Dead Kennedys, Fresh Fruit For Rotting Vegetables

                      

Questo disco fu pubblicato più di quarant’anni anni fa quando i Dead Kennedys si erano formati, nel giugno del 1978. Successe dopo che il chitarrista East Bay Ray (il suo vero nome Raymond John Pepperell) pubblicò un annuncio su una rivista musicale, al quale rispose il futuro cantante Jello Biafra (il suo vero nome Reed Boucher). A loro si unirono presto il bassista Klaus Flouride (Geoffrey Lyall), il batterista Ted ((Bruce Slesinger) e un secondo chitarrista noto ai posteri come 6025 (Carlos Cadona). Quest’ultimo andò via nel marzo 1979, mentre Ted è fu sostituito alla fine del 1980 da D.H. Peligro (Darren Henley).

Se non sono stati il gruppo più influente del punk americano, ma probabilmente lo furono, sicuramente sono stati quello più odiato.

VACANZA IN CAMBOGIA

Così sei stato a scuola per un anno o due,
e credi di avere visto tutto.
Nell’auto di papà pensando che andrai lontano,
laggiù all’est i tipi come te non strisciano.
Suoni jazz etnico per mostrare la tua finezza
sul tuo stereo di lusso,
spiegando che sai bene quanto i negri abbiano freddo
e come nei bassifondi ci sia così tanta anima.
E’ tempo di provare ciò che più temi,
e la guardia giusta non ti aiuterà.
Preparati mio caro,
é una vacanza in Cambogia,
é dura ragazzo, ma questa e’ la vita.
E’ una vacanza in Cambogia,
non dimenticare di impacchettare una moglie.
Sei come un porco, succhi come una sanguisuga,
vuoi che tutti si comportino come te.
Baci il culo come una troia, così puoi diventare ricco,
ma il tuo boss diventa più ricco su di te.
Beh lavorerai duro con un fucile nella schiena
per una scodella di riso al giorno,
schiavo dei soldati finché non morirai di fame
poi la tua testa sarà infilata su di un palo.
Ora puoi andare dove le persone sono una sola,
ora puoi andare dove fanno funzionare le cose.
Quello di cui tu hai bisogno figlio mio……
e’ una vacanza in Cambogia,
dove la gente veste in nero.
Una vacanza in Cambogia,
dove baci il culo o muori.
Pol Pot, Pol Pot, Pol Pot, Pol Pot.
Ed e’ una vacanza in Cambogia,
dove farai ciò che ti viene detto.
E’ una vacanza in Cambogia,
dove nei bassifondi c’è così tanta anima.

Con questo testo incendiario si chiudeva un disco che era un pugno nello stomaco inferto al reaganismo allora imperante in America e una presa di posizione iconoclasta e dissacratoria al tempo stesso.
Già dalla scelta del nome del gruppo: ‘i Kennedy morti’, si capiva che non c’era da aspettarsi compassione per nessuno, repubblicano o democratico che fosse.
Questa canzone, tratta dal primo album della band californiana, fu scritta dal cantane Jello Biafra principalmente per denunciare i soprusi inferti da Pol Pot e dal suo regime dittatoriale all’intera popolazione cambogiana.
Finiva però per essere una dura critica verso ogni forma di regime!

I Dead Kennedys
I primi Dead Kennedys

L’esordio dei Dead Kennedys, “Fresh Fruit For Rotting Vegetables”, venne pubblicato nel 1980 dall’etichetta inglese Cherry Red. La band aveva avuto una certa difficoltà a trovare partner negli Usa a causa del nome che si era scelta.

Quel nome gli aveva chiuso le porte di tutte le case discografiche indipendenti e non, e nel 2017 il chitarrista East Bay Ray ammise il cattivo gusto del nome ma disse anche che gli omicidi erano molto più di cattivo gusto e in realtà il loro voleva essere solo un omaggio al sogno americano ormai infranto, ma nel 1978 un nome così suonava come uno schiaffo a un mito americano.
I Dead Kennedys non ebbero tanto successo commerciale, ma ispirarono e provocarono molti con i loro testi politici contro il fascismo, la dittatura e l’imperialismo Usa.

