(Salvo D’Acquisto)
Il solco della fossa comune ormai non si riconosce più: il tempo l’ha cancellato.
Il grano, ora verdissimo, lo ricopre e arriva sino ai piedi della torre di Palidoro, quadrata e massiccia.
Il mare è a un centinaio di metri e una piccola stele ricorda quello che qui accadde circa ottant’anni fa.
E’ qui che il vicebrigadiere dei carabinieri Salvo D’Acquisto si offrì per salvare la vita di ventidue ostaggi presi dai tedeschi nella zona affidata alla sua giurisdizione territoriale, Torrimpietra. E qui fu fucilato.
Era il settembre del 1943.
“Beato un popolo che non ha bisogno di eroi”: diceva Bertold Brecht, ma sembra difficile non dare memoria a quelli che sono arrivati a sacrificare la vita per gli altri. Non si tratta solo di icone consacrate dal popolo, dalla storia, dalla letteratura, dal cinema. Perché il ricordo degli eroi lega il passato al presente, trasforma la loro memoria in motivo di speranza per il futuro.
Il vice brigadiere Salvo d’Acquisto è passato alla storia per i fatti avvenuti il 23 settembre 1943, nel pieno della Seconda guerra mondiale, quando prestava servizio presso la caserma dei Carabinieri della stazione di Torrimpietra, una località situata sul litorale a nord di Roma.
Quel giorno infatti moriva a ventitré anni Salvo D’Acquisto, fucilato dai nazisti dopo essersi offerto per salvare la vita a ventidue ostaggi innocenti.
Degli eroi dei quali “è necessario onorare la memoria” ci potrebbe essere il caso del vice brigadiere, del quale nell’ottobre 2020 è ricorso il centenario della nascita, dando occasione a mostre, celebrazioni laiche e religiose, cerimonie militari, qua e là per il nostro Paese.
Specialmente all’ombra del monumento a Torre di Palidoro, sul litorale romano, luogo del suo sacrificio a lungo abbandonato al degrado, dove però, poche settimane prima, dopo una riqualificazione, è stato inaugurato un allestimento museale che illustra vicende della storia dei Carabinieri durante la seconda guerra mondiale, nonché tappe della biografia di Salvo.
“Non solo un luogo di commemorazione ma luogo di riflessione rivolto al domani”, così il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, Giovanni Nistri, descrivendo quest’ambiente.
Le linee del suo ritratto di uomo erano sintetizzate nel suo foglio matricolare dove si legge che “il 23 settembre 1943 venne fucilato dai tedeschi in località Torre di Palidoro”, ma si taceva il nome dell’ufficiale nazista che aveva dato l’ordine (per alcuni forse uno dei nomi di carnefici nascosti nell’armadio della vergogna rinvenuto casualmente nel 1994 alla Procura Generale Militare).
Mentre le righe che motivano la medaglia d’Oro al Valor Militare attribuitagli precisavano
“sul luogo stesso del supplizio, dove, per barbara rappresaglia, erano stati condotti dalle orde naziste 22 ostaggi civili del territorio della sua stazione, non esitava a dichiararsi unico responsabile d’un presunto attentato contro le forze armate tedesche”.
Per questo motivo era stato crivellato di colpi: “morto da eroe, impassibile di fronte alla morte”, si leggeva in rapporto riservato successivo che attingeva alle testimonianze locali e tedesche raccolte dopo l’esecuzione.
Come tanti meridionali, si era arruolato nei Carabinieri nel 1939 perché quella era la tradizione familiare o perché non c’erano alternative di lavoro.
Salvo Rosario Antonio d’Acquisto nacque a Napoli il 15 ottobre 1920 nel rione Antignano in via San Gennaro, in un edificio di quattro piani, Villa Alba. Suo padre, Salvatore, aveva origini palermitane, mentre sua madre, Ines, era napoletana.
