Marcello Dudovich rappresenta una delle maggiori personalità espresse dall’arte pubblicistica italiana.
Attivo per oltre cinquant’anni, ha dato vita, attraverso diversi momenti artistici, ad almeno mille manifesti pubblicitari di ogni genere.
Il tanto osannato “made in Italy” di oggi, ha radici profonde, e già nel periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento era chiaro quanto fosse fondamentale attirare l’attenzione dei possibili consumatori su un prodotto reclamizzato e quali fossero i requisiti che una efficace campagna pubblicitaria doveva possedere: primo tra tutti essi, il messaggio, che doveva risultare forte, e i colori, tali da attirare l’attenzione, ma sempre con eleganza e ironia.
Considerato il più importante disegnatore pubblicitario italiano, Dudovich iniziò a dipingere a Trieste dopo aver tentato senza successo di lavorare sul mare, imbarcandosi come mozzo su una nave mercantile.
Nato nel 1878 studiò nella nativa Trieste, presso le Scuole Reali.
Da subito Marcello frequentò l’ambiente cosmopolita artistico triestino e mitteleuropeo, questo grazie al cugino pittore, Guido Grimani.
Frequentò inoltre gli atelier dei pittori triestini, entrando in contatto con grandi artisti quali Scomparini e Rietti.
Nel 1896 compì il primo viaggio a Monaco di Baviera, dove frequentò l’Accademia d’Arte, prendendo soprattutto lezioni di nudo, ma interessandosi anche all’arte decorativa.
Sarà a Monaco che acquisirà in prima persona le lezioni di Von Stuck e di Bocklin, considerati suoi maestri.
Si trasferì poi a Milano dove entrò a far parte delle Officine grafiche della celebre Casa Ricordi, con il compito di trasferire sulla pietra litografica i bozzetti di celebri artisti dell’epoca.
Lavorando in quelle Officine, entrò in rapporto con Metlicovitz, grande esperto della riproduzione presso le Officine Ricordi, venendo anche in contatto con i più grandi cartellonisti del tempo: Hohenstein, Villa, Cappiello.
Leopoldo Metlicovitz lo aveva notato e apprezzato tanto da incoraggiarlo a disegnare soggetti pubblicitari.
Quasi contemporaneamente “Dudo” frequentava i corsi di disegno accademico e di studio del nudo presso la Società Artistica Patriottica di Milano, città in cui aprì uno studio di pittura assieme a Metlicovitz e al pittore greco Arvanitaki.
Sviluppò intanto collaborazioni con importanti case automobilistiche italiane, dalla Fiat, all’Alfa Romeo e Maserati, disegnando manifesti per eventi e nuovi prodotti.
Uno dei suoi primi manifesti, per i cappelli Borsalino, è considerato un capolavoro di arte pubblicistica, così come il notissimo cartellone creato poi nel 1934 per la Nuova Balilla Fiat, lavoro tipico per l’insolita vista, posteriore ad una bella donna.
Anche in questo caso si rendeva evidente quanto artisti come Klimt e Moser avessero lasciato un profondo segno nella cultura di Dudovich che seppe far tesoro delle nuove linee artistiche, raccogliendone stimoli ed indicazioni perfettamente rintracciabili nelle sue opere.
Chiamato alla direzione artistica dello stabilimento Chappuis, nel 1899, si trasferì a Bologna, iniziando un’intensa attività che subito riscosse ampi consensi: nel 1900 vinse il concorso per il manifesto per le Feste di Primavera di Bologna (bisserà il successo nelle edizioni del 1901 e 1902), diventando l’indiscusso caposcuola del ‘cartellonismo’ italiano, arrivando a vincere anche la Medaglia d’Oro all’Esposizione Universale di Parigi del 1900.
Con Chappuis collaborerà fino al 1905, pur continuando a mantenere rapporti con le Officine Grafiche Ricordi.
Nel frattempo si avvicinò anche alla rivista “Fantasio”, edita a Roma nel 1902, e specializzata in letteratura, critica e varietà.
Nel 1902 partecipò all’Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna a Torino, esponendo il manifesto “Fisso l’idea” sotto la sigla della cooperativa artistica Aemilia Ars.
Dal 1904 collaborò con la rivista d’arti e lettere “Novissima”, diretta da Edoardo De Fonseca, lavorando inoltre per il periodico umoristico bolognese “Italia Ride”, per il quale realizzò numerose illustrazioni e vignette satiriche.