Nel 1979 autoprodussero il loro primo singolo, “California Über Alles”, che più tardi fu incluso nell’album d’esordio.
La canzone era ispirata dall’uomo politico Jerry Brown che nel testo parlava in prima persona della sua visione “Nazi-hippie” della California e della nazione, in era quanto in corsa per le primarie del 1980.

Jello Biafra era un personaggio di rilievo nell’ambiente del punk. Pur essendo arrivato solo pochi anni prima nel Colorado, per motivi strettamente musicali, era salito agli onori delle cronache candidandosi a sindaco di San Francisco, con un programma decisamente anarchico e piazzandosi addirittura quarto, primo tra gli indipendenti.

Jello Biafra
Jello Biafra

Negli anni a cavallo tra i ‘70 e gli ‘80, esaurita la spinta dirompente del punk e della new wave, il rock ricevette una delle tante ristrutturazioni della sua storia.
L’ultima risaliva ai Ramones, la nuova fu ugualmente valida ma lo fece accompagnandosi a una rivoluzione più incisiva in fatto di immagine e politicamente molto più feroce.

In questi anni, il punk’n’roll, o hardcore punk, visse la sua età dell’oro.

Non dell’innocenza però, perché questi punkers erano più portati al nichilismo che al “mito del loser”, segnando una cesura con i maestri della stagione che stava finendo: ne prendevano l’esperienza ma la loro arte nasceva già matura e perciò disincantata.
Nasceva alla grande ma era destinata a durare poco.

Uno scioccante riscontro di quanto affermato si può ottenere semplicemente dando una occhiata al packing di “Fresh Fruit For Rotting Vegetables”, e mettendolo a confronto con quello di un altro grande disco californiano, uscito quasi in contemporanea, “Los Angeles” degli X.
Le due band erano vicine nel tempo e appartenevano a due comunità limitrofe, ma i due dischi non possono apparire più diversi, ma non nella copertina: su tutti e due fiamme bianche su sfondo nero.

Le due copertine
Le due copertine

Poi però leggendo i testi, quelli degli X si scoprivano redatti con i più classici caratteri rock e nelle foto, l’abbigliamento dei musicisti e degli spettatori non era diverso da quello dei musicisti e del pubblico di Patti Smith o dei Ramones.

Emanavano profumi arty tipici di tutto il punk americano degli anni ‘70.
Leggendoli si riconoscevano citazioni di Eliot, a conferma di quanto detto: il loro ’immaginario non era fresco ma di seconda generazione. Questo non toglie però che “Los Angeles” sia un gran disco, ma non radicale come “Fresh fruit”.  

I testi di quel disco invece erano pregni di paranoia, politica, provocazione e rabbia; posizioni estremiste dove, con ironia, si deridevano sia la destra che la sinistra, cosa chee provocò ai Dead Kennedys l’avversità di tutti e la difficoltà, in patria, di trovare sia luoghi per suonare che contratti per incidere.

I loro testi erano scritti in caratteri piccoli in fondo a un poster gigante firmato da Jello Biafra, un collage di foto, disegni e scritte.
I ritagli più grandi ritraevano, uno a uno, i membri della band, gli altri ritagli non avevano nessuna fragranza arty: erano locandine di film popolari, fumetti, foto da giornali per casalinghe, immagini di guerra e di proteste, pubblicità, slogan, titoli di quotidiani, foto di potenti ritoccate col pennarello: un effetto pop nel complesso.

Il poster
Il poster

Non occorre precisare che si tratta di idee rielaborate ancora oggi all’infinito in copertine, pubblicità e manifesti di band più o meno underground. Forse non era la prima volta che questi artifici venivano usati ma a “Fresh Fruit” va accreditata la fortuna che ha avuto negli anni a seguire per quell’immaginario, se non nuovo di zecca, sicuramente di prima generazione.

