La figura di Stefan Zweig, così ricca e complessa da ammettere moltissime definizioni, conosce da qualche anno un forte e meritato ritorno di interesse.
Il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, lo ha citato nei suoi discorsi; il regista del film “Grand Budapest Hotel”, Wes Anderson, lo ha considerato fonte di ispirazione; recentemente sono uscite tre biografie a lui dedicate e addirittura si parla di un inedito di Stanley Kubrick che si baserebbe su una sua novella.
I libri di Zweig vengono costantemente ristampati nel mondo e alcune sue opere, come “Il mondo di ieri”, sono a tutti gli effetti dei long sellers.
La sua storia artistica e personale descrisse, del resto, una parabola della quale non è possibile non tener conto oggi, in una Europa che per molti versi appare orientata a ripercorrere alcuni dei passi falsi che tanto le costarono.
Per via della sua amicizia con un mio parente, che fu anche suo traduttore italiano, sin da ragazzino ho sentito parlare di Zweig, così pure nel resto della mia giovinezza e della mia gracile maturità.
Grazie ad una zia molto amata, con grande emozione, ho tenuto in mano lettere scritte di suo pugno e addirittura anche una cartolina indirizzata a questo mio parente da lui e da Joseph Roth.
Lo scrittore insomma, l’ho sempre sentito, esagerando naturalmente, come una sorta di amico di famiglia, qualcuno col quale si sono intrecciati i destini.
Stefan Zweig nacque a Vienna nel novembre del 1881.
La città, all’epoca capitale dell’Impero Austro-Ungarico, era il maggior centro politico e culturale della vita europea.
La famiglia del futuro scrittore, di origine ebraica, era più che agiata: la madre, Ida Brettauer, nata in Italia, proveniva da una ricca famiglia di banchieri, suo padre Moritz era un industriale.
La solidissima condizione economica dei genitori diede a Zweig ampie possibilità di organizzarsi la vita e l’educazione personale, oltre a dargli il modo di vivere in pieno, e di riceverne stimoli fondamentali, il clima artistico ed intellettuale più vivo d’Europa.
Il giovane Zweig superò senza troppo entusiasmo il tempo della scuola dell’obbligo che trovò piuttosto grigia e noiosa.
All’epoca non sembrava interessarsi più di tanto ai problemi politici e sociali, ma sentì una precoce vocazione letteraria, scrivendo le sue prime poesie che risentivano dell’influenza di Von Hofmannsthal e di Rilke.
Nel 1901 fu pubblicato il suo primo volume di poesie: “Corde d’argento”.
Zweig si fece conoscere anche con la pubblicazione di articoli, saggi e racconti sul Neue Freie Presse di Vienna.
Da quel momento in poi, parallela alle sue occupazioni di studente, proseguì una densa attività di scrittore, drammaturgo, traduttore e biografo.
Nel 1904 uscì la sua prima raccolta di novelle: “L’amore di Erika Ewald”, seguita da un libro di poesie e dal dramma “Tersites”.
A diciannove anni si iscrisse alla Facoltà di Filosofia dell’Università di Vienna, proseguendo poi gli studi a Berlino.
Si laureò quattro anni dopo con una tesi sulle concezioni filosofiche di Hippolyte Taine.
La sicurezza economica che la agiata condizione familiare gli garantiva, gli permise di dedicare il periodo successivo a quello del compimento dei suoi studi universitari a viaggi di conoscenza volti alla crescita personale, che lo portarono a conoscere meglio l’Europa e a sentirsi sempre più un cittadino europeo.
Visse per lunghi periodi a Parigi e a Londra, conoscendo artisti, scrittori ed intellettuali di primo piano, tra i quali Emile Verhaeren, Georges Duhamel, lo scultore Auguste Rodin ed Herman Hesse.
La voglia di allargare i suoi orizzonti culturali lo portò a fare, tra il 1908 e l’anno successivo, un lungo viaggio in Asia e successivamente, nel 1911, a recarsi in America.
Al suo ritorno in Europa strinse amicizia con lo scrittore e drammaturgo Romain Rolland, che di lì a poco avrebbe ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura.
Nello stesso periodo conobbe, frequentò e dopo la fine di un precedente matrimonio di lei, nel 1920 sposò Friderike Von Winternitz.
Subito prima dello scoppio della Grande Guerra furono rappresentati a teatro alcuni suoi drammi e pubblicati nuovi racconti, come “Un bruciante segreto”.
Tornò a Vienna all’epoca in cui scoppiava il primo conflitto mondiale, ma dal 1917 in poi soggiornò a lungo in Svizzera, a Ginevra e Zurigo mantenendo costanti contatti con Hesse, Joyce e col genio pianistico Ferruccio Busoni.
Il dramma “Jeremias”, che terminò in quegli anni, cominciava a mostrare un sentimento che, influenzato dalla guerra, se non poteva ancora dirsi pacifista, mostrava la “superiorità morale del vinto”.
Con quell’opera Zweig ristabiliva anche un rapporto con le sue radici ebraiche.
La fine della guerra dissolse completamente l’Europa che Zweig aveva conosciuto e amato. Subito dopo la sua conclusione, Zweig tornò in Austria, stabilendosi a Salisburgo con sua moglie.
