Simone Weil: tra rivoluzione e misticismo

Di tutte le straordinarie figure femminili che hanno tappezzato il corso della Storia, lasciando testimonianze indelebili nei vari campi dell’arte, del sapere e del pensiero umano, una delle più originali ed insolite è stata Simone Weil che ancora oggi, come capita spesso in un mondo poco attento alla cultura, è sostanzialmente sconosciuta ad una robusta maggioranza di persone. Filosofa, combattente, sindacalista, ebrea e cristiana di nessuna chiesa è stata una dei personaggi più enigmatici del novecento, una donna che ha voluto provare sulla sua pelle tutte le esperienze che le parevano necessarie alla sua vita. Simone nasce nella famiglia ebraica del medico Bernard Weil e della russo-belga Selma Reinherz, il 3 febbraio 1909, a Parigi. Riceve un’istruzione laica, raffinata e dal respiro internazionale, ma improntata ad una sobria severità.

Simone e suo padre Bernard (1916)

Del suo periodo giovanile, trascorso con il fratello, scriverà in seguito:

Eravamo una famiglia molto unita. Nostra madre, per tutta la durata della guerra 14-18, volle seguire nostro padre in tutti i suoi spostamenti. Facevamo un trimestre qui, un trimestre là; abbiamo preso delle lezioni private e ciò ci ha permesso di essere molto più avanti negli studi dei nostri coetanei che avevano seguito i corsi normali”.

Con il fratello André impara a memoria “Cyrano”, la commedia di Rostand, recitandola insieme di fronte ai genitori. Da loro, lei e il fratello non ricevono mai giocattoli, solo libri, a testimonianza di un’educazione tesa a dare continui stimoli per originare una moltitudine di interessi.

Simone e André a Penthièvre (1918-1919)

Simone soffre fin dall’adolescenza di forti e ricorrenti emicranie e a quattordici anni si scontra con la sua prima crisi esistenziale. Si convince di essere stata avvelenata nel corso della prima infanzia e come forma di ribellione assume un aspetto trasandato, decisamente contrario alle convenzioni borghesi.

Simone nel 1921

Nonostante ciò la giovane continua ad essere considerata bella, tanto che ai genitori consigliano di farle fare del cinema. In questo periodo attraversa una crisi di sconforto adolescenziale che la porta vicina al suicidio ma che fortunatamente riesce a superare. Fino al 1928 studia in diversi licei parigini ed è allieva di Le Senne e di Alain. Nel 1931 arriva la laurea in filosofia e subito dopo Simone comincia a insegnare in vari licei di provincia. Inizia una militanza (pur senza iscriversi ad alcun partito) nei movimenti della sinistra rivoluzionaria.

Nella vita mostra un rigore che la distingue dai suoi coetanei, dei quali, pur condividendo gli interessi politici, teme l’amicizia e gli slanci amorosi. Lei infatti pensa che proprio nell’amore si annidino desiderio di dominio e  narcisismo. La Weil attinge da Marx l’idea della rivoluzione come ricomposizione dell’unità fra lavoro manuale e intellettuale distrutta dal capitalismo e quindi rivendica la necessità di riappropriarsi della cultura. La retorica della rivoluzione è invece per lei, analogamente alla religione, “oppio del popolo”, espressione ripresa dalla celebre definizione marxiana. All’inizio degli anni ’30, avvicinandosi al mondo del sindacalismo rivoluzionario, Simone elabora il nucleo essenziale della sua filosofia, un pensiero che farà di lei uno dei simboli della non violenza e dell’antimilitarismo.  Alcuni anni dopo, nel saggio “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale” prenderà corpo la descrizione dell’industria moderna come luogo in cui il lavoro umano si riduce a mera fatica, dove perciò soltanto il totalitarismo può prosperare. È lo stesso totalitarismo in cui si traduce qualsiasi forma di opinione organizzata, compreso il cattolicesimo, quando, esercitando un potere temporale, ha fornito un possibile modello agli stati dittatoriali.

“Viviamo in un mondo dove nulla è a misura dell’uomo; c’è una sproporzione mostruosa tra il corpo dell’uomo, lo spirito dell’uomo e le cose che costituiscono attualmente gli elementi della vita umana; tutto è squilibrio. Non esiste categoria, gruppo o classe di uomini che sfugga a questo squilibrio divorante, ad eccezione forse di qualche isolotto di vita più primitiva”.

Dal 1931 insegna filosofia nei licei femminili di varie città di provincia: a Le Puy, suo primo luogo d’insegnamento, genera scandalo distribuendo il suo stipendio agli operai in sciopero e guidando la loro delegazione in municipio.