Dal 1906 al 1911 realizzò molti dei famosi manifesti pubblicitari per i grandi magazzini Mele di Napoli.
Nel 1911 accettò un incarico in Germania, sostituendo Reznicek come disegnatore nella redazione di “Simplicissimus”: illustrerà per circa quattro anni, dal 1911 al 1915, la pagina mondana del giornale con un’estesa produzione di acquarelli, chine e disegni, entrando in contatto con gli esponenti di spicco della grafica tedesca quali Wilhelm Schulz, Theodor Heine e Eduard Thöny.
Per collaborare col “Simplicissimus”, che era un giornale letterario a sfondo satirico, si trasferì a Monaco di Baviera, iniziando a frequentare come inviato le più prestigiose località alla moda d’Europa.
Rientrò in Italia allo scoppio del primo conflitto mondiale, subendo una sorta di emarginazione artistica a causa della sua collaborazione alla “nemica” rivista tedesca.
Collaborerà comunque con importanti riviste italiane fino alla fine degli anni Trenta.
Tra il 1917-1920 l’artista si stabilì a Torino, dove lavorò sia nel campo cinematografico, realizzando un numero imprecisabile di manifesti per film, sia alle dipendenze del giovane editore Polenghi.
Dudovich rimase a Torino fino al 1920, anno in cui si accese l’amicizia con il grande artista grafico Achille Luciano Mauzan, francese naturalizzato italiano, che creava locandine per film.
Sia Mauzan che Dudovich lavoravano per le Officine Ricordi e la loro amicizia li portò ad una importante collaborazione con l’industria cinematografica di Torino, più precisamente per la Cleo Films e la Felsina Films.
Dudovich nel 1920 iniziò le sue prestazioni artistiche per i magazzini La Rinascente, per i quali, dal 1921 al 1956, realizzerà oltre 100 manifesti, di cui alcuni divennero molti famosi.
Oltre a collaborare con più riviste, creava anche disegni per i modelli delle bambole prodotte dalla celebre casa Lenci.
Nel 1920 fu tra i fondatori della Società Editrice STAR e dal 1922 al 1936, insieme a Nizzoli e Martinati, divenne direttore artistico dell’Impresa Generale Affissioni Pubblicità (I.G.A.P.).
Partecipò alla Xll e XIII Biennale di Venezia dal 1920 al 1922.
Da Direttore artistico dell’iGAP, negli anni che andavano dal 1922 al 1936, creò manifesti per le campagne pubblicitarie delle maggiori industrie italiane.
Più noto e celebrato dei cartellonisti italiani delle origini, Dudovich produsse, in quasi sessant’anni di attività, più di 1000 manifesti, attraversando impeccabilmente stili e mode dei suoi tempi, dal Liberty all’Art-Déco, dalle tendenze del primo Novecento fino al “realismo sociale”, caratterizzandosi sempre in maniera originale e, spesso, rivoluzionaria, e anticipando il linguaggio della moderna comunicazione pubblicitaria, di cui può considerarsi, sotto tutti gli effetti, uno degli iniziatori.
Nelle sue frequentazioni personali cosmopolite, Dudovich mostrò una particolare predilezione per la Riviera romagnola fin dagli anni Dieci.
Dapprima affittò per la stagione estiva una casetta a Riccione, poi, dagli anni Trenta, sempre a Riccione, abiterà in una villetta in Viale Dante, che diverrà la residenza estiva della moglie Elisa e della figlia.
Dal 1935 si intensificarono i rapporti con Gea della Garisenda, la celebre cantante che aveva lanciato “Tripoli bei suol d’amore”, che l’artista conosceva già dagli anni Dieci, e con il marito di lei, il senatore Teresio Borsalino, titolare della famosa industria di cappelli per il cui manifesto pubblicitario aveva vinto il concorso nel 1911.
‘Dudo’ fu spesso ospite di Gea e di Teresio, dapprima a Rimini a Villa Aventi sul mare, quindi a Villa Amalia, dove Dudovich lasciò una sua insolita testimonianza: per sdebitarsi della ospitalità di Gea della Garisenda, si cimentò infatti nella decorazione a fresco di un salottino in cui ricreò lo scenario medievale che contraddistingueva la terra dei Malatesta.
Dipinse castelli, Gradara, Verucchio, Montebello, Torriana, e movimentate scene di caccia al cinghiale, illustrò spettacolari giostre a cavallo, raffinati momenti di quiete a corte, con libri “galeotti” aperti sul leggio, più variopinti stendardi, festoni, dame, cavalieri, armi, falconi, paggi e levrieri.