Primo di cinque figli, Salvo crebbe seguendo un’educazione cattolica sin dalla più tenera età e frequentò l’asilo dalle salesiane Figlie di Maria Ausiliatrice nel quartiere Vomero in via Alvino.
Dopo le elementari alla scuola “Vanvitelli” e le medie, si iscrisse al liceo “Giambattista Vico”, terminato il quale ricevette la cartolina militare per il richiamo di leva; si arruolò – il 15 agosto del 1939 – come volontario nei Carabinieri, nella cui arma avevano militato o militavano ancora il nonno materno e tre zii.
Dopo avere frequentato la Scuola Allievi, venne promosso carabiniere e inviato alla Legione Territoriale di Roma.
Qui rimase per alcuni mesi, prestando servizio al Nucleo Fabbriguerra a Roma Sallustiana.
L’anno successivo, aggregato alla 608ª Sezione dell’Aeronautica, fu trasferito in Africa settentrionale a Tripoli.
Nonostante una ferita alla gamba, Salvo decise di rimanere in zona d’operazioni con il suo reparto, ma a causa della febbre malarica fu costretto a ritornare in Italia.
Dal settembre del 1942 frequentò la Scuola Allievi Sottufficiali Carabinieri di Firenze, e pochi mesi più tardi venne nominato sottufficiale. Quindi, con il grado di vice brigadiere, venne inviato a Torrimpietra, nella campagna romana lungo la via Aurelia, a diverse decine di chilometri da Roma.
Quando nel 1943 i nazisti arrivarono nella capitale a seguito dell’Armistizio dell’8 settembre, lui era impegnato ancora presso la caserma di Torrimpietra, alla quale era stato assegnato un anno prima.
In seguito al proclama Badoglio dell’8 settembre, Salvo dovette fare i conti con la presenza di un reparto delle SS giunto sul posto: alcuni uomini delle truppe tedesche, infatti, si accasermarono in diverse postazioni usate in precedenza dalla Guardia di Finanza a Torre di Palidoro, una località che faceva parte proprio della giurisdizione territoriale dei Carabinieri di Torrimpietra.
In quella località, la sera del 22 settembre, nel corso di un’ispezione di casse abbandonate contenenti munizioni, per un’esplosione, avvenuta in una delle caserme evacuate dalla Guardia di Finanza, alcune delle SS furono vittime di un’esplosione che uccise due militi tedeschi e ne ferì alcuni altri che vi si erano acquartierati. Alcune bombe a mano, dimenticate dalle “Fiamme gialle” in una cassa, erano esplose quando i tedeschi si erano messi a curiosare.
È molto probabile che l’incidente fosse stato provocato, per errore, dagli stessi tedeschi maneggiando il materiale bellico in modo incauto, ma i soldati incolparono ignoti attentatori locali, e chiesero alla caserma di Torrimpietra aiuto nelle indagini. Nel farlo, diedero anche una scadenza: i carabinieri avevano tempo fino all’alba per indagare, dopodiché sarebbe scattata una rappresaglia.
Nella caserma di Torrimpietra il maresciallo comandante in quel momento era assente, e al comando c’era Salvo d’Acquisto, che prese in carico il caso e iniziò a indagare.
All’alba confermò ai soldati tedeschi i suoi sospetti: non c’era nessun attentatore locale, si era trattato di un incidente. Ma i tedeschi non accettarono la versione dei fatti, e la rappresaglia scattò.
I tedeschi si presentarono alla Stazione dei carabinieri trascinandovi 22 civili, fermati casualmente nei dintorni: per dare una sembianza di legalità a quello che si proponevano di fare, chiesero la presenza del comandante della Stazione e così D’Acquisto fu costretto a seguire i tedeschi con i loro prigionieri sino a Palidoro.
Tutti i prigionieri e Salvo d’Acquisto vennero condotti prima nella piazza principale del paese. Si tenne un interrogatorio sommario, durante il quale tutti si dichiararono innocenti.