Simone Weil a Le Puy con alcune studentesse (1931)

Nell’agosto del 1932 si reca a Berlino per sondare il clima nel luogo più scottante del tempo, alla vigilia della presa del potere da parte di Hitler, e raccoglie le sue impressioni nell’articolo “La Germania in attesa”, scritto per La Révolution prolétarienne, dove esprime il presentimento che i durissimi impegni imposti a quella nazione dal Trattato di Versailles stiano per far saltare in aria una polveriera. Avendo ricevuto dalla Russia notizie che la inquietano, Simone, in opposizione alle strategie sovietiche, scrive due articoli, pubblicati nel 1933. Nel primo stigmatizza l’avvicinamento dell’Unione Sovietica alla Germania nazista, a dimostrazione che la Russia post-rivoluzionaria rimane uno stato arretrato, e nel secondo individua nello stalinismo una forma di oppressione burocratica, analoga al fascismo. A tali critiche risponde nientemeno che Lev Trotsky, ammettendo i pericoli del burocratismo ma incolpando la Weil di “esaltazione anarchica a buon mercato” e tacciandola di essere vittima di pregiudizi piccoloborghesi. A fine dicembre dello stesso anno, la Weil ospita per alcuni giorni proprio Trotsky nel suo appartamento di Parigi. Gli scontri tra lei e il celebre rivoluzionario sono furibondi: lei per sorprenderlo gli chiede come può giustificare la spietata repressione della rivolta di Kronštadt, e accusa lui e Lenin di avere un ruolo paragonabile a quello dei capitalisti che prosperano grazie a grandi carneficine. Secondo Thomas Nevine l’ideologo russo rischiò di “essere preso alla sprovvista da questa novellina di ventiquattro anni e la apostrofò con una valanga di epiteti”. Professoressa al liceo di Auxerre nel dicembre del 1934, ma ansiosa di vivere anche le altre esperienze di vita, decide di affiancare agli studi il lavoro manuale, prestando opera come manovale presso Alsthom, una società di costruzioni meccaniche a Parigi.

Il tesserino di riconoscimento della Fabbrica automobilistica Renault

Il lavoro, testimoniato nei suoi diari, è estremamente duro e frustrante.

“Laggiù mi è stato impresso per sempre il marchio della schiavitù”

L’esperienza di otto mesi di lavoro nelle officine Alsthom e Renault – che aggrava ulteriormente il suo stato di salute – verrà raccolta, sotto forma di diario e di lettere, nell’opera “La condizione operaia”. Queste scelte, che a gente della sua condizione sociale dovevano apparire eccentriche, estreme, non erano altro che lo sbocco inevitabile di una non comune  ansia di rinnovamento, del desiderio di veder migliorare il mondo.  È la spinta di questa potente pulsione interiore che la induce in seguito a lavorare come fresatrice alla Renault e poi, dopo un viaggio in Portogallo e dopo la lettura di Nietzsche, ad avvicinarsi al cristianesimo. Simone Weil percepisce l’intima affinità che esiste fra la figura di Cristo e quella di tutti i poveri che camminano sulla Terra, un’affinità che nell’ottica della Weil ha il sapore di un riscatto. Politica e religione formano una miscela esplosiva nel suo cuore tanto che, nel luglio del 1936, parte per arruolarsi nelle file degli anarco-sindacalisti, unendosi alla rivoluzione che voleva cambiare la Spagna e che portò invece alla sanguinosa guerra civile.

Simone Weil con la divisa in Spagna, 1936

Si arruola volontaria nella Colonna Durruti, che nella guerra di Spagna combatteva contro i fascisti di Franco. L’evolvere dei fatti la deluderà, ma quella rivoluzione fu da lei considerata sempre giusta, mai rinnegata. Non essendo capace di uccidere e combattere, viene assegnata ai lavori di sussistenza, ma si ferisce comunque, mettendo inavvertitamente il piede in una pentola d’olio bollente lasciata a terra. Gravemente ustionata torna a Parigi.

1938 Il Congresso Bourbaki, organizzato dal fratello e da un gruppo di studiosi di alto profilo assertori della matematica moderna avanzata, al quale partecipò anche Simone. Da sin. a destra: Simone Weil, André Weil, Charles Pisot, Jean Dieudonné, Claude Chabauty, Charles Ehresmann, Jean Delsarte.

Delusa dall’esito della guerra, parte per Assisi alla ricerca di pace spirituale. Qui ha una potente crisi che trasforma la sua conversione in qualcosa di ancora più definito: per Simone la poesia diventa quasi una forma di preghiera. La impressiona la figura di Francesco e la coerenza delle sue rinunce mondane. 

A quel tempo scrive: “Il cristianesimo deve contenere in sé tutte le vocazioni senza eccezione, perché è universale. […] tradirei la verità, cioè quell’aspetto della verità che io scorgo, se abbandonassi la posizione in cui mi trovo sin dalla nascita, cioè il punto di intersezione tra il cristianesimo e tutto ciò che è fuori di esso. Mi schiero al fianco di tutte le cose che non possono entrare nella Chiesa, che dovrebbe essere ricettacolo universale”.