Impegnato dunque nella amata terra romagnola Dudovich creò anche manifesti turistici per Rimini, illustrazioni per le riviste “Perle” e “Riccione”, nonché volantini pubblicitari per la Tessitura Gessaroli, anch’essa di Rimini.
Autore tra i più prolifici di bozzetti per la pubblicità, dalla fine degli anni Trenta “Dudo” si avvalse, per la realizzazione di manifesti, della collaborazione di Walter Resentera, un pittore di qualità, nato nel 1907, che aveva sposato sua figlia Adriana.
Riconosciuto a livello nazionale nel mondo del cartellonismo, nel 1930 disegnò il celebre manifesto per i copertoni Pirelli, realizzando anche manifesti per le più importanti società industriali italiane e straniere: La Rinascente, Shell, Agfa Film, Bugatti, Fiat, Martini, Campari e le Assicurazioni Generali.
Nel 1937 Marcello si recò in Libia, chiamatovi da Italo Balbo per un lungo soggiorno.
Vi ritornerà nel 1951, ospite della nipote, Nives Comas Casati, già sua allieva e modella.
In Libia, verso la fine degli anni Trenta, il suggestivo ambiente esotico offriva all’artista una quantità di soggetti e di spunti, che ne ravvivarono la freschezza ideativa: Dudovich, ispirato, scattò infatti molte fotografie di scene e figure locali, realizzando successivamente numerose opere “esotiche”: paesaggi, mura, moschee, prestando particolare attenzione alle grazie delle giovani indigene.
Balbo gli aveva dato la commissione per dipingere e curare l’arredamento del neonato Ministero dell’Aeronautica, costruito tra il 1931 e il ‘33.
Dudovich era stato chiamato anche per decorare gli spazi accessori di quel Palazzo: lo fece realizzando nove eccezionali murales per celebrare, con una sorprendente freschezza non priva di humour, le prodezze dei conquistatori dell’aria della sua epoca.
Le opere, realizzate insieme al collaboratore Walter Resentera, furono a lungo trascurate, e solo oggi un sapiente restauro ha riconsegnato al pubblico ciò che di esse è sopravvissuto.
Per volontà di Balbo, allora Ministro dell’Aviazione, Dudovich decorò anche i locali della mensa e del bar del Palazzo, con lavori rimasti poi coperti o rovinati dal tempo e da anni di incuria.
Il loro recupero è stato possibile grazie alla Soprintendenza Speciale Archeologica, delle Belle Arti e del Paesaggio di Roma.
L’Artista in quel periodo eseguì anche lavori a tempera che raffiguravano grosse nuvole sulle quali si trovavano gli Aviatori caduti in seguito ad atti di eroismo, immortalati in azioni di vita quotidiana.
I murali che è stato possibile recuperare, con la loro luce soffusa, illustrano innamorati che si ritrovavano, un pilota con la sua sigaretta, la lettura del giornale, l’orchestrina jazz con il sax, inviso a Mussolini perché “nero e americano” e un aereo in volo.
Tra le pitture si trovavano illustrati il Rex, il transatlantico più veloce mai costruito fino ad allora, poi, segno della superiorità dell’Aviazione, aerei sfreccianti fra le nuvole, che creavano un’atmosfera poetica che comunicava pace e grande serenità.
Fino a gennaio del 2021 a Trieste, presso le Scuderie del Castello di Miramare, è stato possibile ammirare oltre 300 opere di Dudovich che evidenziano, attraverso la sua produzione artistica, il peculiare rapporto fra la fotografia e la cartellonistica.
Triestino di nascita e cittadino del mondo per vocazione, Marcello fu un illustratore appassionato di fotografia e se oggi viene un assoluto innovatore nel suo campo, costituendo uno dei riferimenti più importanti nella storia della pubblicità visiva, la ragione sta anche nel suo metodo di lavoro, nella sua apertura mentale.
Uno degli aspetti più interessanti, sottolineato dall’esposizione è stata infatti la possibilità che ha dato agli spettatori, di tracciare un percorso completo nella creatività di Dudovich, che dall’ispirazione, tratta da una fotografia, passava al bozzetto a matita o a tempera, fino alla realizzazione del manifesto finale.
Gli spunti, provenivano spesso da scatti realizzati dallo stesso artista, contenenti scene estemporanee e casuali che coinvolgevano spesso perfino familiari e amici.