Durante l’interrogatorio D’Acquisto fu tenuto separato nella piazza, sotto stretta sorveglianza da parte dei soldati tedeschi e, “quantunque malmenato e a volta anche bastonato dai suoi guardiani, serbò un contegno calmo e dignitoso”, come ebbe a riferire in seguito Wanda Baglioni, una testimone oculare.
D’Acquisto ribadì l’estraneità degli ostaggi all’esplosione, ma l’ufficiale delle SS che comandava il drappello tedesco ordinò che a tutti i 22 civili fosse data una pala perché si scavassero la fossa.
Gli ostaggi vennero portati vicino alla Torre di Palidoro e costretti a scavare le proprie fosse: al termine sarebbe avvenuta la fucilazione. È in quel momento che Salvo chiese di poter parlare privatamente con l’ufficiale tedesco presente sul posto, servendosi di un interprete.
Secondo la testimonianza di un superstite, Angelo Amadio:
“all’ultimo momento, però, contro ogni nostra aspettativa, fummo tutti rilasciati eccetto il vicebrigadiere D’Acquisto. … Ci eravamo già rassegnati al nostro destino, quando il sottufficiale parlamentò con un ufficiale tedesco a mezzo dell’interprete. Cosa disse il D’Acquisto all’ufficiale in parola non ci è dato di conoscere. Sta di fatto che dopo poco fummo tutti rilasciati: io fui l’ultimo ad allontanarmi da detta località”.
Quest’ultimo, infatti, si era autoaccusato dell’attentato, pur non essendone affatto responsabile, per salvare la vita dei ventidue prigionieri, che in effetti furono subito liberati e scapparono: mentre D’Acquisto fu fucilato sul posto.
Il comportamento del militare aveva colpito gli stessi tedeschi, che il giorno dopo, secondo quanto riferito dalla Baglioni, dissero ai civili del luogo: “Il vostro Brigadiere è morto da eroe. Impassibile anche di fronte alla morte”.
Il suo corpo rimase solamente coperto di terra lì per una decina di giorni, poi due donne della zona, Wanda Baglioni e Clara Lambertoni, gli dettero degna sepoltura nel Cimitero di Palidoro.
Nel giugno 1947, nonostante la contrarietà dei 22 scampati alla strage e della popolazione di Palidoro, la madre ottenne di poter far traslare le spoglie di Salvo nella sua città natale.
Le sue spoglie furono tumulate a Napoli, presso il sacrario militare di Posillipo e poi, dal 1986, nella Basilica di Santa Chiara a Napoli.
Sono tantissimi i Comuni italiani che hanno dedicato a Salvo D’Acquisto caserme, scuole, strade o piazze.
L’autoaccusa di Salvo d’Acquisto è stata considerata un grande atto di eroismo che ha valso al carabiniere una medaglia al valor militare e la beatificazione iniziata nel 1983 dalla chiesa cattolica.
La sua figura fu anche ricordata da papa Giovanni Paolo II, che in un discorso ai Carabinieri del 26 febbraio 2001 ebbe modo di affermare:
“La storia dell’Arma dimostra che si può raggiungere la vetta della santità anche nell’adempimento fedele e generoso dei doveri del proprio stato. Penso, qui, al vostro collega, il vice-brigadiere Salvo D’Acquisto, medaglia d’oro al valore militare, del quale è in corso la causa di beatificazione”.
Questa invece la motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare:
“Esempio luminoso d’altruismo, spinto fino alla suprema rinuncia della vita. Sul luogo stesso del supplizio, dove, per barbara rappresaglia, era stato condotto dalle orde naziste, insieme con 22 ostaggi civili del territorio della sua stazione, pure essi innocenti, non esitava a dichiararsi unico responsabile di un presunto attentato contro le forze armate tedesche. Affrontava così – da solo – impavido la morte, imponendosi al rispetto dei suoi stessi carnefici e scrivendo una nuova pagina indelebile di purissimo eroismo nella storia gloriosa dell’Arma”.
Salvo aveva scritto poco tempo prima alla madre:
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.