Il 13 giugno 1940 a causa dell’invasione tedesca la famiglia abbandona Parigi e trascorre due mesi a Vichy. A Marsiglia Simone viene arrestata mentre distribuisce volantini contro il Governo collaborazionista: le sue risposte all’interrogatorio, assolutamente sincere, la fanno scambiare per matta dai funzionari di polizia e, assurdamente, per questo viene rilasciata. Dal momento che il padre e la madre non accettano di allontanarsi dalla Francia senza di lei, il 14 maggio giunge con loro a Casablanca, soggiornando per alcuni giorni in un campo profughi affollato da centinaia di esuli ebrei. Qui scrive le “Intuizioni precristiane”, altra raccolta di testi che sarà pubblicata più tardi da Padre Perrin. Il 7 luglio del 1940 sbarca con i genitori a New York, dove li attende il fratello André. Nella metropoli statunitense Simone frequenta i quartieri afroamericani e le loro chiese.

André Weil, fratello di Simone, insigne matematico fu uno dei fondatori del Gruppo Bourbaki

Decide presto di tornare a Marsiglia per riprendere i contatti con gli ambienti della Resistenza, ma la rete alla quale appartiene viene scoperta. Così, nella primavera del 1941, viene interrogata più volte dalla polizia che fortunatamente non l’arresta. Nel 1942 prende una delle decisioni più difficili della sua vita: raccoglie i suoi vestiti e le poche cose che le appartengono solo per realizzare il suo progetto di raggiungere il Comitato nazionale di “France libre” che si trova in esilio in Inghilterra. Spera di rientrare successivamente in patria per partecipare attivamente alla Resistenza.

Il Lasciapassare rilasciato da le “Forces françaises libres” appartenenti al movimento “France libre” – Londra 1943

Vedendosi impossibilitata a partecipare attivamente alla guerra per la diffidenza di De Gaulle, capo del governo francese in esilio, la Weil cede a un sentimento di autodistruzione. 

Aveva scritto poco prima a un’amico: “Se non riuscissi a realizzare né il progetto di una formazione di infermiere di prima linea né quello di essere inviata in Francia per una missione rischiosa, cadrei in uno stato di prostrazione. Perché, dal momento che condividevo laggiù (a Marsiglia) le sofferenze e i rischi, e che ho abbandonato tutto ciò nella speranza di una maggiore e più efficace partecipazione, se non potessi farlo, avrei la dolorosa sensazione di avere disertato”.

Simone Weil (Marsiglia 1941)

Già stanca e malata, provata dalle numerose sofferenze a cui ha volontariamente sottoposto il suo fisico nel tentativo utopico di comunione estrema con i poveri e con un Dio sempre inseguito, muore nel sanatorio di Ashford il 24 agosto 1943.

Aveva scritto pochi giorni prima: “Mi sono sempre proibita di pensare a una vita futura, ma ho sempre creduto che l’istante della morte sia la norma e lo scopo della vita. Pensavo che per quanti vivono come si conviene, sia l’istante in cui per una frazione infinitesimale di tempo penetra nell’anima la verità pura, nuda, certa, eterna. Posso dire di non avere mai desiderato per me altro bene.”

L’idea della morte attraverserà tutta la vita di Simone Weil, costituendo il vettore della sua ricerca della verità. Negli ultimi giorni, infatti, abbandona gradualmente l’interesse più propriamente politico e sospinge sempre più la sua riflessione in direzione del senso dell’esistere, colto nei suoi risvolti etici e mistici, senza rinunciare al tentativo di tradurre il tutto in Pensiero, compito che non delegò mai ad alcuna istituzione politica né ecclesiastica.

Fu questo uno dei punti fermi che le garantì coerenza con se stessa. 

Simone Weil con un amico, Marsiglia, primavera 1941

La Weil è stata un personaggio estremamente significativo soprattutto per la pienezza e la radicalità con cui visse e concretizzò la sua visione del mondo. Come filosofa certamente non fu capita: fu sempre maggiore, nel suo caso, l’interesse per il suo carattere, da molti ritenuto eccentrico oppure esemplare, e per le sue esperienze personali piuttosto che per il suo pensiero.    Un pensiero che si muove tra Platone e Marx, fra cultura greca e un cristianesimo che, se a volte riesce ad affascinare i cristiani e li chiama direttamente in causa con la figura di Cristo, è spesso giudicato inaccettabile perché troppo “personale”. Se la Weil rifiuta la Chiesa come istituzione, potevano pensare tanti cattolici, deve esserci qualcosa che non va nel suo cristianesimo.

In effetti Simone si sentiva cristiana sì, ma di nessuna Chiesa.

La Weil è stata e rimane una grande saggista, anche se non è facile o forse è impossibile riassumere il suo pensiero. È infatti un ragionare non separabile dalla forma di scrittura che di volta in volta lo esprime. Non si riesce a pensare però a nessun altro che, come lei, abbia avuto una così urgente passione di farsi capire,

una vera fobia di risultare ambigua, di essere fraintesa.

Una bellissima foto di Simone (1922)

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

 

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