numerosi al punto che il movimento poetico di rimatori che scrissero nel volgare, primo vagito letterario della nostra lingua, venne definito appunto Scuola Siciliana. Quello che i siciliani hanno fornito alla letteratura italiana è un apporto che non è mai venuto meno, costante e florido fino ai nostri giorni.

Allo stesso modo non c’è dubbio che l’Irlanda sia universalmente e giustamente nota come terra di scrittori e che la sua importanza nel panorama letterario mondiale, per il numero e qualità degli autori che può vantare, sia rilevantissima.
Da Sterne a Swift, da Yeats a Wilde, da Bernard Show a Beckett, da Joyce a Brendan Behan, solo per ricordarne alcuni.

Cosa si potrebbe ricavare da un’osservazione di questo genere, non volendo pensare unicamente al lavoro felice del caso? Probabilmente che l’insularità di un luogo, comportando un maggior isolamento fisico dei residenti, favorisce la coesione sociale, coesione dovuta anche a fattori climatici e in grado di incidere in profondità sulla cultura del posto.
Questa condizione costituisce insomma uno stimolo rivolto alla comunità affinché stia insieme oltre il tempo del duro lavoro, immaginando e raccontando storie. Non casualmente le due terre prese ora ad esempio, la Sicilia e l’Irlanda, vantano anche una produzione favolistica tra le più consistenti d’Europa.

Comunque la si pensi sulla questione, l’ultima cosa che possa meravigliarci è la presenza di un autore così inconsueto, come Flann O’Brien, in un habitat così frequentato come quello degli irish writers.
Conosciuto soprattutto dai cultori della letteratura irlandese, un tesoro monumentale, come si diceva, il cui valore va ben oltre i confini dell’isola verde, O’Brien può esserne considerato uno del maggiori esponenti contemporanei.

La costante vena umoristica è una delle caratteristiche più connaturate alla letteratura di cui parliamo, quasi un suo marchio di fabbrica che pur nella grande varietà di scrittori e di scritture che la affollano, affiora inevitabilmente, perfino nelle pagine di romanzi pervasi dal dramma.

Almeno sotto il profilo dell’umorismo dunque, Flann O’Brien può essere considerato uno scrittore pienamente inserito nel mood letterario del suo paese.
La sua storia personale, ed in particolare la sua infanzia, hanno fatto il resto del lavoro, fornendogli un imprinting particolare e condizionando una parte decisiva della sua formazione, quel che, insomma, lo ha reso una voce dalle caratteristiche uniche.

Romanziere, polemista e redattore di una rubrica satirica, lo scrittore, il cui vero nome era Brian O’ Nolan, seppe miscelare infatti la tradizione letteraria irlandese, profondamente intrisa di motivi folklorici, con quella, più antica, delle leggende celtiche, condendo il tutto con un’inventiva sfrenata ed un umorismo surreale di grande effetto narrativo.

La sua perfetta conoscenza dell’eredità culturale irlandese più remota fu del resto la naturale conseguenza dei suoi primi anni di vita e dell’ambiente in cui li trascorse. Nacque infatti nel 1911 nella Contea di Tyrone da una famiglia medio borghese e la sua lingua madre fu il gaelico irlandese. Fino ai sei anni di età, anzi, non conoscendo affatto la lingua inglese perché suo padre si rifiutava di insegnargliela, fu un bambino che conduceva un’esistenza abbastanza isolata.

Col trasferimento della famiglia nella città di Strabane, il piccolo iniziò lo studio della lingua dei colonizzatori. Dal 1930 in poi O’Brien studiò all’University College di Dublino. Durante il periodo universitario prese a scrivere con grande costanza e fu membro della ben nota Literary and Historical Society.

Scrisse in particolare un abbozzo di romanzo nel quale i personaggi cercano di autodeterminarsi sfuggendo al controllo dell’autore. In quell’opera venivano anticipate molte delle idee che andranno a confluire nel suo “Una pinta di inchiostro irlandese”. Dopo la laurea Flann, o meglio, Brian, che aveva studiato il tedesco, trascorse parte del 1933 e del 1934 in Germania, in particolare a Colonia e Bonn, ma pochissimo si è potuto ricostruire di quel periodo e del genere di vita che lo scrittore vi condusse.

Terminata l’esperienza tedesca, O’Brien riuscì ad ottenere un posto di funzionario amministrativo.

In un periodo come quello che va dagli Anni Trenta ai Sessanta nel quale l’Irlanda, paese quasi totalmente agrario, visse stretta in una morsa di disperata povertà, un lavoro come quello di impiegato governativo godeva di un certo prestigio e metteva chi lo esercitava in una situazione di tranquillità economica che si estendeva anche alla futura condizione pensionistica.

Dublino 1930

I funzionari, tuttavia, erano considerati apolitici, ovvero al di fuori da ogni contaminazione con l’attività politica, estranei ad una possibile contiguità con essa. Questo era il motivo per il quale essi erano tenuti a rispettare alcune limitazioni.
Una di esse proibiva la collaborazione con giornali e periodici se non di volta in volta autorizzata dal dipartimento a ciò deputato. Fu questa la ragione per la quale Brian O’Nolan adottò il suo celebre pseudonimo. In realtà tutti i suoi colleghi sapevano chi si celava dietro quel nome e leggevano con interesse i suoi scritti, trovandoli divertenti.

Il suo primo romanzo, quello stravagante “Una pinta di inchiostro irlandese” cui abbiamo già fatto cenno, al suo esordio, nel 1939, ottenne scarso successo. La disavventura tuttavia non poteva certo comprimere una vena letteraria come quella di O’Brien, che seguitò infatti a scrivere, trovando nel suo mondo di autore straordinarie e imprevedibili vie di fuga dalla sua ordinata e poco entusiasmante esistenza di funzionario governativo.

Nel 1941 fece uscire “An Béal Bocht”, un lavoro scritto in gaelico, ed iniziò una collaborazione con l’importante quotidiano “Irish Times”, su cui tenne a lungo una rubrica satirica firmata con un altro pseudonimo, Myles na Gopaleen, nella quale prendeva di mira praticamente tutti i personaggi di rilievo di quel periodo: politici, scienziati, artisti e i sostenitori del Gaelic Revival, ovvero il movimento che a partire dalla fine del 1800 cercò di recuperare, quale patrimonio fondante della nazione, la lingua celtica irlandese che nell’uso quotidiano era stata quasi completamente dispersa dal sovrapporvisi della lingua dei conquistatori, l’inglese.

Nel suo romanzo breve “La miseria in bocca”, O’Brien tornerà a satireggiare ancora gli aspetti più retrivi e pedanti di quel movimento.

Nel tempo, le sue accuse acuminate, che mettevano in ridicolo la politica e le sue pratiche poco disinteressate, gli si ritorsero contro, così, nel 1953, perse il suo posto di lavoro. Gli rimasero a quel punto, quali fonti di sostentamento, solo l’attività giornalistica e quella di scrittore che finalmente, nel 1960, ebbe una svolta positiva col successo della ristampa di “Una pinta di inchiostro irlandese”.

Flann O’Brien al Palace Bar

Nel 1964 pubblicò “L’archivio di Dalkey”, un romanzo altrettanto originale e sorprendente in cui l’autore riutilizzava alcune delle idee  originariamente presenti in un altro suo capolavoro, “Il terzo poliziotto”, che era stato respinto da diverse case editrici. Quel romanzo straordinario fu pubblicato postumo nel 1967.

Flann O’Brien era venuto infatti a mancare nel corso dell’anno precedente.

Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.

 

 

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