Elementi tratti da fotografie si scoprono già in alcune delle realizzazioni per La Rinascente degli anni venti.
Più volte tra i suoi lavori compaiono figure femminili con in mano un un bicchiere, ma soprattutto la celebre donna con le braccia distese in alto.
Con un lungo lavoro d’archivio, i curatori della mostra, Roberto Curci e Nicoletta Cavadini, hanno trovato ed esposto le foto di donne ritratte in spiaggia, per strada, sdraiate sui divani, in terrazza, alle quali Dudovich chiedeva sempre di muoversi, ballare, leggere, sedurre con lo sguardo.
Quelle fotografate erano donne sempre in movimento in un’epoca velocissima.
E, lì accanto, ecco il bozzetto a matita o a carboncino, poi magari il disegno finito, e infine il grande poster pubblicitario, ultimo atto – affichés ormai negli occhi di tutti – del lungo processo creativo.
Eccole, le donne di Dudovich: belle, ricercate, audaci.
Audaci per come baciano, per come si distendono languide in poltrona, per come leggono in spiaggia, guidano o danzano, per come per danno le spalle all’osservatore, una cosa inconsueta per le illustrazioni di quel periodo.
All’alba degli anni ’50 però il mondo non si rifletteva più nelle sue opere, i cartellonisti della seconda generazione divennero soltanto “designers pubblicitari”: le loro immagini, infatti, iniziavano a rispondere esclusivamente alle leggi di un mercato frenetico, quello dell’usa e getta.
I cartelloni contenevano immagini che ormai non evocavano più opere d’arte, ma erano legati esclusivamente al puro messaggio pubblicitario, al concetto di consumismo e di prodotto che facesse vendere un prodotto.
Dal 1945 in poi Dudovich, da grande maestro, raccolse le maggiori soddisfazioni attraverso i vari riconoscimenti che venivano tributati alla sua opera di cartellonista storico, attraverso mostre ed esposizioni.
La Seconda guerra mondiale e la morte della moglie Elisa Bucchi rappresentarono per lui il taglio netto con l’attività cartellonistica commerciale, stop determinato anche dalla sua difficoltà di confrontarsi con i nuovi cartellonisti, ormai denominati designers.
In questo periodo l’artista si dedicò intensamente alla pittura, al ritratto ed alla fotografia artistica.
Al manifesto tuttavia egli non rinuncerà mai del tutto, creando nell’immediato dopoguerra e nell’arco degli anni cinquanta, una quarantina di opere molto note, e riprendendo un’intensa collaborazione con La Rinascente.
Dudovich morì a causa di un’emorragia cerebrale il 1º aprile 1962 a Milano, e oggi riposa nel Cimitero Monumentale meneghino, tumulato in un colombario.
Con i suoi manifesti Marcello Dudovich, e qui sta tutta la sua modernità, più che un prodotto sapeva vendere uno stile di vita, stile che, del resto, coincideva con il suo.
Dandy, chic e brillante, infatti, Dudovich visse quel mondo, che la Storia chiamò poi “Belle Époque”, un mondo fatto di agiatezza, abiti firmati e delle prime villeggiature al mare e in montagna.
Lui lo reinterpretò alla sua maniera libera, e lo mise in cornice dentro i suoi magnifici cartelloni.
Da allora questo ambito di lavoro prese il nome di pubblicità.
Il termine “cartellonismo” non si trova infatti nei dizionari; viene più che altro utilizzato da addetti al settore e appassionati, per indicare l’arte pubblicitaria che nasce alla fine dell’Ottocento con la seconda rivoluzione industriale e con l’avvio della produzione in serie.
Fu un grande successo nella Belle Époque, che proseguì con l’affermarsi delle avanguardie, soprattutto col Futurismo: terminò un secolo dopo, con l’avvento televisivo del Carosello.
Ai suoi albori, comunque, la pubblicità fu soprattutto arte.
Bibliografia:
P. Delbello, Nei dintorni di Dudovich. Per una storia della piccola pubblicità e dei suoi grandi autori, Modiano, 2002;
Mughini, Scudiero, Il manifesto pubblicitario italiano: da Dudovich a Depero, 1890-1940, Nuova arti grafiche Ricordi, 1997;
G. Granzotto, Marcello Dudovich disegni e acquerelli, Corbelli Editore, 1999;
R. Curci, Marcello Dudovich: oltre il manifesto, Charta, 2002;
Daniele Baroni, Maurizio Vitta, Storia del Design Grafico, Longanesi, 2003.
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.