Da quel momento in poi la sua produzione letteraria e saggistica, in particolare le sue famose biografie, come quelle contenute nel libro “Balzac, Dickens, Dostoevskij” pubblicato negli anni Venti o quelle riguardanti Holderlin, Kleist e Nietzsche, faranno di Zweig un autore dall’enorme successo, capace di esaurire tirature per l’epoca inimmaginabili.
Alla pignoleria scientifica con la quale in veste di biografo si accostava alla vita dei geni di cui si occupava di volta in volta, Zweig accoppiava la sua grande bravura di narratore creando così opere che oltre all’acume ed alla capillarità analitica del saggio riuscito, regalavano una assoluta gradevolezza di lettura.
Ma la fortuna dello scrittore fu accresciuta anche dalle sue opere letterarie: le novelle “L’amok” e “Sovvertimento dei sensi” furono successi clamorosi e il suo “Momenti fatali” raggiunse una tiratura di 250.000 copie.
Nel 1928 uscì, riunito in un solo volume, un altro terzetto di biografie: “Casanova, Stendhal, Tolstoj”.
Nonostante il suo successo Zweig non riuscì mai ad avere un’alta opinione della sua caratura letteraria.
In quello scorcio finale degli anni Venti riprese a viaggiare: andò in Russia e conobbe Gorkij, soggiornò poi in Francia e in Italia dove a Sorrento incontrò nuovamente lo scrittore russo che vi si era stabilito.
A Cap d’Antibes ritrovò il vecchio amico Joseph Roth, conosciuto anni prima ad Ostenda.
Disponendo, sia per eredità familiare che a causa del suo successo internazionale, di ingenti mezzi finanziari, Zweig collezionò anche preziosi manoscritti di Goethe, Balzac, Beethoven, Bach e Mozart.
Ma la situazione europea andava intanto incupendo.
Giunti al potere i nazisti nel 1933, insieme con i libri di altri grandi scrittori, soprattutto ma non esclusivamente ebrei, vennero bruciati in roghi ideologici anche le opere di Zweig.
Si andavano precisando gli obiettivi dei nazisti.
Ho personalmente tenuto in mano molte lettere risalenti a quel periodo, lettere che Zweig scrisse al suo traduttore, quel mio parente cui facevo cenno.
L’ultima di esse era scritta in un italiano incerto e descriveva la situazione di precarietà in cui si trovavano molti loro comuni amici ebrei: scrittori, intellettuali, saggisti. In quella lettera, per non comprometterli, Zweig li chiamava con nomi posticci che il destinatario era ovviamente in grado di riconoscere.
Presentendo bene il destino tedesco e austriaco Zweig lasciò l’Austria nel 1934 raggiungendo Londra.
Si stabilì nella capitale inglese riprendendo la sua attività.
Pubblicò la biografia di Maria Stuart e, nel 1936, un libro nel quale contrappose l’umanista Sebastian Castellio, un suo alter ego, al riformatore Giovanni Calvino, nel quale traspose molti tratti di Adolf Hitler.
L’opera fu bene accolta negli ambienti antinazisti, ma venne comprensibilmente criticata in Svizzera per la cattiva luce in cui metteva Calvino.
Dopo l’annessione dell’Austria alla Germania, nel 1938 Zweig chiese, ottenendola, la cittadinanza inglese e pubblicò la biografia di Magellano.
Dello stesso anno è il divorzio dalla moglie Friderike, l’anno successivo lo scrittore sposò la sua giovane segretaria, Lotte Altmann.
Anche il suo unico romanzo, “L’impazienza del cuore”, venne pubblicato nel 1939. Nel 1940 Stefan Zweig abbandonò per sempre l’amata Europa e andò ad abitare a New York con la seconda moglie.
L’anno successivo si trasferì a Petropolis in Brasile.
Qui scrisse una delle sue opere più belle in assoluto, “Il mondo di ieri”, nella quale rievoca la grande Vienna dell’epoca d’oro, precedente allo scoppio della prima guerra mondiale ed alla dissoluzione del suo impero.
Un mondo nel quale la Germania, L’Austria e la Boemia vedono attivi e cosmopoliti grandi intellettuali e scrittori ebrei, capaci di coltivare la memoria imperiale già prima dello sfascio asburgico.
Musil, Roth, Mahler, Schonberg, Trakl si muovono tra le pagine del libro, vivificati dalla grande capacità di Zweg di evocare i ricordi personali.
Nel febbraio del 1942, Zweig che da tempo soffriva di crisi depressive riconducibili all’esilio e al crollo delle speranze per il futuro immediato dell’Europa, si suicidò con dei barbiturici insieme alla moglie.
In una lettera ad Alfred Altmann scrisse:
“Abbiamo deciso, uniti nell’amore, di non lasciarci mai più”.
Accanto ai corpi dello scrittore e di Lotte fu trovato un biglietto di addio intitolato in portoghese Declaracao, dichiarazione:
“Saluto tutti i miei amici! Che dopo questa lunga notte possano vedere l’alba! Io che sono troppo impaziente, li precedo. Penso sia meglio concludere in tempo e in piedi una vita in cui il lavoro intellettuale significava la più pura gioia e la libertà personale il bene più alto sulla Terra”.
«Abbiamo deciso, uniti nell’amore, di non lasciarci mai»
(Dalla lettera ad Alfred Altmann, 22 febbraio 1942)
Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.