“Fresh Fruit For Rotting Vegetables” durava solo 33 minuti circa, conteneva tredici brani più una cover di “Viva Las Vegas”, successo di Elvis Presley che chiudeva il Long-playing.
Non era quello che si dice un disco “vario” nell’accezione odierna, pur essendo musicalmente rock e tematicamente molto politico.
Il suono non era troppo distorto, ma molto scuro e le canzoni, in media sotto i tre minuti, scorrevano tutte in un respiro solo, perché non c’era proprio spazio fisico per concedersene altri.
Quattordici ritmi sfrenati intervallati solo dal secondo necessario per dimenticare il vecchio e attaccare con il nuovo.

La voce manteneva un tono tra isterico e il declamatorio, e la chitarra, di chiara matrice garage-surf, macina tuttavia i tempi e le melodie più classiche, con una furia e una velocità inaudite. L’assoluta non levità del suono e i temi di aspra denuncia venivanoo bilanciati oltre che dal classicismo delle armonie, dai testi, interpretati in maniera a dir poco teatrale, istrionica e ironica.

Il logo dei Dead Kennedys
Il logo dei Dead Kennedys

“Fresh Fruit” aveva dalla sua alcuni dei brani migliori della band: “California Über Alles”, attacco ai metodi discutibili del governatore californiano Jerry Brown, coverizzata mille volte.
Era un giro semplice e nervoso che perdeva e riacquistava velocità, sollevando dalla polvere i versi di uno dei vocalist più arrabbiati di sempre.

“Holiday In Cambodia” era una delle migliori canzoni di protesta di sempre, proprio perché non solo ne sorpassava i limiti, quanto perchè faceva polpette degli stilemi del genere.

La denuncia rabbiosa diventava sarcasmo e sfociava nella satira più nera.

Su un tappeto furioso, Biafra aveva lo stesso piglio che aveva Lou Reed quando cantava camminando sul “lato selvaggio”.

Il rischio del comizio era lontano, ma anche quando cantava slogan, Jello era il comiziante più cinico e bastardo che sia dato ascoltare.
Se chiunque se la prende per ragioni sociali è da considerare un moralista, i Dead Kennedys erano dei moralisti divertenti.

Basti ascoltare la verve scura di “Chemical Warfare”, dove un fantasma con i capelli imbevuti di brillantina si impossessava della band. “I Kill Children” e “Stealing Peoples Mail”, sintesi di furia e di toni lugubri e farseschi, mostravano la spiccata attitudine comunicativa della band, che emuli scadenti tenteranno invano di copiare.
“Holiday In Cambodia” divenne una delle canzoni americane più popolari, un inno, con la sua critica ai ricchi bianchi ignoranti che non conoscevano le devastazioni di alcuni regimi totalitari del sud est asiatico e li invitavano ad una vacanza sul posto.

“Fresh Fruit For Rotting Vegetables” non era un disco ‘vecchio’ nel 1980 e non lo è neppure oggi: non ha una ruga neanche negli arrangiamenti.

Si trattava soltanto dell’evoluzione inarrestabile del rock, quella che gli consentì di sopravvivere integro alla destrutturazione e contaminazione operata negli stessi anni dai Clash di ‘Sandinista’.

Dei Dead Kennedys si potrebbe dire ancora tanto: non firmarono mai per una major e si gestirono in maniera indipendente giovando anche alla scena che li aveva visti nascere.
Furono condotti allo scioglimento dalle rogne legali accumulate in soli sei anni di rapporti con l’opinione pubblica: Biafra e gli altri si incontrarono molti anni dopo in tribunale accusandosi dei peggiori misfatti…
Ma questo non aggiungerebbe niente al disco di cui sopra.
Il loro f comunque un episodio luminoso nella lunga storia del rock.

A quaranta anni dalla sua uscita quel disco, che condannava guerre, scandali, soprusi e sfruttamento, è ancora attualissimo, e, visto il panorama odierno ancora scoraggiante, anche musicalmente, regge perfettamente dopo quattro decenni.

I Dead Kennedys – © Photo: Peter Noble/Redferns

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *